Tormentate origini della Costituzione

Tormentate origini della Costituzione MENTRE SI POLEMIZZA SULLA RIFORMA Tormentate origini della Costituzione Un anno e mezzo {a, accingendomi a ordinare in forma di diario le pagine sparse di Jemolo. quasi tutte comparse su queste colonne, nell'arco del decennio che va dal 1968 al 1978, dalla contestazione all'assassinio di Moro (è il libro che si intitola Questa repubblica), mi trovai di fronte a un saggio singolare e semiclandestino del vecchio amico, uscito negli estratti, tanto impeccabili nel nitore tipografico quanto introvabili nelle comuni librerie, dell'Accademia dei Lincei: Riflessioni critiche sulla Carta costituzionale. Erano pagine di parecchi anni prima, della fine del '65, frutto di una relazione scientifica, o almeno presentata come tale, ma in realtà solcata da quella passione morale che sempre lievita nelle pagine di Jemolo, e le rende cosi spezzate, cosi scabre, cosi diverse da ogni altro autore, sui difetti, sugli squilibri, sulle lacune e sugli eccessi della Costituzione repubblicana. «Ho sempre confessato, cominciava Jemolo quella specie .di sfogo autobiografico, dove il sapere giuridico era al servizio di una visione etica, di non amare la vigente Costituzione, pur con una completa adesione al regime che ha instaurato e alle sue grandi direttive: di non amarla per tutto ciò che ha di enfatico, di espressioni dal significato vago, di buoni propositi che nulla hanno di giuridico...». Decisi di aprire il diario di Jemolo con quella lontana e sconosciuta pagina ma di integrare la testimonianza-condanna con un altro articolo, questa volta sulla Stampa, di tredici anni più tardi, uscito il 22 gennaio 1978, e quindi alle soglie di quella svolta del dramma italiano che sarà costituita dal rapimento di Moro, articolo che riprendeva gli stessi spunti ma li integrava con un confiteor rivelatore: «Non sono così cieco da dare colpa alla Costituzione dei guai presenti; le Carte costituzionali contano assai meno delle passioni e delle capacità degli uomini; e credo che i nostri mali attuali si verificherebbero lo stesso se anche avessimo una Costituzione perfetta; uomini politici e giuristi sono sempre pronti ad appellarsi a uno spirito delle leggi, per far dire l'opposto di ciò che le norme esprimono...». Le polemiche in corso sulla riforma costituzionale, talvolta aggressive e con una punta di autentico impatto nell'opinione pubblica, talvolta caratterizzate da una vena divagante e goliardica, mi hanno riportato a quelle pagine di Jemolo, a quella critica così penetrante ma anche a quel rattenuto senso del limite e della misura riaffiorante oltre il pessimismo connaturato al cattolico liberale, cui non è mai estranea una nota giansenista. E poiché siamo in tema di rievocazioni della Costituzione, e di ritorno al '46, e di patti costituzionali, da varie parti invocati e da altre contrastati, dirò che l'accento di scontentezza e di insoddisfazione, da sempre emergente, rispetto alla Carta costituzionale, in uomini come Jemolo, caratterizzò anche alcuni dei grandi protagonisti della Costituente, a cominciare da un giurista sommo che a Jemolo fu profondamente legato, che di Jemolo ospitò, sulle pagine del Ponte, gli sfoghi anti-centristi e anti-degasperiani ai tempi della controversia sulla legge maggioritaria, intendo dire Piero Calamandrei. Adesso è in corso di pubblicazione presso II Mulino una raccolta, veramente monumentale, di testimonianze e di indagini sulle origini della Costituzione, promossa dal Consiglio regionale della Toscana, che si intitola, con qualche modestia, // sistema delle autonomie - rapporti fra Stato e società civile, ma che in realtà comprende tutta la tematica dell'elaborazione della Carta costituzionale. Sono usciti già quattro volumi, che ho sotto gli occhi. Tre nella sezione degli «Studi»: La fondazione della Repubblica. Dalla Costituzione provvisoria all'Assemblea costituente, a cu ra di Enzo Cheli; Cultura politica e partiti nell'età della Costituente in due tomi, a cura di Roberto Ruffilli, il primo dedicato all'area liberal-democratica e mondo cattolico, il secondo all'area socialista e partito comunista. L'ultimo nella sezione «Documenti»: Alle origini della Costituzione italiana, circa i lavori preparatori per la riorganizzazione dello Stato, a cura di Gianfranco D'Alessio. E' in preparazione un volume, cui lavorano vari miei allievi, su // comitato toscano di liberazione nazionale e i partiti in Toscana. Ma vorrei proporne uno, terminale e antologico, agli amici del Mulino sulle critiche all'elaborazione costituzionale, nel suo corso tormentato, fatte dai costituenti stessi, sul complesso di dubbi e di interrogativi che solcarono in quell'anno e mezzo i redattori della Carta costituzionale, sul senso di delusione provato dai grandi interpreti dell'antifascismo ancora vivo e operante rispetto allo stesso progetto di Costituzione quale era uscito dal comitato dei settantacinque. * * Cominciamo con Calamandrei. 4 marzo 1947, discussione globale sul progetto costituzionale. «Agli articoli di questa Costituzione è un po' successo quello che si dice avvenisse a quel libertino di mezza età, che aveva i capelli grigi ed aveva due amanti, una giovane e l'altra vecchia; la giovane gli strappava i capelli bianchi e la vecchia i capelli neri; e lui rimase calvo. Nella Costituzione ci sono purtroppo alcuni articoli che sono rimasti calvi». E il nostro vecchio maestro nell'università fiorentina lasciava da parte il nucleo positivo, cioè la Repubblica, la sovranità popolare, il sistema bicamerale (che oggi si vorrebbe rimettere incautamente in discussione: quante polemiche allora sullo stesso termine «Senato», che Terracini rifiutava, che Lussu definiva come «Seconda Camera», che altri, come Bozzi, preferiva chiamare «Camera dei senatori» e altri ancora, come Cappi, «Camera delle regioni»), e poi le autonomie regionali e la Corte Costituzionale. L'accento critico di Calamandrei riguardava la «parte negativa», quella influenzata dal condizionamento spesso paralizzante dei partiti, «quella in cui i partiti non sono riusciti a trovarsi d'accordo con sincerità nella sostanza, e ognuno ha cercato di togliere la paroletta altrui che gli dava noia, ... e in questa contesa tutti hanno cercato di impedire che prevalessero le tesi degli avversari...». Compromesso? Oggi il termine è un po' logorato dall'inflazione della polemica quotidiana, e da tutti i sottintesi, veri o presunti, attribuiti alla linea di Berlinguer. Ma Giuseppe Saragat, non più presidente della Costituente, già leader della socialdemocrazia neonata, riconosceva il 6 marzo '47 che «il progetto di Costituzione che sta davanti a noi è il risultato necessario di un compromesso politico fra differenti partiti; non poteva essere diversamente». Con una svolta caratterizzante: l'economia mista, il sistema di contemperamento fra economia individualistica ed economia di Stato. E un'aggiunta non meno significativa: «L'economia individualistica potrà scomparire a vantaggio di forme diverse di economia sociale, ma le libertà individuali dovranno sopravvivere». Il realismo di Saragat era corretto, pochi giorni dopo, dalla protesta di Croce. Il grande maestro denunciava la mancanza di un'unica mente capace di tracciare la sintesi delle posizioni discordanti emerse nella commissione dei 75: «Né un libro né una pagina, commentava con altero distacco dalla realtà contingente, si compone se non da una singola mente che sola compie la sintesi necessaria e avvertendo e schivando anche le più piccole dissonanze giunge alla scrupolosa logicità e all'armonia delle parti nell'unità». Albeggia, nella Costituente, la critica dei partiti; Croce parlerà in quei giorni di «partitomania» prima che Maranini parli, qualche anno più tardi, di «partitocrazia». Compromesso? Convergenza? Trent'anni di dibattito politico sono anticipati dagli atti della Costituente. Al termine «compromesso», caro a Saragat, Moro preferirà opporre quello di «convergenza», «felice convergenza di posizioni», almeno nella prima sottocommissione, dove ha lavorato a fianco di Togliatti. Nessuno dei problemi, che oggi rimbalzano nella polemica fra politica e costituzionale, sfuggì all'attenzione di quegli uomini. Neanche il tema della proporzionale, che qualcuno vorrebbe riportare oggi sul tappeto. Neanche il rapporto fra partiti di massa e partiti di opinione, o comunque interpreti di fermenti critici di una storia italiana irriducibile alle grandi formazioni organizzate, pure operanti in forze già nei mesi della Costituente. Ritroviamo un giudizio di Carlo Sforza, nella seduta del 16 settembre 1947 che ci pare straordinariamente attuale. «Uno dei problemi massimi della nostra vita politica è fissato in un articolo non scritto: la costituzione dei grandi partiti di massa». Sforza ironizza sulla vanità di tanti discorsi sulla Costituzione formale. E aggiunge: «Certo siamo nel periodo dei partiti di massa anche se, grazie a Dio, esistono altresì alcuni partiti che hanno una fiamma viva individualistica e feconda che sarà a volte preziosa nelle lotte fra i grandi giganti». Il compromesso costituzionale si identificò soprattutto nel rispetto delle minoranze. Giovanni Spadolini

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