Una fiaba su chi scrive fiabe di Furio Jesi
Una fiaba su chi scrive fiabe LA FANTASIA, I MITI, LE BUGIE: UN CONVEGNO A PARMA Una fiaba su chi scrive fiabe Tredici anni fa Guido Piovene, su queste stesse pagine, scrisse la cronaca della contesa fra il grande folklorista russo V. Ja. Propp e il padre dell'antropologia strutturale. Claude Lévi-Strauss: oggetto della disputa: la fiaba. Di Propp usciva allora in Italia, con 38 anni di ritardo (1928. 1966). la Morfologia della fiaba. In appendice, un saggio-recensione di Lévi-Strauss, che con solenne cortesia celebrava in Propp il precursore, ma 10 accusava, tra l'altro, d'avere frainteso i rapporti tra mito e fiaba: «Un genere non può essere considerato ropravvivenza dell'altro, a meno di non voler presumere che le fiabe consewino il ricordo di miti antichi, mentre questi sarebbero caduti in disuso. (...) La loro relazione non è di anteriore a posteriore, di primitivo a derivato, ma è piuttosto una relazione di complementarità. Le fiabe sono miti in miniatura...-'. Irritato. Propp replicava in una seconda appendice: «Io ritengo che il mito in quanto tale, in quanto categoria storica, sìa più antico della fiaba... Nella maggior parte delle lingue la parola "fiaba" è siìionimo di "bugia"'... Il mito è invece una narrazione di carattere sacrale, alla cui veridicità si crede, non solo, ma che esprime la fede sacra del popolo*. * * Le ombre di questi due grandi '«ombra, è letterale per Propp. morto nel frattempo, e metaforica per LéviStrauss, divenuto .immortale» nell'Accademia di Francia) sono ricomparse durante 11 Convegno internazionale di studio sulla fiaba che. con il coordinamento scientifico di G. Cusatelli. si è tenuto nei giorni scorsi a Parma. Non erano però ombre cosi incombenti da lasciar pensare che il combattimento si svolgesse soltanto «lassù., dove lottano gli dèi. Senza che scorresse molto sangue ira i mortali, il Conve¬ gno (forse il primo dedicato specificamente alla fiaba) ha preso le distanze da alcuni aspetti di quella disputa ormai — forse già allora — datati, e riproponendone altri che restano attuali ha offerto un quadro dialettico della situazione, certo non esauriente ma assai concreto. Nella relazione iniziale A.M. Cirese ha posto con chiarezza il dilemma: se ci si preoccupa soprattutto del contesto sociale in cui la fiaba viene raccontata, si perde la specificità della fiaba rispetto ad altri generi letterari; se ci si preoccupa soprattutto della specificità della fiaba, si perde di vista la sua contestualità sociale. Cirese s'è dichiarato prevalentemente sostenitore della prima posizione, ma con animo tanto dilacerato, e con tanta finezza di argomenti contrari a quelle tesi, da far pensare a Carlo Gozzi — nella comunicazione di L. Felici — costretto, per un equivoco, a rientrare in casa propria solo accettando di porsi sul viso una maschera. Egli non ha mostrato, del resto, l'irritazione aristocratica del conte Gozzi, cosi che la relazione di G. Dolf ini, in questa lizza campione dei cultori della specificità della fiaba, ha potuto divenire fruttuosamente, durante le discussioni, la cerniera fra interventi di ricercatori «sul campo» (E. Delitala. C. Rapallo, A. Minilo, e l'austriaco F. Karlinge'-. precorritore da decenni delle indagini italiane sulla fiaba italiana) e studiosi della fiaba «eulta» (M. Rak. A. Capatti, S. Turzio, L. Felici, G. Cusatelli. C. Bombieri). Fiaba «eulta», dal Basile a Perrault. alle dame narratrici del '600-'700 francese, al Gozzi, ai Grimm. a Kipling, e fiaba «popolare»: questa distinzione è stata ribadita, anche se si sono sottolineate come occasioni di necessarie, future ricerche, le interazioni fra l'ima e l'altra (e la presenza di forme miste). Le ultime relazioni — di D. Richter. F. Jesi M. Lavagetto — hanno preparato la discussione conclusiva, affrontando temi come i «contenuti sociali della fantasia fiabesca*, i rapporti fra mito e fiaba, Freud e la fiaba. * * Nello spazio più interno del problema che è stato posto albeggia, o sembra ormai piuttosto chiara, una convinzione metodologica: non è lecito illudersi di accostare oggi in modo assolutamente genuino il .raccontare fiabe». Poiché si è costretti a un approccio artificiale e artificioso, tanto vale perfezionarlo in questa sua non genuinità. I registratori e le interviste ai narratori cosiddetti popolari sono utilissimi, ma, certo, il diaframma non cade. Durante il Convegno si sono ascoltate registrazioni di fiabe narrate e cantate in Sardegna e in Romania. Si è però anche ascoltata (ed era più significativa) la lettura, da parte di Cirese. di una pagina dei Malavoglia in cui Verga propriamente racconta il raccontare fiabe. Il narratore popolare raccontò. Giovanni Verga raccontò come egli raccontava (con suprema abilità di artificio), lo studioso attuale racconta come Verga raccontò il raccontare, e così via. Solo attraverso questo lucido gioco di scatole cinesi, senza miraggi di identificazione con il feticcio «anima popolare», si studiano le fiabe nel modo più serio: dunque, raccontando fiabe. Probabilmente anche Propp. con il suo libro dalle nitide parvenze scientifiche (algoritmi, frecce, tabelle), ha raccontato una fiaba. Furio Jesi
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