«Vincerò i terroristi turchi» di Igor Man

«Vincerò i terroristi turchi» INTERVISTA CON DEMIREL A POCHE ORE DALLA SCONFITTA DI ECEVIT «Vincerò i terroristi turchi» «Ho una formula», dice il capo del Partito della Giustizia, «restituire allo Stato dignità, forza, autorità» - La fedeltà alla Nato «è fuori discussione», ma la Turchia non sostituirà l'Iran come baluardo dell'Occidente: «Non vogliamo diventare un bersaglio» - Le basi americane ora funzionano, ma «non si sa bene come» - Cosi affronterà i gravi problemi economici DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ANKARA —All'opposto di Bulent Ecevit, minuto, nevrotico, una 'testa d'uovo- in, versione orientale, Suleiman Demirel, il suo avversario di sempre, è solido e atticciato. Questo figlio di contadini divenuto ingegnere, è un po' il' simbolo della vecchia Turchia rurale catapultatasi nella modernizzazione. Massiccio e irruente come i tori della provincia d'Isparta, dove è nato 54 anni fa, più che un uomo politico sembra un padrino. Gli occhi lividi tradiscono intelligema e astuzia, autorità (i suoi collaboratori — l'ho visto — gli baciano la mano); ma a parlare con lui ci si accorge come sia un autentico animale politico, abile e tenace. Mi riceve nel suo studio, al quarto piano del Partito della Giustizia, in un trionfo di lampadari, moquettes avana, divani, divanetto tavoli, poltrone di pelle fra le più comode. La sua scrivania è immensa. Veste un abito blu gessato, è fresco di barbiere. Mi offre con un gesto ampio della mano nodosa cioccolatini avvolti nella stagnola, merce rara in Turchia dove è finan-' co sparito il caffè. Il 14 ottobre, subito dopo la iclamorosa sconfitta del Partito Repubblicano, Demirel tuonò: «Ecevit deve dimettersi immediatamente». Ebbene, Ecevit ha rassegnato le dimissioni sema por tempo in mezzo, tocca dunque a Demirel scendere in campo. «Un momento, risponde, assume¬ re l'Incarico dì primo ministro non dipende da me. Intanto è necessario seguire tutta una procedura non certo rapida, poi occorre avere l'appoggio necessario in Parlamento. Inoltre non s'è ancora riunito il comitato direttivo del mio partito, non abbiamo ancor* fissato una 11'nea di azione. Sono in definitiva poche ore che Ecevit, dopo lo schiaffo ricevuto dal popolo, si è dimesso. E' prematuro parlare d'incarico». Forse lei mira a elesioni, anticipate? «Il problema non si pone in questo momento». Non è un mistero che Demirel sia contrario e a un governo con le destre e gli islamici e a un governo di minoranza: punta a un governo elettorale retto da un indipendente. Ma non vuole ammetterlo, cosi, alla fine, dice: «Certo, se le condizioni per assumere l'incarico si realizzassero non potrei rifiutarmi. Sarebbe un dovere per me». Lei viene indicato oggi, come l'uomo chiave... «Sono stato sempre l'uomo chiave della Turchia. E le dico che riuscirò comunque a tirar fuori dal guado il Paese, 1 problemi non sono insolubili». Non sono insolubili? Dodici miliardi di dollari di debito estero, il terrorismo... «tanto per cominciare non è che i debiti debbano esser pagati in un anno bensì in trenta. Non c'è Paese, poi, che non abbia debiti, quello della Polonia, ad esempio, è di diciotto miliardi di dollari e anche l'Inghilterra si è fatta prestare 5 miliardi dalla Banca mondiale». Allora chiederete nuovi prestiti? «Naturalmente. La questione, tuttavia, è un'ajtra: Ta Turchia raggiungerà il livello di sviluppo dell'Europa occidentale nell'anno Duemila o fra duemila anni? Io dico nel Duemila. Per raggiungere simile obiettivo occorre ottenere prestiti ma non necessariamente da questo o quel Paese. Sul mercato europeo ci sono 500 miliardi di dollari, euro e petrodollari, che cercano uno sbocco. Da tale immensa somma, in forza di una riacquistata credibilità finanziaria, la Turchia potrà attingere un miliardo e più di dollari all'anno, farli fruttare e restituirli.. Veniamo al terrorismo. «Ce anche in Italia. Abbiamo tuttora davanti agli occhi la tragedia di Aldo Moro». Appunto per questo — a parte le diverse caratteristiche del fenomeno, assai più ridotto da noi — le domando come pensa di poterlo stroncare. «Non ho paura del problema del terrorismo, non è impossibile stroncarlo. Ho una formula: restituire allo Stato dignità e forza, autorità. In ogni provincia v'è un "quartetto": governatore, questore, comandante della gendarmeria, procuratore della Repubblica. Basta lasciarli operare senza Interferenze politiche. Il contrario di quel che si è fatto sinora». La matrice del terrorismo turco è sociale o politica? «Non c'è nessun legame tra la depressione economica e la violenza. Codesto legame è una fola tirata fuori dai nostri nemici. Dietro il terrorismo turco c'è il comunismo. I poveri, i disoccupati non c'entrano. Si tratta di violenza organizzata per colpire il regime, per scardinare lo Stato. Guardi: noi del Partito della Giustizia siamo stati al governo dal '68 al '78. Ebbene, in dieci anni abbiamo avuto in tutto 508 morti. In ventuno mesi di governo ;Ecevit ci sono stati 2300 morti». Lei dice che dietro il terrorismo c'è il comunismo. Ma mi risulta esistere anche un terrorismo di destra. «Prima dell'aprile del 1978 non esisteva quello che lei chiama terrorismo di destra. Di fronte all'insipienza del governo, certi gruppi si sono organizzati per sbarrare la strada ai comunisti. Terrorismo di destra? Per far cosa, per rovesciare lo Stato? No. quei gruppi non hanno obiettivi politici. La loro è solo una reazione al comunismo. Comunque sia il crimine è crimine e bisogna colpire in ogni direzione, nessuno può sostituirsi allo Stato. Non si possono tollerare discriminazioni, colpendo solo una parte come si è fatto in questi due ultimi anni. Le dirò di più: prima del '78 non c'è stato nessun uomo di destra condannato per terrorismo». A questo punto Demirel si accende: «Vuol sapere la verità? E' stato il terrorismo che ha portato al potere il signor Ecevit! Quando noi eravamo al governo — due anni fa — hanno usato la violenza per poterci accusare di non essere in grado di reprimerla, per farci cadere, per denigrarci di fronte al popolo. Sennonché quando sono venuti al governo. Ecevit e compagni, il mostro che avevano partorito era diventato talmente grande da risultare indomabile. E del resto si son guardati bene dal toccarlo». Passiamo a un argomento meno sgradevole: i rapporti tra Stati Uniti e Turchia. Demirel lascia raffreddare un po' la domanda, poi: «Sono basati sul mutuo interesse, sulla mutua comprensione». risponde. »In passato, a causa della questione di Cipro sono sorte alcune divergenze ma non è che i ponti siano stati rotti. Non vi è nulla di irreparabile, stiamo facendo vicendevolmente sforzi per eliminare rancori e incom¬ prensioni, una certa freddezza». Il governo Ecevit ha chiesto agli Usa 4,5 miliardi di .dollari, il doppio degli aiuti previsti per il 1980. Lei chiederebbe la stessa cifra o qualcosa di meno? «Non so perché Ecevit abbia chiesto una simile somma. L'America non ha un suo bilancio, non può dare come Stato aiuti in misura eccessiva. Ma negli S.U. ci sono banche, enti finanziari eccetera: basta presentare progetti ragionevoli per ottenere i finanziamenti necessari». Lei pensa che la Turchia possa prendere il posto dell'Iran, diventare cioè, come si dice, il baluardo dell'Occidente in questa zona nevralgica del mondo? «Vorrei sapere che razza di baluardo fosse mai l'Iran. In pratica doveva impedire alil'Urss di arrivare al Golfo 'Persico. Ebbene fino a prova contraria l'Iran non è In mano ai russi». Ma dopo la rivoUuzione khomeinista gli ame[ricani hanno perduto in Iran ^quelle basi che permettevano 'loro di controllare l'Asia Minore sovietica. «Se è per quejsto, risponde Demirel con un lampo divertito nell'occhio, [con sufficienza, se è per queIsto hanno perduto anche le basi turche. Dopo l'embargo idi Washington la Turchia le ha chiuse, poi le ha riattivate e adesso funzionano non si Isa bene come. In ogni caso la !Turchla non permetterà che gli U2,1 famosi aerei spia, decollino dal suo territorio per' {eseguire ricognizioni altrove. La Turchia non accetta dì essere strumentalizzata. Non vogliamo diventare li primo bersaglio da colpire. Non abbiamo nessuna intenzione di sedere sulla bocca del cannone, chiaro! ». Chiarissimo. E con la Nato come la mettiamo? ■ «La nostra fedeltà alla Nato è fuori discussione». Qui finisce l'intervista con altra distribuzione di cioccolatini Una sola considerazione: quanti pensavano, specie negli Stati Uniti, che Demirel sarebbe stato un interlocutore meno ostico di Ecevit dovranno ricredersi. Igor Man