La Turchia oggi alle urne sconvolta dal terrorismo di Igor Man

La Turchia oggi alle urne sconvolta dal terrorismo Difficile prova per Ecevit e per la democrazia La Turchia oggi alle urne sconvolta dal terrorismo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ANKARA — Oggi si vota in Turchia in 29 circoscrizioni (su 67) per rinnovare un terzo del Senato e per coprire i cinque seggi rimasti vacanti alla Camera in seguito alla morte di altrettanti deputati. In tempi normali queste elezioni sarebbero passate sotto silenzio, ma la normalità è un bene che la Turchia ha perduto oramai dal gennaio del 1978. Oppressa dall'inflazione (50%), stravolta dal terrorismo che ha fatto a tutt'oggi 2100 vittime, insidiata dal separatismo curdo, la Turchia attraversa una delle congiunture più aspre e difficili della sua storia moderna. Gli otto milioni di elettori sono chiamati a decidere della sorte del governo Ecevit: quello odierno è in fatto un referendum sui 22 mesi di potere del presidente-poeta. Questo spiega il tono appassionatamente drammatico dei comizi, la tensione ch'è nell'aria, il clima arroventato che si respira dietro le quinte del Parlamento. Dall'esito del «referendum» — dicono alla sede del partito repubblicano del popolo —. non dipende tanto la sorte del governo quanto la sorte della stessa democrazia. Non hanno torto. In Turchia il pericolo viene da destra: sono i .lupi grigi., i commandos del colonnello Alparlsan Turkes ad alimentare la mala pianta del terrorismo, fanatizzando i sunniti contro gli sciiti, i giovani diseredati dei villaggi sperduti dell'Anatolia contro i «rossi». .Rossi. sono gli studenti progressisti, gli operai e i sindacalisti, gli intellettuali. Ovviamente il terrorismo fascista scatena un controterrorismo che vede agire le formazioni di guerriglia urbana del cosiddetto •esercito di liberazione popolare turco», di estrema sinistra. Il partito di Azione Nazionalista (Nap) del colonnello Turkes non ha nessuna possibilità di prendere il potere: né con la forza, né legalmente, tuttavia 1 voti che manovra tendono a riversarsi sul principale schieramento di opposizione, il partito della giustizia presieduto da Sulelman Demirel. .Mano di ferro. (questo il significato del suo nome) ha buon giuoco nel condannare il caos promettendo .ordine, ordine e ancora ordine.. Ma l'ordine dei giustiziarti, replica Bulent Ecevit, è in verità una dittatura spolverata di falso benessere. In vero 11 governo Ecevit paga la pesante eredità lasciata da Demirel: la sua politica di «grandeur». che si rifà a quella di Menderes, ha fatto aumentare di sette miliardi di dollari il debito esterno che 6 ormai uno dei più elevati del mondo. Ma tutti i tentativi di Ecevit di impostare una politica di risanamento si sono urtati contro l'opposizione della destra, provocando una situazione di stallo alla quale i sindacati hanno reagito. Ecevit ha ragione quando dice che ha ricevuto da Demirei non un Paese bensì un relitto, ma in verità quello ch'egli cerca di pilotare è un battello impazzito. Ora è possibile, ci si domanda ad Ankara, che Ecevit atteso che vinca le elezioni, riesca a saldare il timone? Oli esperti ne dubitano: il premier ha cercato di ottenere aiuti soprattutto dagli Usa. in pratica tentando di barattare con interventi eco¬ nomici la permanenza delle basi americane in Anatolia, ma Washington non ha accettato questo genere di trattativa e, in fatto, ha messo Ecevit con le spalle al muro. Accusato di ■ fini and izzazione» com'è, è difficile ch'egli possa trovar credito. E' dunque irreversibile la sua caduta? La destra sostiene di si epperò gli osservatori si domandano se Demirel sia tanto forte da poter condizionare i .lupi grigi., una volta assunto il governo. E, in ogni caso, come reagirebbero i terroristi di sinistra? A questo punto non rimarrebbe che una sola via d'uscita: un nuovo golpe freddo dell'esercito, specialista in tale genere di operazioni. C'è chi sostiene, ad Ankara, in queste ore febbrili di vigilia scandite dal passo delle pattuglie armate (lo stato d'assedio vige in 13 delle 67 province) che comunque vadano le elezioni, sarà -l'esercito a prendere in mano la situazione. Per «normalizzare» il Paese e poi, com'è sua tradizione, passare la mano di nuovo ai politici. Tutto sommato, quella militare non sarebbe una soluzione malvagia; tra l'altro non riuscirebbe sgradita agli Stati Uniti che dopo la perdita dell'Iran non possono rischiare anche quella della Turchia. Tuttavia l'esercito esita a intervenire direttamente, auspicando un governo di salute pubblica, raggruppante gli eterni avversari: conservatori e socialdemocratici. Ma ad Ankara dicono: mettendo insieme Ecevit e Demirel non si può fare una coalizione ma solo un bel funerale. Igor Man