Denaro caldo in Occidente di Renato Cantoni

Denaro caldo in Occidente Un disordine pericoloso Denaro caldo in Occidente In mancanza di una politica antinflazionistica efficace e coordinata fra i Paesi industriali, ciascuno fa da sé: in questo modo il disordine, anziché ridursi, si allarga sempre più e si hanno più danni che vantaggi. Nella recentissima crisi ancora una volta si è fatto ricorso alla manovra monetaria. I tassi sono stati ulteriormente innalzati fino a raggiungere negli Stati Uniti vette vertiginose, con l'aggiunta di una politica restrittiva del credito ben conosciuta dagli italiani che ne hanno subito le conseguenze nel 1976. Sono provvedimenti severi che devono essere adottati in momenti drammatici e durare per breve periodo affinché il rimedio non riesca peggiore del male. Il timore di una stretta creditizia in crescendo produce effetti reali e psicologici di portata non valutabile preventivamente e si corre il pericolo di cadere dalla recessione in depressione. Ma stiamo ai fatti. Negli Stati Uniti il «prime rate» è stato portato d'un colpo dal 13,5% al 14,5%. Aggiungendo anche il colpo di freno sul credito disponibile ce n'era a sufficienza per impaurire Wall Street sicché gl'indici di Borsa sono scesi precipitosamente di oltre il 4% in due giorni. In Italia l'aumento del tasso di sconto dal 10,5% al 12% è stato come una doccia fredda anche per quegli operatori che da tempo attendevano un rincaro del denaro, ma non in simili proporzioni. Vi è da aggiungere che la Banca d'Italia nei suoi interventi sul mercato aperto ha fatto chiaramente intendere che ridurrà l'attuale abbondante liquidità mentre, lasciando inalterato il vincolo di portafoglio, ha limitato di molto la possibilità di erogazione di nuovi crediti. Le ripercussioni non si 'sono fatte attendere: lunedì la Borsa ha subito una botta secca — l'indice ha perduto più del 3% — ma più che il ribasso ha colpito la sensazione che questa volta non si è trattato di una reazione tecnica, ma di una vera inversione di tendenza giunta, come capita sempre in questi casi, proprio nel momento in cui la speculazione aveva assunto notevoli proporzioni. L'immediato aumento del «prime rate» dal 15% al 16,5% ha provocato altri negativi riflessi sia sul mercato azionario che su quello del reddito fisso. La scarsità del credito disponibile rimetterà le banche in una posizione di forza e chi ne pagherà lo scotto saranno le imprese maggiormente indebitate e le aziende medio-piccole che hanno una modesta forza contrattuale. L'incertezza per il futuro ridurrà i già scarsi investimenti con deplorevoli effetti sull'occupazione. I tecnici obietteranno che al momento il nemico da combattere è un eccesso di domanda di fronte a un'offerta abbastanza scarsa e rigida, ma, senza immediati correttivi adeguati, si corre il rischio di una serie di ripercussioni negative neutralizzabili solo con gravi e dolorosi sacrifici. I risparmiatori saranno nuovamente colpiti sia per il ribasso dei corsi dei titoli a reddito fisso sia per il lento e insufficiente adeguamento dei tassi d'interesse corrisposti dalle banche ai loro depositanti. Non potrebbero gli istituti di credito aumentare automaticamente, come già fanno per i loro debitori, gli interessi pagati ai loro clienti? Sarebbe evitato il lungo e logorante mercanteggiamento che, soprattutto per i piccoli e medi risparmiatori, si traduce in una fatica improba spesso senza apprezzabile risultato. Per i consumatori il rialzo dei tassi d'interesse si tradurrà in un aumento — dove possibile — dei prezzi: è questo il balzello più doloroso che dovranno pagare i meno abbienti già abituati a lesinare la lira nelle loro decisioni di spesa. I lavoratori che sono invece nella fortunata posizione paracorporativa risolveranno il problema con ulteriori richieste salariali. Come si vede l'inverno incipiente si presenta gravido di incognite e di agitazioni ed è opportuno prepararvisi senza sognare impossibili miracoli. Renato Cantoni

Luoghi citati: Italia, Stati Uniti