Curcio sulla rivolta dell'Asinara «Potevamo fare una strage» di Vincenzo Tessandori

Curcio sulla rivolta dell'Asinara «Potevamo fare una strage» Il racconto alla prima udienza in Corte d'Assise a Firenze Curcio sulla rivolta dell'Asinara «Potevamo fare una strage» «Abbiamo lanciato bombe solo a scopo dimostrativo, perché il sangue non ci piace» - Il processo è per le ingiurie e le minacce ai giudici di Torino - Gli imputati ricusano i difensori e insultano il presidente: «Sta zitto, pancione» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE FIRENZE — Comincia un ennesimo giudizio alle Brigate rosse e si avverte la sensazione che forse sia finito il tempo del .processo di guerriglia». Si attendeva con preoccupazione il dibattimento qui a Firenze per gli insulti alla corte di Torino durante il processo dei .700 giorni., ma la prima udienza scorre nel rispetto stretto di una liturgia prevedibile e logora: revoca dei difensori di fiducia da parte degli imputati; minacce ai patroni d'ufficio, battibecco fra il presidente Pietro Cassano e Renato Curcio. una sorta di dialogo fra sordi scivolato nel ridicolo; espulsione di tre imputati; rinvio a stamane per la richiesta del termini di difesa presentata dai difensori nominati d'ufficio. Ma, parallelo al ' dibattimento, si snoda il racconto di quello che è accaduto all'Asinara due settimane or sono. E' il racconto che Curcio fa attraverso le sbarre della gabbia al suo difensore, avv. Giannino Guiso. E' una cronaca dai risvolti politici e ideologici. Dice il brigatista: -Nelle celle ci sono buchi grossi cosi perché loro hanno sparato-. Perché la rivolta? Non pare sia stato un tentativo d'evasione, è ancora da verificare se dall'isola sia possibile scappare. Ma la situazione fra guardie e detenuti all'interno del supercarcere è da sempre incandescente. Afferma Curcio: 'Sono stato in altre carceri speciali dove gli agenti fanno il loro lavoro e cercano di non scatenare l'aggressività». All'Asinara sarebbe diverso: «Abbiamo sopportato una volta, due volte, ma un giorno abbiamo detto basta e nonostante tutto siamo stati buoni. Non è andata bene a noi, ma a loro». Ci sono state ore di battaglia fra le mura della diramazione .di massima sicurezza» dei fornelli con spari da parte degli agenti e lancio di rudimentali bombe a mano dalla parte dei brigatisti. Afferma Curcio, e si riferisce agli' agenti e ai carabinieri intervenuti: «Abbiamo detto loro di stare attenti perché invece di tirare quello che avevamo a venti metri di distanza glielo potevamo tirare addosso». Si trattava delle bombe. Più tardi, a fine udienza, Alfredo Buonavita, che è detenuto a Termini Imerese ed è stato protagonista di un'altra sommossa, dirà: «All'Asinara vennero gettate tre bombe a mano dimostrative; altre due. micidiali, furono consegnate». Perché «micidiali»? «Erano al plastico: mezzo chilo». Ancora Curcio: «.Abbiamo conquistato degli spazi e loro hanno voluto chiuderli, ma indietro non si torna. Hanno usato gas ustionanti questa volta». Interviene Tonino Pardi: «Hanno sparato almeno diecimila colpi e usaw il gas». e mostra a Guiso la gamba destra: «E' una piaga di notevoli proporzioni», assicura l'avvocato, l'unico che sia riuscito a vederla. Poi le condizioni di vita dell'isola-fortezza. Sostiene Curcio: «E' un problema di sopravvivenza. Lì non sai più se sei prigioniero dello Stato ita¬ liano o di questi buzzurri. E poi a noi non ce ne frega proprio niente di quello che può accadere e ci possono anche mettere sotto terra: ma questo è un banco di prova perfetto di quello che è lo Stato italiano». Il processo va avanti. L'atteggiamento del presidente Pietro Cassano sembra voler convincere che per lui questo non è un dibattimento politico. Eppure. Palazzo Buontalenti. dove ha sede l'aula della corte d'assise d'appello, è protetto da almeno trecento uomini, il pubblico viene schedato e perquisito. La gente in aula non è numerosa: ci sono molti parenti, visi ormai noti. C'è anche al completo una scolaresca: la quinta Istituto tecnico per il turismo. Sono venuti a scopo didascalico, spiega l'insegnante. Dall'Inghilterra, che ha problemi forse anche più gravi dei nostri col terrorismo, è arrivata un'equipe televisiva della BBC. Sono le 9.30 quando arrivano gli imputati. Nella gabbia, per primo, entra Pietro Bassi, poi Paroli. Curcio, Angelo Basone, Alberto Franceschini e Pietro Bertolazzi: nell'altro settore, diviso da una cancellata, vanno Giuliano Isa. Giorgio Semeria. Paolo Maurizio Ferrari. Arìaldo Lintrami. Buonavita e Roberto Ognibene. Fuori dalla gabbia c'è Nadia Mantovani. I brigatisti hanno i volti scavati. molti appaiono sensibilmente dimagriti. Alle 9,45 entra la corte: i due giudici togati, due donne e due uomini. E di fianco, sereno come sempre, il p.m. Francesco Fleury. Il presidente fa l'appello. Il primo dell'elenco è Basone. Il brigatista si alza e dice: «Parlo a nome di tutti. Revochiamo gli avvocati, diffidiamo quelli d'ufficio a parlare per noi e per quanto ci riguarda prenderemo la parola quando lo riterremo opportuno». Ma il presidente fa finta di non sentire: «Bassi? C'è? dov'è?...». Qualcuno risponde a monosillabi. «Bertolazzi, Buonavita, Curdo...». «Si, si», risponde l'ideologo del gruppo. Il presidente: «Dov'è? Chi è?». Ancora Curcio: «Ci sono, ci sono, non scappo». E ancora l'elenco: «Guagliardo: ah!, questo è latitante... Belli: questo è deceduto come da certificato». Si va avanti. Camera di consiglio e, dopo tre quarti d'ora, nomina dei difensori d'ufficio: Ferruccio Fortino. Roberto Lucchini, Alfredo Guidotti e Francesco Mori. Qualcuno si dice disposto a tutelare un solo imputato, cosi si alza l'avv. Franco Pacchi, militante del pei, che si dichiara disponibile «per risolvere la situazione». Intanto, Curcio vuole parlare e il presidente cerca di ignorarlo, poi lo zittisce due volte. La terza il brigatista non gli dà retta: «Dopo tre anni ci riproponete la stessa contraddizione, ci volete far accettare i difensori di regime. Tireremo tutte le conseguenze da questo fatto. La soluzione di rissa l'avete scelta voi». Presidente, stizzito: «Allontanate dall'aula quel detenuto che parla e che non so neppure come si chiama». Interviene il p.m. Fleury: .Afa ha già finito». Presidente: «Quello li che disturba, voglio dire». Curcio: «E' lei che disturba me». Presidente: «La corte si ritira in attesa che sia allontanato questo imputato di cui non conosco ancora il nome. Non è questo il momento di parlare». Curcio allora ribatte: «Lei par/a quando le compete, io parlo quando voglio». Infine, il brigatista esce dalla gabbia. Ma non è finita. Rientra la corte e in una tranquillità perfetta almeno apparente dà lettura dei capi d'imputazione: sono gli insulti alla corte ài Torino durante il processo dei cento giorni, l'istigazione all'insurrezione armata, la formazione della banda armata. Nel pomeriggio l'avv. Guiso è alle Murate per parlare con Curcio. e c'è ancora una spiegazione per quello che è successo, ma soprattutto per quello che non è successo all'Asinara. Racconta Guiso: «Curcio mi ha detto: "Potevamo fare una strage, ma il sangue non ììiì piace"». Vincenzo Tessandori

Luoghi citati: Firenze, Inghilterra, Termini Imerese, Torino