I cacciatori cercano alibi di Vittorio Gorresio

I cacciatori cercano alibi POLEMICA SU UNO «SPORT» I cacciatori cercano alibi Ho ricevuto molte lettere di cacciatori, in risposta ad articoli che ho avuto occasione di scrivere contro la genia dei nemici degli animali. Riferire integralmente le loro proteste è impossibile per ragioni di spazio, e d'altra parte non è il caso, anche nel loro interesse, di rendere pubbliche le troppe banalità che essi adducono a sostegno della loro cattiva causa. Mi sembra meglio compilarne una avveduta antologia scegliendo fior da fiore e procedendo per estratti bene ordinati. «Fin da ragazzo ho imparato ad amare molto la natura e conseguentemente gli animali: conigli, lepri, beccacce e via di seguito. Nonostante queste buone qualità vado, da oltre quarantanni, a caccia. Io sto bene nel bosco, o tra la nebbia delle risaie, o sulla collina prima che albeggi, e questa per me è la vera casa del Signore. Però quando il mio spirito si compenetra di questo sentimento che mi unisce alla natura io, se posso, uccido, ma inspiegabilmente, perché il povero meraviglioso corpo della piccola vittima, ora tra le mie mani, non mi procura gioia ma pietà e dolore». (Dott. Leo Gavazzi, Biella). Dunque non è per divertimento che il cacciatore uccide; egli piuttosto si sacrifica a fare la sua parte nell'«inquietante e misterioso meccanismo dei grandi disegni della natura. Chi può affermare che il cacciatore, spinto dalla sua passione, non sia una necessaria, indispensabile componente di essi come lo sono gli animali predatori, oggi ritenuti utili all'equilibrio ecologico ed una volta erroneamente considerati nocivi?». La domanda è dello stesso dottor Gavazzi e ne lascio la risposta ad altri più di me al corrente dei grandi disegni della natura. Fra i miei polemici corrispondenti, l'architetto Guido Morbelli da Torino dice la sua su questo grave tema: «Il dominio dell'uomo sulla terra è avvenuto a spese dello sterminio di milioni di animali, e non cerchiamo di farci perdonare cosi tardivamente, e perdippiù solo da alcuni. Chi di noi può dire sinceramente di non aver ucciso, o fatto uccidere per procura, alcun animale? Basti pensare quanta parte della nostra salute, grazie agli antibiotici, noi dobbiamo all'eliminazione di forme di vita classificate "inferiori". Credo che il rispetto totale degli animali sia praticato solo da alcuni monaci tibetani i quali — mi dicono — stan bene attenti a dove mettono i piedi per non pestare nemmeno le formiche». Credo non si tratti di tibetani ma di indù che si legano al piede una campanella per avvertire del proprio passaggio vermi e formiche; ma a parte il piccolo errore, mi sembra meriti maggiore attenzione l'accenno ai virus di cui effettivamente facciamo strage con gli antibiotici, e riconosco che su questo piano l'architetto ha buon gioco nell'osservare che, al paragone, «uccidere qualche lepre e qualche fagiano all'anno non è poi un'attività cosi nazista come la si vuol dipingere». Ci commuoviamo per una' lepre e poi con assoluta indifferenza sterminiamo miliardi di microbi perché ci sono meno simpatici? «Mi sembra — osserva l'architetto — che questa visione delle cose sia rigorosamente antropocentrica». Ma c'è di più. Mentre la caccia «è uno sport antico che ha aspetti "di contorno" bellissimi», che dire dell'industria della macellazione? Provocatoriamente mi domanda Ortensio Monti da San Salvatore di Cogorno (Genova): «Quali sentimenti scaturiscono nel suo animo allorché si accinge a gustare una bistecca alla fiorentina o una saporosa fetta di prosciutto oppure un gradevole petto di tacchino? Guardi — mi avverte — che tali bocconi non provengono da una fabbrica né crescono sotto i cavoli come certi bambini, e non mi dica che ella ignora i sistemi di macellazione dei bovini, suini e gallinacei! Ma lei forse è vege tariano e quindi queste consi derazioni non la toccano». Ecco il dilemma risolutivo: o vegetariano o cacciatore, ter tium non datar. L'idea che esiste una differenza tra andare in giro ad ammazzare uccellini e il nutrirsi per sopravvivere mercé la dieta cui ci ha abilitati il nostro stesso Creatore che ci ha fatti onnivori non tocca la mente dei cacciatori che Ortensio Monti scopre in me il comportamento di «una qualche zitella affetta da un'inguaribile forma di isteria»; ne prende l'occasione per imbrancarmi fra coloro il cui modo di ragionare «trasuda quel generale conformismo che è un cronico difetto di noi italiani (...) affiliati di un'unica confraternita: quella dell'ipocrisia e del puritanesimo». Anche Emilio Coppini, da Torino, mi inserisce tra «quella moltitudine di persone che, frustrate psicologicamente vedono negli uccisori di poveri cinguettanti uccellini gli assassini e i terroristi che quotidianamente riempiono la cronaca di tutti i giornali». Messe da parte le insolenze (zitella isterica, conformista, ipocrita, puritano, psicologicamente frustrato) debbo rispondere a un'altra osservazione di Emilio Coppini il quale afferma la necessità che «lo stesso impegno che gli insegnanti mettono nell'insegnare ai bambini che fare "pum" agli uccellini è male, fosse altrettanto sostenuto nello spiegare che la droga può essere la rovina della gioventù, che il crescere senza valori inorali rende la vita sterile e inutile, che il fumo può portare il cancro, che vecchi vanno rispettati». Da Gardone Val Trompia Tiziano Cominassi concorda domandandomi: «Ai genitori di que sta generazione augurerebbe di aver un figlio che passa il tem po libero sui monti con un fu cile in spalla, o che si droghi o che faccia parte della deliri quenza comune?». Sono domande con le quali Coppini e Cominassi credono mettermi in imbarazzo come con quelle sul mio supposto vegetarianesimo, ma non mi sembrano serie. La caccia come antidoto alla droga, come cor retrivo del terrorismo, prevenzione del cancro, educazione al rispetto degli anziani? Stru mentalizzare a questo modo la passione venatoria dei nemici degli animali non è che una sciocchezza. La caccia resta, in sé, una de precabile crudeltà esercitata a danno di esseri indifesi, e mi fa ridere la pretesa dell'onorevole Gulotta, consigliere socialista dell'assemblea regionale siciliana, secondo il quale i caccia tori «non sparano all'uccello o alla lepre per il gusto di uccidere, ma soltanto come atto conclusivo di tutto un contesto di attività che vede impegnata l'intelligenza umana contro l'intelligenza della selvaggina» Strumentalizzare da una parte, sublimare dall'altra: ma i nemici degli animali non mi convincono nemmeno quando paragonano i danni che la caccia produce nell'ambiente naturale con i disastri dell'inquinamento: «Seveso dovrebbe bastare d'esempio alla gente come lei — mi ha scritto il già citato Tiziano Cominassi da Gardone Val Trompia —. Avete più paura di una fucilata che un cacciatore spara contro un uccello che morire in una nube tossica o bevendo dell'acqua "corretta" con cianuro. I fiumi i laghi, i mari sono uno schifo: pesci morti, fondali sporchi e senza vita. Non hanno colpa per caso i pescatori? Bisogna abolire la pesca?». Questo mi sembra un modo di uscire per la tangente — come suol dirsi — dando grida d allarme su problemi di estrema gravità — dal terrorismo ali droga all'inquinamento — dei quali in realtà noi giornalisti non manchiamo di occuparci Sarà per nostro «conformismo», come ama credere il già citato Ortensio Monti da San Salvatore di Cogorno, ma sta di fatto che ne scriviamo tutti giorni, e doverosamente prote stiamo e meritoriamente denunciamo. Otteniamo qualcosa? Magari poco perché si tratta di problemi di soluzione dif fiale, ma non è questa una buona ragione per non parlare inoltre della caccia che i nemici degli animali definiscono meno dannosa agli equilibri della natura. Se anche cosi fosse — ed da dimostrare — rinunciando combattere la caccia commet teremmo un errore. Sarebbe come se un medico non curasse una broncopolmonite sapenti che il paziente in ogni caso un giorno o l'altro morirà. Dico davvero che se i soli argomen che i cacciatori sanno invocare a difesa della loro insana pas sione son quelli addotti dai miei polemici corrispondenti poveracci, hanno torto. N hanno di migliori? Avanti gl altri, sono qui ad ascoltarli Vittorio Gorresio

Luoghi citati: Cogorno, Gardone Val Trompia, Genova, San Salvatore, Seveso, Torino