Difficile partita in Turchia dopo le dimissioni di Ecevit di Igor Man
Difficile partita in Turchia dopo le dimissioni di Ecevit In seguito alla sconfitta nelle elezioni parziali Difficile partita in Turchia dopo le dimissioni di Ecevit Al leader del centro-destra, Suleiman Cernirei, toccherà l'incarico - Di fronte alle sue incertezze, e nel clima di violenza, potrebbero emergere i militari DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ANKARA — 'E'destino che il partito popolare repubblicano debba sempre passare la mano dopo aver avviato a soluzione problemi d'immensa portata. E' accaduto nel 1974, la storia si ripete oggi. Comunque sia, poiché il responso delle urne ci è stato sfavorevole, abbiamo ritenuto di doverci dimettere. E' quel che ho fatto stamani. Il governo rimarrà in carica per gli affari correntU. Cosi ha detto ieri Ecevit parlando ai giornalisti nella baracca in cemento posta all'Ingresso del sontuoso palazzo presidenziale, subito dopo il suo rapido colloquio (venti minuti) con il presidente della Repubblica. Poi Ecevit, disteso all'apparenza ma tormentato da un tic nervoso piuttosto molesto, ha fatto la storia dei suoi 21 mesi di governo. «Abbiamo raccolto un'eredità pesante, il Paese era alla rovina, il solo debito estero ammontava a 18 milioni di dollari. L'inflazione cresceva, gli assegni della Banca Centrale non venivano accettati, correva una barzelletta che rispondeva tragicamente alla realtà: la Turchia ha bisogno di 70 cents. Abbiamo fatto il possibile, nel rispetto delle regole democratiche, per sanare la situazione, ci siamo assunti la responsabilità grave di una politica di sacrifici. Cosi abbiamo recuperato la credibilità finanziaria, abbiamo ottenuto crediti, abbiamo rivitalizzato l'industria, abbiamo combattuto il terrorismo con imparzialità. Le elezioni del 14 si sono svolte nella calma, ci sono stati incidenti, ma pochi e di scarsa entità rispetto a quelli del passato. Se non ci fosse stata la consultazione elettorale avremmo potuto continuare la nostra opera di risanamento... Ma la storia non si fa con i se. Adesso siamo pronti a favorire l'opera del nuovo governo, nel rispetto delle regole democratiche, senza abiurare i principia. Più volte Ecevit ha insitito sulla necessità «impellente* di dare al Paese «subito», un governo efficiente. La Turchia attraversa una congiuntura difficile, non potrebbe sopportare una lunga crisi. Se il partito della giustizia tergiversasse, gli abbiamo chiesto, assumereste iniziative per sbloccare le crisi? «In questa fase della vita politica non sarebbe corretto. E' piii logico che Demirel si assuma la piena responsabilità della cosa pubblica. Se poi, in forza delle circostanze, tanta responsabilità dovesse toccare di nuovo a noi sapremmo assumerla con coraggio e impegno-. Colui che è stato chiamato «l'Allende del Bosforo», ma che in realtà è stato osteggiato dalle sinistre le quali, come si dice in gergo, lo hanno mol¬ lato, si è dimesso subito togliendo argomenti all'offensiva politica di Demirel. Non solo, è pure riuscito a mettere 'in difficoltà il suo avversario che ora si trova a un bivio: o assumere immediatamente l'incarico o rischiare di vedersi scavalcare da un nuovo governo Ecevit. Anche perché non sembra possibile che si possa arrivare, come vorrebbe Demirel. ad elezioni anticipate. La Costituzione turca non offre sufficienti margini di manovra in questo senso e il partito della salvezza (integralista islamico) è contrario a una consultazione anticipata. Solo l'estrema destra di Turkes gli è favorevole essendo passata dal 7 al 9%. E' dunque cominciata una partita che si profila aspra. Dovrebbe portare allo sfascio o, nella migliore delle ipotesi, a un cosiddetto «interregno militare». Oli osservatori occidentali non nascondono la loro preoccupazione. Il ruolo importante della Turchia nella Nato, gli accordi militari turco-americani, la disponibilità di Ankara ad aiutare Washington nella verifica del Salt-2. la questione di Cipro, danno rilievo internazionale alla crisi turca. E' dunque anche nell'interesse dell'Occidente che la crisi venga risolta «presto e bene». La Turchia è indispensabile al dispositivo di sicurezza occidentale, soprattutto dopo la perdita delle basi americane in Iran che consentivano il controllo dell'Asia Minore sovietica e in conseguenza del riavvicinamento tra Grecia e Urss. Il governo Ecevit ha prorogato di tre mesi Io «status temporaneo» di cui godono le basi Usa dall'ottobre del '68. Però Ecevit ha chiesto aiuti militari per 4,5 miliardi di dollari. Ma atteso che Demirel vada al governo, sarà in grado di raddrizzare la rotta di quel battello impazzito che è oggi la Turchia? Sembra difficile, anche per lui si pone il problema della cosiddetta ingovernabilità. Una alleanza con gli integralisti islamici e con gli estremisti di destra è sempre possibile, però metterebbe Demirel di fronte al pericolo di una ripresa del terrorismo,, questa volta alimentato da sinistra. E una ripresa del ter¬ rorismo porterebbe alla guerra civile, non più strisciante ma effettiva. Si rlschierebbe, insomma, la llbanlzzazione della Turchia. Torniamo al punto di partenza: solo un intervento dell'esercito, non importa se diretto, potrebbe risolvere la crisi. Igor Man lliiiliillimiiliiiliillilllmmiiimiiiiiliiiiiiini
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