Fra gli 8 e i 10 anni le condanne alle Br per le offese ai giudici di Vincenzo Tessandori

Fra gli 8 e i 10 anni le condanne alle Br per le offese ai giudici Rapida camera di consiglio e sentenza a Firenze Fra gli 8 e i 10 anni le condanne alle Br per le offese ai giudici Il pubblico ministero aveva chiesto di meno e non interporrà appello - Ai 14 imputati 120 anni complessivi (a Torino per banda armata, sequestro, ne ebbero 140) - L'attacco al «padronato» (Fiat e Alfa «in testa»), al sindacato, al pei DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FIRENZE —■ Non è difficile cogliere il senso politico della sentenza per le Brigate rosse emessa ieri mattina dalla Corte di Assise di Firenze. I giudici hanno accolto soltanto in parte le richieste del p.m, aumentando di due anni la pena di ciascun imputato. Per i reati commessi dai brigatisti durante il «processo dei cento giorni» a Torino, cioè per le ingiurie alla corte, per l'apologia degli assassini! e per l'istigazione all'insurrezione armata, quindi per reati ideologici, le condanne sono fra gli 8 e i 10 anni. Ore 11,45. La Corte dopo due ore esce dalla camera di consiglio. Come scontato, gli imputati hanno rifiutato di venire in aula per ascoltare la sentenza: la gabbia è vuota; scarso il pubblico nel grande salone. Il presidente Pietro Cassano legge il dispositivo «in nome del popolo italiano» nel quale tutti gli imputati sono ••dichiarati colpevoli». Per Pietro Bertolazzi, Renato Curcio, Alberto Franceschini, Tonino Paroli la pena è di 10 anni; per gli altri, e cioè per Angelo Basone, Pietro Bassi, Alfredo Buonavita, Paolo Maurizio Ferrari, Vincenzo Guagliardo (unico latitante), Giuliano Isa, Airaudo Lintrami, Nadia Mantovani, Roberto Ognibene e Giorgio Semeria, 8 anni. In totale 120 anni. La Corte di Assise di Torino, che giudicò su reati assai più pesanti come il sequestro di persona, la costituzione di banda armata, la rapina, condannò i 14 imputati a poco più di 140 anni (le pene maggiori per Curcio e Bassi: 15 anni). In totale per 29 imputati la Corte irrogò 210 anni. Alla sentenza andata ben oltre le sue richieste che non erano state definite tenere, il p.m. Francesco Fleury è apparso sorpreso. Ha commentato: -Non interporrò appello». Un altro magistrato ha detto: -Una sentenza dura-. Questo processo dunque si chiude: è costato 100 milioni al giorno, ma altri dibattimenti di questo genere seguiranno fra poco: a Perugia, infatti, ne è previsto un secondo e altrove ne verranno discussi ancora. Terza udienza rapida nella quale di fatto i difensori d'ufficio hanno accolto la linea pretesa dai brigatisti. L'avvocato Francesco Pacchi, militante del pei, ha letto un documento di tre pagine nel quale il gruppo dei difensori d'ufficio sottolineava il disagio di dover ricoprire il ruolo di patroni non voluti nella speranza che venga rimessa in esame la recente decisione della Corte Costituzionale di obbligare l'imputato ad accet¬ tare il difensore tecnico. I brigatisti lasciano cosi Firenze, finisce lo stato d'assedio attorno alle carceri delle Murate di Santa Verdiana e alla Corte di Assise di appello in via Cavour. Rimane l'eco di un documento diffuso ieri: le linee di strategia politica tracciate dal gruppo, l'intervento sulla situazione nelle grandi fabbriche del Nord, alla Fiat e all'Alfa, l'attacco ai sindacati e al pei, con 1 padroni ormai considerati 'Classe dominante» anche se con ruoli diversi, subalterni. Per 11 proletariato, sostengono i brigatisti, l'alternativa alla sconfitta viene soltanto dalla lotta armata, anzi da loro, dai bierre 'Signori della guerra e del terrorismo». Scrivono: «/ sindacati, schiacciati nella morsa dell'esplosione incontenibile delle lotte operaie che si muovono sul filo di strategie di potere e la dura diretta risposta che il padronato Fiat e Alfa in testa comincia a dare, mentre abbandonano gli operai piit combattivi che hanno tirato le lotte, perdono ogni legittimità proletaria e si assegnano terrorizzati dallo scontro una funzione minoritaria: la difesa delle "lotte democratiche"!». L'attacco al partito comunista: 'Il pei incita i suoi sindacalisti alla deiasione organizzata, allo spionaggio più sbracato e fa i nomi e i cognomi delle avanguardie più combattive nella speranza dì qualche ricompensa». Le Br dunque tentano la difficile ricucitura delle «componenti della guerriglia», confermano in sostanza anche quello che da anni sostengono, cioè che le «avanguardie di lotta» nelle fabbriche sono potenziali terroristi. Certo, forzano la situazione e non per imprudenza ma per calcolo. Torino: laboratorio privile¬ giato di ogni strategia, operaia, sindacale, padronale e anche terroristica, è al centro dell'attenzione del «gruppo storico» delle Brigate rosse. »E' dalla Fiat dunque che ancora una volta si deve partire per cogliere l'essenza della congiuntura che attraversa la guerra di classe, la sua massima complessità. E questo non per riproporre una concezione operaista della centralità operaia né per rivendicare ideologie rinsecchite, certamente inadeguate a esprimere la grande forza che oggi molte componenti proletarie — ma non operaie — sprigionano nel loro movimento. Ci riferiamo, per fare un esempio, al movimento dei proletari prigionieri e alle sue lotte». Sono queste, insomma, le linee che le Brigate rosse, quelle che non sono dietro le sbarre, sono chiamate a seguire nei prossimi mesi. Vincenzo Tessandori Firenze. Il presidente della corte d'assise legge il dispositivo della sentenza contro i «Capi storici» delle Br (Tel.)

Luoghi citati: Firenze, Perugia, Torino