La tragedia di Re Lear raccontata da Strehler
La tragedia di Re Lear raccontata da Strehler LA TV di ti. bz. La tragedia di Re Lear raccontata da Strehler Stasera e domani sera va in onda Re Lear, diviso in due parti di un'ora e 40 ciascuna. Evidentemente la Hai non si è sentita di dare tutto lo spettacolo in blocco, e ha temuto che sulla seconda parte la platea si sfoltisse o che a troppi spettatori stanchi slittassero le palpebre. C'è un ritorno alla prosa? La settimana scorsa, dopo lunga astinenza, il teatro è ricomparso in tv con una commedia frivola, La bugiarda Questa settimana si passa al campo opposto, al tragico, anzi al «sublime del tragico» come è stato definito il testo di Shakespeare, considerato da diversi studiosi un capolavoro massimo. La storia è di quelle che tanno tremare e che coinvolgono il destino dell'uomo, con il carico del dolore, dell'ingratitudine, della vecchiaia, dell'odio e anche della generosità e dell'amore che vengono però travolti dalla malvagità come da uno spaventoso uragano La vicenda, nota, è quella di Re Lear che divide il suo regno tra due liglie da cui viene subito dopo scacciato e che invece riceve soccorso da Cordelia, la figlia che egli aveva diseredato perché non aveva saputo esprimergli, con falsità e retorica come le sorelle, il suo affetto. Qualcuno ha sostenuto che la tragedia è cosi alta e cosi piena di profondi significati, cosi densa di scene terribili, così difficile da rendere adeguatamente attraverso la messa in scena e l'interpretazione, che è preferibile leggerla anziché vederla. In passato sono circolate in Italia edizioni volonterose ma sconcertanti dove il grandioso dramma finiva col diventare un fosco melodramma gonfio solo di strazio e di patetismo. L'edizione cui assisteremo è quella, lodata dalla critica e accolta da vivo successo, che è stata allestita qualche anno fa da Giorgio Strehler per il Piccolo Teatro di Milano utilizzando una moderna e «recitabile» traduzione di Angelo Dellagiacoma e Gigi Lunari. Protagonista, in un ruolo che ha affascinato schiere di mattatori, è Tino Carraro che qui, a giudizio unanime, ha conseguito uno dei risultati più importanti della sua lunga carriera (mezzo secolo di teatro, dal momento che Carraro è vicino ai 70). La dolce Cordelia è Ottavia Piccolo, mentre le due perfide sorelle sono Lia Tanzi e Anna Rossini. Circa la trasposizione televisiva, si può fare la solita osservazione, che uno spettacolo pensato e realizzato nei minimi dettagli per il palcoscenico ci perde non poco portato via dal suo ambiente naturale e dimensionato su uno schermo. Tuttavia, in questo caso, si è puntato molto sull'uso della telecamera per entrare «dentro l'azione» e tentare di scavare ancora di più nei personaggi. ★ * Ieri sera è proseguito L'altro Simenon. E' un richiamo debole per poter trattenere il pubblico e sperare che non si trasferisca in massa sulla rete 2 per // piccolo re. Stavolta l'episodio era un po' meglio dei precedenti, e un certo interesse questa storia di un marito che vuole recuperare a tutti i costi la moglie scappata con un marinaio ce l'aveva. Ma siamo veramente al piccolo cabotaggio e dalle pagine di Simenon ancora una volta è venuta fuori una cosa troppo modesta. A proposito di sceneggiati. Eguale perplessità ha destato l'esordio di Morte a passo di valzer, rielaborazione di un romanzo giallofantastico di Dickson Carr, lo stesso de La dama dei veleni. Quello che succede nella prima delle tre puntate è clamoroso. Ai giorni nostri, a Londra, avviene un delitto in un campo di golf, e dell'indagine è incaricato il baldo Gianni Garko. ex pistolero dei western all'italiana, per l'occasione truccato da ispettore inglese. Esperiti gli accertamenti, l'ispettore si fa portare a Scotland Yard da un taxi. Ma durante il tragitto si verifica l'inesplicabile: Gianni Garko si ritrova nell'Ottocento, in una carrozza anziché nel taxi, e la Londra che appare ai suoi occhi sbalorditi è quella del 1829. Benissimo. Ottimo spunto. Ma la puntata è stata di una rara noia: immersa quasi sempre nel buio, non è riuscita, nonostante la materia, a procurare né emozione né curiosità. La regia era molle e spingeva avanti pigramente l'intrigo, non sfruttando mai le occasioni di suspense. Mediocre, quasi svogliata, la recitazione, e si è salvato il solo Garko che ha cercato da una parte di essere drammatico e dall'altra di pizzicare anche qualche corda ironica
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