Primi interrogatori al processo contro Luciano Liggio di Vincenzo Tessandori

Primi interrogatori al processo contro Luciano Liggio Primi interrogatori al processo contro Luciano Liggio «Avevo una cella ma serviva a me» dice l'uomo dell'Anonima sequestri È Giuseppe Ciulla, 43 anni, di Palermo, già evaso dal carcere di Novara Spiega ai giudici: «Era il mio rifugio se i carabinieri mi avessero cercato» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — «Senta, eccellenza, io un cittadino tranquillo non ero perché qualche disturbo dalla giustizia... Insomma, si. l'ho avuto-, dice Giuseppe Ciulla, 43 anni, di Palermo, professione dichiarata muratore: un «picciotto» che al Nord è cresciuto d'importanza e ora si trova imputato nel processo per i sequestri Torielli. Montelera e Baroni, compiuti fra il 1972 e il '74. In casa sua, a Trezzano sul Naviglio, al tempo delle indagini, fu trovata una cella in cemento armato nascosta sotto il pavimento mobile di una doccia: per l'accusa una prigione dove tenere i rapiti; per lui. per il bravo cittadino Ciulla, soltanto un luogo dove rifugiarsi per evitare l'incontro sgradevole con i carabinieri che «forse» potevano cercarlo. Non ha mai avuto bisogno di nascondersi, tuttavia. Adesso racconta la sua verità. Siamo al processo d'appello qui a Milano ed è la prima volta che parla perchè, al precedente dibattimento, era latitante, evaso dal carcere di Novara dov'era detenuto per una serie di rapine nel Biellese. Ora è a piede libero perchè la Corte d'Assise d'Appello di Torino, presieduta dal giudice Emilio Germano, lo ha riconosciuto malato ed ha deciso la sospensione della pena. E' il primo giorno d'interrogatorio per gli imputati. Massiccio, vestito dimessamente in spezzato beige, stivaletti neri. Ciulla non riesce a dissimulare lo sforzo per mostrarsi «disponibile» verso i giudici. Chiama «eccellenza» il presidente. Dalberto Cassone, ed «eccellenze» i giudici a latere. Parla molto, sorride spesso e nervosamente. gesti- cola per sottolineare il proprio punto di vista, si risente quando gli fanno notare contraddizioni, ma poi sorride ancora, accomodante. Parla per dire il meno possibile, per smussare circostanze sfavorevoli, per sottolineare e spiegare, dal suo punto di vista, situazioni imbarazzanti. L'accusa ritiene che quella cella sotterranea sia servita per tenere ostaggi, forse di altri sequestri: lui ribatte, con un tono fra sdegnato e mortificato: «Ma quale cella, eccellenza? Quale cella? lo. mi ci mettevo li dentro. Che c'entra la cella? A San Vittore sono le celle!-. Il lavoro lo aveva ideato da sé. nel progetto iniziale «firmato» da Francesco Guzzardi, il «padrino» ucciso a pisto- Iettate a Cesano Boscone pochi giorni prima dell'apertura di questo processo, non erano previste stanze sotterranee. Dice questo perchè vuol far capire che lui con la pianificazione del crimine di una banda organizzata proprio non c'entra e perchè, in fondo, neppure il «padrino», il «signor Guzzardi- come lo ha sempre chiamato, poteva avere parte nei loschi traffici della mafia. Ma l'uomo conosce molta gente il cui nome si trova nelle carte dell'inchiesta per i sequestri. Naturalmente, dice, sono conoscenze ovvie, sovente superficiali. Si fanno affari insieme, e quasi neppure si sa con chi. Quando lo arrestarono per le rapine a Biella, aveva in tasca la patente di certo Giuseppe Palma. Ci vogliono mezz'ora e una serie cospicua di domande per fargli venire alla mente il volto di «questo Palma-: un manovale dei cantieri Guzzardi. un tale che. tuttavia, acquistava lotti di terreno a Zibido San Giacomo insieme al «signor Guzzardi-, a lui stesso Ciulla o, meglio, a sua moglie Francesca Billeci. Valore degli appezzamenti: 56 milioni, pagamento in gran parte in contanti, come ricorda il presidente, «con biglietti da 10 mila-. E l'acquisto di terra e cascine, secondo l'accusa sostenuta in aula dal P. G. Giovanni Caizzi. è fra i mezzi usati per riciclare il denaro. Cosi Ciulla avverte il pericolo vicino, e ancora più grave lo giudica quando gli chiedono come poteva un semplice manovale entrare in affari con loro, persone ormai benestanti. «Afa lo sa, eccellenza, quanto guadagna oggi un manovale-?, chiede. Poi. con aria da cospiratore, dice: «Sei mila lire all'ora, guadagna-. Stamani l'interrogatorio riprende. Prima del «picciotto» cresciuto era stato ascoltato Giuseppe Pullara, condannato in primo grado a 13 anni per concorso in sequestro di persona e a piede libero anch'egli perchè «ammalato-. Subito precisa di non aver mai avuto «rapporti diretti con Coppola-. Il prete, fra le sue molte attività, gestiva anche un'azienda vinicola. Per quello si conoscevano. Liggio si. era un suo amico da un anno e mezzo: -Ma lo conoscevo soltanto sotto il nome di Antonio Ferruggia. Io non leggo mai i giornali, non ho quindi mai visto la sua foto. Era un cliente, un intenditore di vini, diventammo amici-. Tanto che, a varie riprese, il buon Ferruggia gli avrebbe prestato 100 milioni. Pullara, secondo l'accusa, fu colui che indicò in Rossi di Montelera l'uomo da rapire. Nega tutto, naturalmente, con ostinazione. Nega di aver conosciuto Nello Pernice, anch'egli amico di Liggio e anch'egli coinvolto nel processo; nega di conoscere il banchiere Ugo De Luca, del Banco di Milano, legato a Sindona. il cui numero di telefono segreto era sull'agenda di Liggio. La passerella degli «innocenti» prosegue e oggi sentiremo altre «verità». In aula non c'è Liggio: questo processo non gli interessa. Vincenzo Tessandori Milano. Un momento del processo d'appello per i rapimenti di Torielli e Rossi di Montelera