Il Nobel per la paese assegnato a madre Teresa una contadina croata nell'inferno di Calcutta

Il Nobel per la paese assegnato a madre Teresa una contadina croata nell'inferno di Calcutta La «piccola-grande suora della Carità» che lotta nel Bengala Il Nobel per la paese assegnato a madre Teresa una contadina croata nell'inferno di Calcutta DAL NOSTRO CORRISPONDENTE STOCCOLMA — Il Comi tato norvegese per il Nobel ha assegnato ieri il premio 1979 per la pace a 'Madre Teresa da Calcutta». Cosi dice seni plicemente il comunicato, forse perché il mondo ha proprio bisogno di chiedersi chi sia «mamma Teresa». A differenza dei Nobel assegnati in Svezia, quello per la pace è assegnato in Norvegia e non riporta mai una vera e propria motivazione. •Madre Teresa» è nata 69 anni or sono a Skopje, che allora apparteneva all'Albania. Da trent'anni vive e lavora a Calcutta ove ha svolto e svolge un'opera impareggiabile nella cura dei bisognosi e degli ammalati. w. r. un'oasi di llndore nella putrefazione della metropoli bengalese. E' una donna di scarse parole, minuta, apparentemente fragile; ma il volto rugoso esprime un carattere fermo, dolce ed autoritario allo stesso tempo. Senza queste doti non avrebbe realizzato la sua colossale opera di carità, estesa in ogni città dell'India, ed in alcuni paesi del Sudamerica. Nata in un villaggio croato nel 1911. entrò giovanissima in convento ed a 15 anni parti novizia per l'India destinata ad un istituto di Suore della Madonna di Loreto che curavano l'educazione delle fanciulle di buona famiglia, indiane ed inglesi. .Ma fuori da quell'ambiente c'era tanta miseria!» mi disse. Quando usciva per le vie di Calcutta si sentiva contristare dallo spettacolo dei lebbrosi, degli scheletri viventi abbandonati sui marcipiedi in attesa di morire di sfinimento. Nel dicembre 1949 abbandonò le suore di Loreto e fondò il proprio ordine le «Piccote suore della carità». Incominciò da sola, andando per le vie di Calcutta a curare ammalati, ad assistere moribondi. Trovò alcune compagne, allargò il suo giro di assistenza, ideò l'uniforme dell'ordine; un sari bianco di rozzo cotone, l'abito delle donne indiane povere, orlate d'azzurro. Fondò la «Casa della buona morte», la sua più dolente sovrumana, istituzione. Sorge nel più sinistro quartiere di Calcutta, a pochi passi dalla Kalighat Home, il tempio della sanguinaria Dea Kall alla quale, in tempi ancora recenti, i suoi sacerdoti, i thugs, immolavano vittime umane. In quel luogo disadorno, Madre Teresa accoglie ancora i rifiuti umani che le sue consorelle ed i «Piccoli frati», laici d'ogni nazionalità che hanno rinunciato a tutto per stare con lei, raccolgono sui marciapiedi e nei rigagnoli dell'iraconda, convulsa Calcutta. Quando la conobbi, Madre Teresa dirigeva 19 «Case della buona morte» sparse in varie città indiane e due nel Venezuela, assistita da 284 monache e 17 .Piccoli frati», tra i quali medici, ingegneri, industriali che avevano abbandonato ogni attività per stare accanto alla piccola, ferrea monaca jugoslava. A Nuova Dehll l'appuntamento settimanale era al Porte Rosso. Le autolettighe di Madre Teresa sono conosciute in tutta l'India; sul bianco della vernice recano scritto in inglese: «Tocca i lebbrosi con la tua pietà». Ho domandato a Madre Teresa se non avesse mai avuto paura di contrarre il morbo tremendo toccando i malati. .Con qualche precauzione il perìcolo si può evitare, ha risposto. Finora non mi sono contagiata. E' vero che la lebbra ha un'incubazione di dieci anni, quindi...». Un sorriso le illuminò il volto rugoso, asciutto, come intagliato nel legno, poi aggiunse: 'Forse San Francesco non ha baciato il lebbroso?». La carità, il senso di altruismo, la pietà per le sofferenze del prossimo, il duro temperamento di contadina croata le hanno consentito di realizzare un'opera ciclopica per una donna che ha incominciato da sola partendo dal nulla. 'Quanto facciamo — mi disse — è meno di una goccia nel mare. Pensi che solo a Calcutta ci sono 60 mila lebbrosi, quattro milioni in India. Eppoi ci sono gli altri del Sudamerica». Parlava mentre camminavamo fra le corsie della Cosa della buona morte» di Calcutta, e cercava di sminuire l'importanza della sua opera. Da sotto un cumulo di cenci emerse il braccio rinsecchito di una donna, e la mano scheletrita afferrò il bianco sari della monaca. Madre Teresa si chinò sulla morente, le impose la mano sul capo, un pic¬ colo, fragile cranio scarnito, la placò. Forse in quel momento un essere umano era morto senza un lamento, solo aprendo le labbra a suggere più aria. Madre Teresa non disse nulla, lasciò il piccolo essere inerte e continuò la visita a quelli ancora vivi. Al commiato, lei che non aveva quasi mai parlato di sé, svelò il suo nome, indirettamente. «Se va a Palermo — disse — cercai di mio fratello, si chiama Lazer Bojaxhin...». Questo accadeva nel 1966; oggi Madre Teresa ha ricevuto il Premio Nobel. Lo ricevette anche il dott. Schweitzer, che ha avuto in comune con Madre Teresa il senso profondo della carità, della rinuncia, della solidarietàconchisoffre. f. r.