«Sono troppe 300 mila lire per un abito fatto a mano?»

«Sono troppe 300 mila lire per un abito fatto a mano?» «Sono troppe 300 mila lire per un abito fatto a mano?» SANREMO — «Trecentomila lire, ma forse meno, le sembrano tante per un abito di pura lana "tagliato" su misura che copra i suoi difetti e accontenti le sue personali esigenze?». La domanda ci è stata rivolta ieri mattina nell'atrio del teatro Ariston. Si era appena concluso il ventottesimo festival della moda maschile, una manifestazione «fatta su misura» per le sartorie italiane. Per noi ha risposto Nicola Calandra, titolare di una sartoria in corso Marconi a Torino: «Non è caro se si tiene conto che un vestito confezionato e venduto in un negozio qualsiasi supera le 200 mila lire, e senza parlare degli abiti da boutique. Del resto — continua Calandra — il sarto che si rispetti ha in difesa del maggior costo molte frecce al suo arco. Intanto, è lui stesso insieme al cliente, die deve sapere consigliare, a scegliere la stoffa garantendo per essa. E molte volte suggerisce gli accessori come le camicie e le cravatte, sovraintendendo in molti casi a tutto il suo guardaroba». Esattamente come un buon maggiordomo d'altri' tempi. «Poi, c'è il cliente robusto o eccessivamente magro, oppure con una spalla più bassa dell'altra e occorre anche in questi casi creare la "linea" rimediando alle anormalità: aggiungendo alcune rifiniture come ad esempio la pattina salvaportafoglio sulla tasca posteriore, oppure il rafforzamento delle altre tasche maggiormente usate dal cliente». L'intero settore delle sartorie conta un giro d'affari di circa trecento miliardi all'anno. Una sola preoccupazione: la mancanza di rincalzi. Non si trovano infatti, lavoratori giovani. «Preferiscono sporcarsi le mani come meccanici — racconta Giuseppe Conte, un altro torinese presente alla rassegna e iscritto come Calandra all'Ams. Associa-. zione maestri sarti italiani — che adoperare ago e filo». E la sopravvivenza sartorile pare legata alla soluzione di questo problema. Non ci riferiamo ovviamente, alle quattro o cinque grandi sartorie di fama internazionale che spesso, dopo la visita di un John Travolta che ha attraversato apposta l'Oceano, possono chiedere un milione di lire per un abito di pura lana e anche due milioni per uno di cashmere. In tutta Italia lavorano circa quarantamila sarti. A Sanremo per il festival, ce n'erano alcune centinaia. «Il sarto non associato — spiega Conte — è destinato a rimanere, ai margini della strada. Occorre infatti tenersi aggiornato non solo con la moda ma anche con le mutevoli esigenze della nostra clientela. E' necessario un costante confronto e scambio di esperienze. L'industria degli abiti confezionati ha infatti escluso quei sarti che hanno lasciato scadere il loro livello professionale, valorizzando però gli altri. Si tratta ora di difendere queste posizioni». Intanto, da Sanremo i sarti d'Italia hanno tratteggiato i limiti dello stile e dell'eleganza per il 1979-80. Eccoli: i pantaloni saranno affusolati, ventisette centimetri al ginocchio e venticinque al fondo, la giacca comoda ha due bottoni con risvolti normali, né grandi né piccoli, e la linea che scivola verso il fondo della vita. I colori: soprattutto il bruno-rossastro della vendemmia, poi il grigio azzurro del cielo e il verde, quello delle foglie e dell'erba brinata leggermente lucida. Per i tessuti, andranno prevalentemente i pettinati, poi le vigogne, i tweeds e quindi le fibre artificiali, che però qui a Sanremo, vengono considerate un insulto all'ele¬ ganza. Renato Olivieri

Persone citate: Calandra, Giuseppe Conte, John Travolta, Nicola Calandra, Renato Olivieri

Luoghi citati: Italia, Sanremo, Torino