Depressi, cerchiamo l' eros-rivoluzione di Gianni Vattimo

Depressi, cerchiamo l' eros-rivoluzione SOCIOLOGIA E UTOPIE DELL'AMORE Depressi, cerchiamo l' eros-rivoluzione Siamo (ancora) capaci di innamorarci? E' la domanda che probabilmente si sono posti molti lettori dell'ultimo libro di Francesco Alberoni (Innamoramento e amore. Garzanti), giungendo spesso a conclusioni malinconicamente negative: forse quell'esperienza «strarompente» che è. nella descrizione di Alberoni. l'innamoramento è possibile, magari ricordiamo di averla vissuta in altri momenti della nostra esistenza e in altri climi storici, ma oggi resta un'eventualità puramente mitica, che. appunto come il mito, vale come modello ideale, ma sempre di fatto irrealizzabile. Questo disagio in cui si trova il lettore a confrontare la propria esperienza con il modello enfatico dell'innamoramento costruito nel libro, per Alberoni va benissimo; nel senso che. come egli scrive, «di rivoluzioni nella vita se ne fanno poche», e l'innamoramento è proprio il mettersi in moto di «una dirompente forza rivoluzionaria», la nascita di «un movimento collettivo a due», che possiede tutti i caratteri innovativi di quelle che. nella storia, si chiamano le rivoluzioni. Ma proprio per questo, il momento assolutamente straordinario che nella vita di ciascuno rappresenta l'innamoramento — una sorta di individualtssima «presa del Palazzo d'Inverno» — non può che rimanere qualcosa di mitico, come lo sono le grandi rivoluzioni nella storia delle società. Si pensa ai versi di Holderlin: «Solo a momenti l'uomo sostiene pienezza divina. Sogno di essi è, dopo, la vita». Un tale modello di esistenza, in cui alternano, per usare i termini di Alberoni. momenti di «stato nascente» e periodi di istituzionalizzazione e routine, è però un modello profondamente pessimistico e reattivo: «Nessuno si innamora, scrive Alberoni. se è, sia pure parzialmente, soddisfatto di ciò che ha e di ciò che è. L'innamoramento scaturisce dal sovraccarico depressivo, e questo è una impossibilità di trovare qualcosa che ha valore nell'esistenza quotidiana». Con questo, ci sembra, ogni rivoluzione (a due o più) è bell'e finita: se l'esistenza è necessariamente e sempre alternarsi di momenti di intensità a periodi di depressione e insoddisfazione, ogni speranza rivoluzionaria è illusione, giacché tutto deve sempre ricadere nella piattezza del quotidiano, che in tal modo finisce per trionfare: l'innamorato appassionato di un tempo diventa presto il padre di famiglia assillato dalle cure del ménage, annoiato e depresso, pronto dunque a vivere un nuovo «momento magico», secondo lo schema del più vieto fumetto. Ma che conto potrà fare di una «illuminazione» che gli appare di tra le tenebre di una siffatta situazione di depressione? Nietzsche metteva in guardia dal prender per vero ciò che è troppo evidente, perché probabilmente ci appare tale solo in quanto è più conforme ai pregiudizi diffusi: lo stesso forse si potrebbe dire dell'innamoramento alberoniano: è tanto più intenso e straordinario quanto più disperata è la situazione che lo precede e lo fa nascere. Forse, allora, non siamo (più) capaci di innamorarci perché non siamo abbastanza infelici e depressi. Ma dovremmo augurarci di esserlo, per poter di nuovo, almeno una volta, provare l'esperienza dell'eros strarompente che ci fa uscire dalla nostra mediocrità quotidiana? Non stiamo riducendo troppo facilmente all'assurdo le tesi di Alberoni. Il fatto è che ogni credenza nei «momenti pieni», in esperienze culminanti di autenticità e di verità, in quello che gli inglesi, con termine greco, chiamano il climax, porta con sé il parallelo riconoscimento che tutto ciò che sta fuori da questi momenti privilegiati è privo di vero significato. Non a caso il termine climax si usa soprattutto per indicare il momento culminante di un dramma o di un romanzo, comunque di una finzione letteraria: è nella letteratura (e non solo in quella rosa, come hanno insinuato alcuni critici di Alberoni) che si dà una gerarchia in cui è previsto uno scioglimento, nel quale l'eroe, e il lettore, si appropria finalmente del senso della storia, del senso dell'opera e in fondo del senso dell'esistenza. Alberoni crede che questo ritmo di insignificanza e pie¬ nezza valga anche per l'esistenza reale: con ciò. però, assume anche come normale che in essa i momenti di significato pieno nascano sempre dall'insignificanza e dall'insoddisfazione. La filosofia del climax si rovescia così nella pura e semplice accettazione dell'insignificanza, che si ristabilisce fatalmente dopo ogni momento illusoriamente straordinario. Ma questo appaiarsi di climax e insignificanza è un gioco esclusivamente letterario, almeno per la nostra esperienza odierna (e forse per ogni tempo). Questa esperienza non prevede un cosi marcato distacco tra momenti pieni e insignificanza di fondo. Si dirà che ciò dipende dal fatto che non ci è più dato vivere esperienze di pienezza, perché l'esistenza moderna è massificata, livellata, pianificata. Se non conosciamo più grandi eroi o grandi peccatori è perché tutta l'esistenza è caduta sotto il segno dell'inautenticità, dell'impersonale, in una società dove il dominio generalizzato ha cancellato anche il ricordo e il bisogno della libertà... In fondo, questa sarebbe la risposta di Alberoni al lettore che trova mitico il suo modello dell'innamoramento. Ma è ragionevole domandarsi se. invece. la scomparsa di climax e di eroi non indichi che l'esperienza si apre a forme nuove in cui non vige più la contrapposizione tra pienezza e insignificanza. Lo sviluppo della società moderna mostra dovunque una tendenza a ridurre e ad annullare questa forbice, e non solo nel senso di appiattire ogni cosa nell'insignificanza. Non aver capito questo è uno dei limiti gravi di tutto l'umanismo rivoluzionario al quale Alberoni. con questo libro, si riporta. Forse non ci innamoriamo più. nel senso di Alberoni. anche perché esperiamo relazioni erotiche ed affettive più equilibrate e molteplici, che ci sono diventate consciamente accessibili con la caduta di tabù e interdetti. L'esistenza sembra avviata a sfuggire all'enfatica alternativa tra pienezza e insignificanza, verso una condizione più ironica. Su ciò insistono gli autori di un altro libro che. molto opportunamente. Garzanti pubblica nella stessa collana in cui è uscito quello di Alberoni: il libro è 11 nuovo disordine amoroso; gli autori sono Pascal Bruckner e Alain Finkielkraut. discepoli, in varia misura, di Foucault. Lyotard. Deleuze. Nella loro prospettiva, l'enfasi posta sull'innamoramento come attimo di pienezza si rivela legata a una cultura che rimuove l'affettività e l'erotismo diffusi a tutti i livelli dell'esperienza, per concentrarli e delimitarli in alcuni momenti precisi, in alcune zone del corpo e in alcune attività determinate. E' da questa rimozione che nasce anche, in ultima analisi, l'opposizione tra pienezza e insignificanza, presente in varie forme in tutta la nostra tradizione, e non solo nel modo di considerare l'amore. Il «disordine» preconizzato da Bruckner e Finkielkraut è la liquidazione di questi schemi gerarchici, a favore di una più accentuata attenzione ai significati — e ai piaceri — che si possono esperire nella periferia dell'esistenza, in una quotidianità riscattata anche perché liberata da ogni soggezione a enfatici modelli di autenticità. Gianni Vattimo