E ora ci aspetta San Francisco

E ora ci aspetta San Francisco Coppa Davis, i tennisti azzurri in finale con gli Stati Uniti E ora ci aspetta San Francisco La città americana probabile sede dell'incontro • Molto difficile il compito di Panatta e compagni - La necessità di ristrutturare il settore tecnico - Gianni Ocleppo e i giovani DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ROMA — Per la prima volta nella storia della Coppa Davis, l'Italia, già quattro volte finalista, affronterà nella finalissima gli Stati Uniti. Con ogni proba-, bilità, l'incontro si svolgerà a San Francisco, dal 14 al 16 dicembre. Azzurri e americani si sono qualificati battendo i rispettivi avversari (Cecoslovacchia e Australia) con l'identico punteggio: 4 al. A Roma. Barazzutti, nel match d'apertura contro Smid, ha perso un incontro che sembrava, già vinto per una nuvoletta di natura fantozziana che ha fatto interrompere la partita nel quinto set. A Sydney, Smith e Lutz, dopo una lunga serie di vittorie in Davis, hanno mostrato i limiti di usura di una lunga e gloriosa carriera, cedendo a Alexander e Dent. Fleming e McEnroe sono nettamente più forti, ma le scelte della squadra statunitense tengono in primo luogo conto della disponibilità data ad inizio di stagione dai giocatori. Smith e Lutz avevano dato la loro incondizionatamente, Fleming e McEnroe no. Logico quindi per la mentalità statunitense che il capitano non giocatore Trabert insista ora nello schierare i due veterani. Compito agevolato il suo. dal fatto che la squadra, pur rinunciando a un Connors, può contare nel singolare sullo strapotere del nuovo asso McEnroe e sul sempre valido e regolarissimo Gerulaitis. Questi va in crisi solo quando deve affrontare i primi tre giocatori delle classi/i-' che mondiali. Finale proibitiva, quindi, per gli italiani, soprattutto per il fatto di dover giocare sulle superfici veloci. L'unico azzurro in grado di difendersi è Adriano Panatta. ma anche per lui i risultati conseguiti sulla terra rossa sono sempre stati di gran lunga migliori. E non si tratta di preparazione, ma solo di attitudine fisica e caratteristiche tecniche. In questa chiave si spiega il ritorno di Belardinelli alla guida tecnica di Adriano e il ripudio di Fannin. Questi, fautore dellinterval-training tennistico esasperato all'ennesima potenza, non si cura della base di preparazione del soggetto da allenare. Gli altri giocatori italiani vedono le superfici veloci come il fumo negli occhi, ma ciò non toglie che la squadra azzurra di tennis costituisce un complesso che, pur con mille difetti, è superiore a tutte le altre formazioni del mondo. Stati Uniti esclusi. Lo testimonia il fatto che questa squadra, pur fra alti e bassi inconcepibili in un complesso di tale forza, ha saputo conquistare ben tre volte la finale nel giro di quattro anni. Contro la Cecoslovacchia, squadra in continua ascesa (eancor più migliorerà con la completa maturazione del talento Lendl) in un paese che vanta a livello giovanile una delle mi¬ gliori scuole (non a caso la Mandlikova sembra il gemello in gonnella di Lendl), gli azzurri hanno mostrato tutto il loro vero valore. E forse la sconfitta di Barazzutti è stata in ultima analisi positiva, poiché ci ha ridato il miglior Panatta possibile, sui livelli fantastici del 76. Qualche perplessità può ancora sussistere soltanto sulla tenuta alla distanza. Se nei prossimi tornei Adriano continuerà a lavorare con la serietà e con l'impegno mostrati dopo l'incontro con la Gran Bretagna, ha la possibilità, giocando sui livelli della prosecuzione del match vinto contro Lendl, di impensierire anche la nuova divinità del tennis mondiale, il mancino John McEnroe. Ma proprio nel momento del successo, di una affermazione più sofferta di quanto non indichi il risultato finale, c'è da ricordare che alle spalle dei quattro moschettieri c'è solo Gianni Ocleppo. E Ocleppo ormai non è più una giovane promessa, ma un titolare in anticamera. Sulle ali di questa finale c'è da ristrutturare tutto il settore tecnico su basi decisamente più moderne; questione di mezzi (non dovrebbero mancare, se non difetterà la volontà), di impianti (Formio, lo ripetiamo da anni, è solo un anacronismo), di tecnici, di programmi. Una volta effettuata tale operazione, se non nasceranno i campioni per colpa dei troppi soldi facili distribuiti dalle industrie (ritornello giustificativo del 'Santone* Belardinelli e dei consiglieri che sposano le sue tesi, che suo-' na a ritmo di caroselli televisivi a ogni ora), allora nessuno potrà più accusare la Federazione di non avere pensato al domani. Una accusa che oggi invece è più viva che mai, pur riconoscendo a Mario Belardinelli la capacità di trasformare un mediocre Panatta nel campionissimo del 76. E al talento di Belardinelli va aggiunto il buon senso di Bitti Bergamo, che ha saputo raggiungere quel mitico traguardo della finale di Coppa Davis che sembrava esclusivo di Nicola Pietrangeli. Rino Cacioppo