Bussotti: il partigiano e la vecchia maestra di Massimo Mila

Bussotti: il partigiano e la vecchia maestra LA SUA NUOVA OPERA A TREVISO Bussotti: il partigiano e la vecchia maestra DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TREVISO — Con un coraggio di cui non danno prova i grandi Enti lirici della categoria superiore, il Comunale di Treviso, «teatro di tradizione», dà inizio alla stagione dell'Autunno musicale trevigiano presentando una novità assoluta, l'ultimo prodotto del «Bussottioperaballet»,' secondo la sigla un po' baracconistica a cui Sylvano Bussotti si dichiara singolarmente affezionato: «Inventata per necessità di capriccio meno di cinque anni or sono; spiegata sempre quale principale pratica dell'ironia e dell 'autocritica». Lo spettacolo si compone di un'opera, anzi, delle «rappresentazioni liriche in un atto» intitolate le rarità. Potente e di un breve balletto, con musica in parte elettronica e comunque interamente registrata. Autotono. L'importante è naturalmente le rarità, Potente. Così, con la elle minuscola e virgola prima di Potente. Sono tre episodi, preceduti da una introduzione o ouverture, che prende il nome di Frontespizio, e tale si presenta infatti nell'elaborata grafia la prima pagina della partitura. E' noto quale nodo di affetti, ricordi, sentimenti privati si colleghi nella poetica di Bussotti all'aggettivo «raro» e ai suoi derivati: Raro è una persona, ma anche più di una persona; qualche cosa com'era Laura — parva si licet... — per il Petrarca. Alle «rarità» vanno ascritti i primi due episodi: gli Haschischini, leggenda orientale, e Blu di Prussia, apologo antimilitarista tratto da un lavoro di Romano Amidei, che già aveva collaborato con Bussotti per l'opera Nottetempo. Potente, invece, è rievocazione dell'eroico partigiano toscano che aveva assunto questo nomignolo e che morì il giorno della liberazione di Firenze, Si sarebbe tentati, naturalmente, di identificare le rarità e Potente con quelle due sfere che oggi è d'uso designare quali il privato e il pubblico. E in certo senso è cosi, ma va subito precisato che le due cose s'interpenetrano, perché anche l'oriente fiabesco da Mille e una notte del primo episodio (originato però da un racconto di Marco Polo nel Milione) configura tuttavia, pur nel suo estetismo volutamente oleografico e kitsch, un caso di coscienza morale e civile (un cammelliere che deve intraprendere un duro viaggio rifiuta il narghilè drogato offertogli, o piuttosto ingiuntogli, dalla setta degli Haschischini, e viene da costoro ucciso). Quanto a Blu di Prussia, nonostante il simbolismo onirico di personaggi nebulosi quali La Donna e La Signora, è pur sempre una professione di fede antimilitarista e si aggira intorno a un Soldato, in sfarzosa divisa ad alamari, e a un Poliziotto che si straccia la divisa di dosso, recitando una contritissima palinodia («che fottuto bastardo son io!...») Per contro la rievocazione del partigiano è tutta calata entro una luce umanissima di affetti familiari attraverso il dolce delirio della vecchio maestra elementare di Potente che. in pensione, viene ogni giorno a sedere sulla panchina sotto il monumento del partigiano nella piazza del paese, per colloquiare con l'antico allievo e sferruzzare al corredino del bambino che da lui crede di aspettare. Il suo delirio si materializza nello sdoppiamento della statua in un giovane ginnasta che in braghette da atleta e fazzoletto rosso garibaldino annodato sul petto nudo si esibisce in ardui esercizi sulle parallele (primo caso, certamente, in cui questo attrezzo si trasferisca dalle palestre sulla scena lirica). Quest'ultimo episodio è di gran lunga il più esteso e il più importante, ed è anche quello dove la musica si impossessa più a fondo dell'azione, salendo anche sul palcoscenico (negli altri due la musica si limita a interventi strumentali, e i personaggi sono affidati ad attori che recitano in modo artificioso, ora ai limiti del canto, ora ai limiti dell'impercettibilità). D monumento sul palcoscenico è al partigiano, col suo mitra imbracciato di traverso, in una figurazione volutamente rozza e sempliciotta: ma l'episodio in sé è un monumento alla vecchia maestra deamicisiana, e più che una celebrazione di glorie patrie o resistenziali è un atto intimissimo di devozione filiale. La vecchia maestra in pen¬ sione entra a vele spiegate nel- ta galleria dei più commoventi personaggi femminili dell'opera lirica, e basterebbe da sola a collocare le rarità, Potente sopra un alto piedistallo. Il suo delirio si estrinseca in un'aria, o piuttosto una pirotecnica cadenza vocale che scoppia come un fuoco d'artificio illuminando, dal fondo a ritroso, tutta l'opera. Dorothy Dorow la canta con una bravura che la fa ascrivere definitivamente tra le grandi interpreti della musica moderna. In presenza di ciò. poco importa se non ci persuade molto il preziosismo artefatto del sogno d'oriente di Bussotti (che l'ha però realizzato in modo gustoso attraverso la scena e i costumi, assai più che nelle parole) e il fumoso simbolismo dei dialoghi che s'intrecciano intorno al Militare. La musica, però, è sempre buona. Poca, ma buona. Non partecipa affatto dello snobismo che grava sul testo e sullo spettacolo. E' musica del migliore Bussotti, quello di Rara Requiem, dei Madrigali all'Italia, del Bussotti che fa tesoro degli in: segnamenti di Max Deutsch (il suo buon genio), che si tiene vicino a Schònberg e a Daliapiccola, e nello stesso, tempo manifesta pienamente una personalità del tutto originale. E' musica per pochi strumenti solisti (tra cui due pianoforti), spesso usati isolatamente, specialmente il flauto (e più ancora l'ottavino, cui spetta un a solo memorabile), il violoncello e il corno, gratificati talvolta di aperture piene di patos espressivo. Eseguiva il Gruppo Strumentale «Divertimento Ensemble», rotto a tutti gli ostacoli della musica d'avanguardia, questa volta sotto la direzione espertissima e affettuosa di Gian Piero Taverna. Le altre voci cantanti sono quelle di Rosa Laghezza. Dano Raffanti. Giancarlo Luccardi. che verso la fine dell'opera si uniscono spesso in nobili polifonie corali (anche col concorso d'un coro di voci bianche e uno di baritoni), molto belle e alte, anche là dove il simbolismo riprende piede con un improbabile ballo delle pecore (l'ottimo flautista Roberto Fabbriciani in scena, in veste di Pastore) e col Finale al Mare, dove un carro armato e una potente auto sportiva, calati un po' comicamente dall'alto del palcoscenico, dovrebbero stritolare il personaggio del Sogno: affidato a Rocco, l'interprete bussottiano per eccellenza, esso percorre tutta l'opera e dovrebbe costi tuirne, insieme alla Memoria, cui l'opera stessa è dedicata, la chiave interpretativa. Ma forse vi addensa su un po' di nebbia. Recitavano Gabriella Bartolomei, Giorgia O'Brien, Luigi Mezzanotte. I cori sono istruiti da Francesco Prestia (reclutato a Susa in occasione del Barbiere con regìa di Bussotti). Le scene questa volta non erano di Tono Zancanaro. ma se le è fatte Bussotti stesso: piacevoli, divertenti, montagne che sembrati vere, grotte, caverne, boschi, piazzetta del paese, tutto raccontato con un gusto matto di giocare al teatro, gusto che non può accontentarsi di allusivi astrattismi scenici. A Tono è dedicato, come un umoristico omaggio, il balletto seguente, Autotono, sostenuto da cinque ballerine, ma anche qui la scena e i costumi e le bambolone femminili snodate e semoventi, grottescamente maggiorate, non sono di Tono, bensì del regista Fiorenzo Giorgi. La coreografia di Geoffrey Cauley. Questo balletto, che pure non sembra aggiungere molto ai meriti di Bussotti, ha avuto un successo incondizionato. L'opera, ascoltata religiosamente in un teatro esaurito, è stata accolta con lunghi applausi prevalenti sopra civili e comprensibili dissensi. Incondizionato però il plauso agli esecutori. Massimo Mila

Luoghi citati: Firenze, Italia, Prussia, Treviso