E' bocciato dai giudici il «piano commerciale»

E' bocciato dai giudici il «piano commerciale» La sentenza del Tribunale amministrativo E' bocciato dai giudici il «piano commerciale» La causa ha preso spunto dalla mancata concessione della licenza per una gioielleria - Esaminati il criterio della «non compatibilità» e la garanzia per il consumatore Tutte le norme del piano commerciale di Torino che prevedono o applicano il principio di «non compatibilità» sono state annullate da una sentenza del Tar (Tribunale amministrativo regionale). Cade cosi uno dei principi fondamentali sul quale il piano si basava e si sollevano perplessità sulla validità stessa dell'intero provvedimento. Questo il caso che ha portato alla decisione dei giudici. Federico Blessent, figlio dell'orefice assassinato a Ivrea da una banda di giovani rapinatori nel gennaio del '76, dopo la tragedia cede alla società Rossa il negozio di orologeria e oreficeria in piazza Galimberti 5, nella nostra città, e la relativa licenza. Tutto sembra regolare. Solo successivamente gli acquirenti si accorgono che l'autorizzazione per la vendita al dettaglio di oggetti preziosi è scaduta. Chiedono al Comune che venga rinnovata ma il sindaco respinge la domanda con un provvedimento del 27 novembre 1978, notificato otto giorni dopo. Il piano commerciale ha infatti diviso la città in zone ed aree, per ognuna delle quali è stata approvata una tabella dei generi «non compatibili», delle merci cioè per le quali non viene data l'autorizzazione, e in piazza Galimberti non sono previste gioiellerie. La società Rossa, a questo punto, si rivolge al Tar (assistita dal prof. Vittorio Baro-, sio) per far annullare la decisione. Nella memoria difensiva la difesa del Comune ha sostenuto che l'amministrazione è libera nelle sue scelte di pianificazione, mentre per il prof. Barosio il rifiuto della licenza è una «violazione di legge». Secondo il legale il piano comunale deve attenersi alla legge sul commercio del '71 che prevede due soli limiti:. la superficie minima di un negozio e la superficie globale massima, rispetto a tutto il territorio comunale, per i negozi che vendono «beni di largo e generale consumo». Il tribunale (presidente Loiacono) ha accolto questa tesi. 'Adottando il criterio della non compatibilità — dice la sentenza — il Comune ha stabilito che in alcune aree non possono essere rilasciate autorizzazioni commerciali relative a determinate tabelle»: si congela cosi la situazione e nessuna modifica viene più consentita. Lo scopo è evidente: cristallizzare lo «status quo» e convogliare ogni nuova Iniziativa nelle zone in cui i nuovi esercizi sono giudicati compatibili. Ma se è corretto preoccuparsi che non ci sia un'eccessiva proliferazione di drogherie e salumiere, perché esasperando la libera concorrenza si porta pregiudizio al consumatore, determinando costi eccessivi, «ugualepreoccupazione non si giustifica in un regime di libertà economica per le pelletterie o le oreficerie o gli antiquari, generi per i quali il sistema non può negare la Hbertà di sbagliare un insediamento senza negare in radice la libertà stessa di iniziativa economica». Mani legate per il comune, quindi? No. Secondo il Tar il legislatore ha cercato un punto di equilibrio fra libertà di commercio e tutela dell'interesse del consumatore. «D'altra parte — conclude la sentenza che accoglie il ricorso della società Rossa e condanna il comune alle spese di giudizio — non si può dire che l'accettare il criterio della non compatibilità si traduca in una cosi sicura garanzia per il consumatore. •La cristallizzazione dello "status quo" in una zona singola può. infatti, significare anche tutela di interessi settoriali e corporativi in quanto si concreta, di fatto, in un limite numerico in rapporto alla situazione esistente». Francesco Bullo