Ma i cattolici Usa non sono ubbidienti di Vittorio Gorresio

Ma i cattolici Usa non sono ubbidienti Ma i cattolici Usa non sono ubbidienti Clie un Papa si incontri con un presidente degli Stati Uniti non è un fatto nuovo; in Vaticano era già accaduto più volte. Nuovo è che un Papa entri nella Casa Bianca, come ieri Wojtyla: si può essere tentati a parlare di un'altra sua apostolica vittoria, tenendo conto che Washington non riconosce diplomaticamente la Santa Sede e che negli Usa vige rigoroso il regime di netta separazione fra lo Stato e la Chiesa. Giovanni Paolo II ci ha abituati ad ogni sorta di trionfi personali, e la tentazione è quindi facile. I presidenti americani si sono sempre trovati in qualche difficoltà nel loro rapporti con la Santa Sede. Anche durante la seconda guerra mondiale, quando appariva necessario un collegamento stretto con il capo supremo della cattolicità. Roosevelt dovette limitarsi a inviare in Vaticano un suo rappresentante «personale», che fu Miron Taylor. Truman fece a suo tempo il tentativo di nominare un ambasciatore regolarmente accreditato, ed aveva prescelto, riservato In pectore come sì dice, un generale, degnissima persona di confessione religiosa debitamente riformata per non dar luogo a sospetti: ma il Senato di Washington si ribellò. Se un collegamento con il Vaticano sembra opportuno — fu obiettato al presidente — non si può stabilirlo per il tramite dell'ambasciata in Italia? -Non risulta che a Roma la nostra sede diplomatica in via Veneto sia molto distante da San Pietro», disse con un po' di sarcasmo un portavoce della maggioranza senatoriale repubblicana. Anche John Kennedy, quando nel I960 si presentò candidato democratico alla presidenza si dovette impegnare al mantenimento del regime di sepa razione, nonostante che fosse, come irlandese, un buon cattolico tutto di un pezzo. Dal 1928, quando un altro cattolico, il democratico Al Smith, si era battuto contro il repubblicano episcopale Edgar Hoover. nessun fedele della Chiesa romana era mal sceso in lotta per la conquista della Casa Bianca. Provocato' riamente più e più volte durante la campagna fu domandato a Kennedy se nella sua qualità di cattolico egli si sen tisse vincolato da obbedienza al Vaticano, e Kennedy era tenuto a rispondere imman cabilmente ridendo che i doveri del presidente degli Stati Uniti sono una cosa e quelli di un cattolico un'altra. Il fascino di Kennedy era tale che gli elettori — anche protestanti — parevano acquietarsi rassicurati, ma non per questo calava di tono la polemica ani 1 papista. Proprio allora era uscito su L'Osservatore romano un corsivo ispirato dal terribile cardinaie Ottavlani intitolato «Punti fermi» nel quale si af¬ fermava che i cattolici operanti in politica debbono avere, in ogni caso, -aderenza, all'insegnamento della Chiesa e rifiuto di ogni scissura della coscienza del credente e del cittadino». Echeggiato in America dalla grande stampa, quel monito pareva riferirsi al caso Kennedy, ed i lettori del New York Times, del New York Herald Tribune, del Christian Science Monitor. dei giornali della catena Hearst, tempestavano le redazioni dei quotidiani con lettere di protesta e di allarme. Fu un momento abbastanza indicativo delle relazioni politiche tra la Chiesa cattolica e gli Usa. Su una rivista quindicinale da lui stesso diretta, L'Ordine civile, Giovanni Baget Bozzo intervenne a dir la sua: «Da tempo, da Leone XIII per l'esattezza, la Chiesa ha detto ciò che pensa del regime ecclesiastico degli Stati Uniti, ed ha espresso il senso, di fatto e non di principio, con cui i cattolici possono accettare la separazione tra Chiesa e Stato vigente negli Stati Uniti come il più adatto alle presenti condizioni della repubblica nord-americana. Non si può certo, però, ammettere che questo riconoscimento, che la Chiesa consente, esenti un cattolico americano, se investito di responsabilità politica, dalle obbligazioni della religione e della morale cattolica». In conclusione. Baget Bozzo rimproverava a Kennedy le sue dichiarazioni, in quanto .abbastanza imprecise» e capaci di dare l'impressione che la Chiesa -addiritttira adotti due pesi e due misure, una per l'Italia ed una per gli Stati Uniti». Dirò di passata che lo stesso Leone XIII, contraria¬ mente a quanto ha scritto Ba- j get Bozzo, ebbe a mostrare molta comprensione per l'autonomia politica rivendicata dai cattolici americani, condizione essenziale per la loro pacifica convivenza nell'ambito plurlconfessionale del Paese in cui risiedono. Essi sono fierissimi cattolici anche in virtù del loro stato di minoranza religiosa (un poco più del 22 per cento sul totale degli abitanti), ma si permettono di essere cattolici disubbidienti, come si è visto nel 1968 in occasione della famosa enciclica di Paolo VI, «Humanae Vitae», sul problema della limitazione delle nascite. Parecchi parroci dell'arcldiocesi di Washington (142 su 362) scrissero al loro cardinale Patrick O'Boyle: -Molti dei vostri preti jioji possono in coscienza seguire questa direttiva». Il reverendo William van der Mark, insegnante di teologia nell'università cattolica di Notre Dame nell'Indiana, definì l'enciclica -quasi ridicola» e invitò i suoi studenti a -andare avanti a fare quello che eritemi to giusto». Vedremo adesso quale sarà la reazione dei cattolici americani al severissimo discorso di papa Wojtyla a Chicago, dottrinariamente molto più duro di quelle che erano le accorate, quasi affettuose esortazioni di Paolo VI. A differenza del suo mite predecessore. Giovanni Paolo II è un Papa travolgente, ma rimane in sospeso il giudizio su quanto gli sia dato di incidere nel profondo della particolare situazione del cattolicesimo americano. Per ciò che riguarda la sua entrata nella Casa Bianca come ospite d'onore di Jimmy Carter, non diverso è il discorso: è un fatto di cronaca di grossa importanza sensazionale, ma non è detto che sia destinato a modificare il vigente regime della separazione fra lo Stato e la Chiesa negli Usa. Vittorio Gorresio