Rabbia irlandese, vecchia di secoli

Rabbia irlandese, vecchia di secoli GLORIA E MISERIE DELL'ISOLA CHE ATTENDE LA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II Rabbia irlandese, vecchia di secoli La rivolta che cova nell'Ulster non nasce solo da contrasti religiosi, ma ha profonde radici anche nell'ambiente sociale - Povertà.ingiustizie e discriminazioni hanno alimentato nel tempo un odio per Londra che sembra insanabile - Il prossimo viaggio del Pontefice potrebbe in qualche modo essere utile? Rispondono di sì anche molti protestanti «Qui non vi sono abbastanza alberi per impiccare un uomo, né abbastanza terra per seppellirlo», diceva dell'Irlanda un generale di Oliver Cromwell, il capo dei Puritani che assunse la dittatura in Inghilterra, fece decapitare re Carlo I nel 1649 e proclamò la repubblica. Quel generale, messosi in cammino da Galway, sull'Atlantico, attraverso il lungo itinerario che, quasi in linea retta, poteva condurlo a Dublino, era rimasto stupefatto dalla miseria dei luoghi. Una povertà desolante che la pur suggestiva bellezza del paesaggio non solo non mitigava, ma quasi faceva più risaltare Nella difficile, quasi inestricabile sciarada irlandese, quella che papa Wojtyla si troverà sotto gli occhi fra pochi giorni, la miseria ha avuto, almeno in origine, un ruolo predominante; miseria aggravata da uno sfruttamento quasi bestiale, con errori politici che hanno scavato un solco fatto apposta per vedervi scorrere dapprima sfiducia, indifferenza, quindi disperazione e poi odio. La divisione religiosa, il senso della faida fra due diverse concezioni di «credere» e di parlare con Dio, sono venuti dopo, a sovrapporsi su un terreno già predisposto a succhiare sangue. La religione è solo l'etichetta finale, un qualcosa in più, quando la tragedia c'era già, con tutte le sue premesse. «Perché i cattolici uccido- no. buttano bombe? Perché i cattolici si trasformano in assassini?». Questo interrogativo inquietante l'abbiamo sentito molto tempo fa già a Dublino, poi a Londra e anche a Roma. Un prelato irlandese nato ad Armagh (la stessa cittadina che vanta tra i suoi figli più illustri quel san Malachia, autore delle dubbie profezie rispolverate ogni qual volta c'è da eleggere un pontefice) ci diceva in un collegio romano: «I cattolici possono purtroppo anche uccidere; hanno ucciso. come chiunque. L'hanno fatto, convinti di essere nel giusto, nelle Crociate. Nel caso specifico dell'Irlanda, dell'Ira, ossia dei terroristi irlandesi, direi subito che non sono cattolici, almeno nel senso in cui intendiamo quest'espressione. Non sono cristiani. A un'avversione per l'Inghilterra, che ha radici lontane, a un malessere diffuso, a una rabbia che. per certi aspetti, può anche essere compresa, hanno offerto il braccio armato delia violenza, e questa non può mai essere accettata». Ma i cattolici sono dalla parte dell'Ira? «Può esserci, nella minoranza cattolica nell'Ulster, ossia nell'Irlanda del Nord, qualcuno che nutre simpatie per i "provisionai", ma perché rappresentano una ideologia, ossia il proposito di staccarsi dalla Gran Bretagna. Ciò non vuol dire che ne possono minimamente condividere la violenza e la terribile sanguinosa catena di crimini di cui si sono fatti responsabili». Il punto che l'uomo della strada stenta a capire è la realtà delle due Irlande. quella del Sud, divenuta dapprima autonoma e poi repubblica indipendente nel 1949. e quella del Nord, tuttora parte del Regno Unito (costituito da Inghilterra Scozia e appunto Irlanda). Questa complessa tragedia che si tinge di rosso — e / 'ultimo tremendo anello della catena è l'assassinio di Lord Mountbatten — si sfuma nel tempo, addirittura all'epoca in cui Enrico Vili si staccò da Roma. Adriano IV. l'unico pontefice inglese eletto al soglio di Pietro, aveva affidato l'Irlanda a Enrico II, della dinastia dei Plantageneti, a condizione che vi ristabilisse, con ordine, la gerarchia religiosa. L'Irlanda si sentì però cattolica, romana, papista soltanto quando i sovrani inglesi si separarono da Roma. E' una reazione fitta di contraddizioni, che troviamo spesso nell'anima irlandese: se Londra compie un passo, è indispensabile fare il contrario. Se Hitler si scatena contro Londra e vuole invadere l'Inghilterra, gli irlandesi provano, automaticamente, simpatia per Hitler, come si sentirono filo-germanici già nella prima guerra mondiale. In un pub di Dublino abbiamo cercato, in una sera d'autunno di alcuni anni fa. di scoprire le ragioni più vicine di quest'odio e subito gli animi si accesero. Ripetere «l'Irlanda agli irlandesi» è tanto emotivo e ingenuo quanto lo era. alla fine della guerra, ripetere lo slogan separatista di Finocchiaro Aprile che insisteva: «La Sicilia ai siciliani». Quando qualcosa non funziona o preoccupa, alcuni inglesi scrivono subito una lettera al Times. Oggi che il Times non c'è più (se ne attende con impazienza la ricomparsa) questi «contestatori epistolari» si sono dispersi e si rivolgono con lettere un po' a tutti gli altri giornali, ma non è la stessa cosa. Avevano la sensazione, prima, che attraverso il Times la loro «protesta» giungesse subito, con il breakfast del mattino, a Palazzo Reale o al primo ministro, al n. 10 di Douming Street. Dopo il 1840. quando cioè la regina Vittoria era da poco salita al trono, l'Irlanda soffrì di una spaventosa carestia e i suoi contadini, specialmente nell'Ovest, non avevano neppure di che cibarsi. Il generale Gordon, uno dei più prestigiosi strateghi inglesi, l'eroe di Khartum, scrisse allora una lettera al Times affermando: «Debbo dire, in base a tutti i resoconti e alle mie personali osservazioni, che le condizioni dei nostri compatrioti nelle regioni che ho nominato sono peggiori di quelle di qualsiasi popolo del mondo e non soltantodell'Europa». Oppresso da un sistema terriero feudale, l'irlandese si sentiva derubato dai grandi proprietari terrieri inglesi. Abbiamo un testimonio e un saggista del quale non ci è lecito dubitare. Dice: «Per quasi tutto il diciannovesimo secolo l'atteggiamento inglese consistette nell'ignorare l'odio e nel reprimere il delitto cui esso dava luogo. Nei quarant'anni anteriori al 1870 furono approvati quarantadue Correction Acts (ossia strumenti legislativi con matrice punitiva). Nello stesso periodo vi fu un solo statuto che proteggesse il contadino irlandese dall'espropriazione forzata e da affitti rovinosi. Tutto ciò era deliberato; si proponeva di fare del contadino irlandese un bracciante sul modello inglese. Ma l'Irlanda non era l'Inghilterra; il contadino irlandese si avvinghiava alla propria terra e si serviva di ogni mezzo a sua disposizione per sconfiggere i grandi proprietari stranieri». Sono parole scritte da Winston Churchill. I proprietari volevano «civilizzare» una regione, ma dovevano però lottare per difendere sé stessi, la famiglia, le proprietà, poiché, piuttosto che cedere, gli irlandesi incendiavano tutto, coltivazioni, case e stalle, ricorrevano anche al delitto. E' qui la matrice, lontanissima. dell'Ira. La diffusione del cattolicesimo contribuì, più tardi, a rinfocolare l'odio verso Londra e verso i protestanti, poiché i proprietari erano in maggior parte protestanti, i contadini cattolici. Moltissimi, esacerbati, ridotti alla miseria più inimmaginabile, emigrarono e portarono in America quell'odio che non' si è mai spento e che serve, ancora oggi, a uomini politici senza scrupoli per accaparrarsi, ad ogni elezione presidenziale, i voti degli irlandesi, anche sostenendo follemente la causa dell'Ira. Nel 1966. quando i terroristi fecero saltare in aria nel centro di Dublino la colonna con la statua di Nelson, se la presero non contro un monumento ma con il simbolo «degli invasori da cacciare». «Sono questi gesti, osservava ancora il prelato che abbiamo incontrato a Roma, che screditano i cattolici e l'Irlanda. Non servono a nulla e ci raffigurano nel mondo come criminali, mentre l'irlandese è mite, lavoratore, innamorato della sua terra, della sua torba, del suo verde». A Castel Gandolfo il Papa ha letto ultimamente alcuni libri fondamentali sul problema irlandese e si può scommettere che nei suoi discorsi chiari, inquivocabili, non vi saranno incertezze. Se l'è cavata in Polonia, dove poteva anche essere sospinto da una comprensibile emozione, dal sovrapporsi dei sentimenti trovandosi nella terra natia; ha avuto uno dei suoi interventi più abili con misura, con dignità sofferta, con angoscia, parlando ad Auschwitz, e nessuno dubita che a Dublino non uscirà dalle sue labbra che una pa¬ rola appropriata, serena, ferma. Non era meglio rimandare il viaggio, visti i recenti tragici avvenimenti, evitare la tappa di Dublino? • La domanda la rivolgiamo a un diplomatico non cattolico, di nazionalità inglese. «Direi di no», risponde dopo una breve riflessione, «per due motivi: innanzi tutto Giovanni Paolo H suscita in Inghilterra, ma vorrei dire ovunque, una forte carica di simpatia. Piace molto. In secondo luogo, proprio per questa sua personalità, cosi sensibile e affascinante, credo che la sua comparsa fac¬ cia bene. Solo pochi giornali estremisti si sono dimostrati contrari, ma vedrà che la sua "passeggiata irlandese" sarà come una medicina. Abbiamo tutti molta fiducia in questo». All'estero qualcuno soffia ancora sul fuoco, negli Stati Uniti, in particolare, dove il Clann Na Gael (l'associazione «Figli d'Irlanda») si è sempre adoperato per sostenere l'Ira e la sua attività ■terroristica, soprattutto, come dicevamo, per poter utilizzare e manovrare l'importante riserva di voti che è costituita dai cittadini americani di origine irlandese. Nulla di nuovo. Il ministro della Propaganda nazista, il dottor Goebbels, era andato a rispolverare nei vecchi testi tutte le ventate insurrezionali della ribellione irlandese contro la Gran Bretagna, poi mobilitò tre registi e mise insieme il film La mia vita per l'Irlanda poi proiettato in tutti i Paesi simpatizzanti per l'Asse Roma-Berlino e lo usò per convincere ad arruolarsi nella Wehrmacht gii irlandesi nazisti che vivevano in Germania. Il film, per la cronaca, costò tre volte di più dell'altro polpettone propagandistico Ohm Kruger, l'eroe dei boeri, che Hitler, entusiasta, si fece proiettare trevolte. La sciarada irlandese è da sempre una spina nel cuore dell'Inghilterra e il Papa, soprattutto in questi giorni, ha resistito a chi lo sollecitava a rimandare la visita; a chi insisteva perché andasse anche nell'Uster; a chi chiedeva, subito, una doppia visita, una a Londra e una a Dublino. Quando lo assillano molto, papa Wojtyla stringe le mani, non tanto con il gesto tipico della preghiera, ma come se volesse rompere una noce, poi dice qualcosa in polacco e pochi riescono a capirlo. Quando sorride, è perché ha già deciso tutto a modo suo. Le formule non lo toccano, paiono lasciarlo più indifferente del cerimoniale: è un Diogene forte, caparbio, che sprizza ottimismo anche nei momenti più difficili e che cerca sempre l'uomo, l'interno inesplorato di ciascuno. Il resto è soltanto un fiume che scorre, che passa sotto i suoi occhi. Nella sua ricerca dell'uomo, anche in capo al mondo, è mosso da unafebbreirresistibile. Renzo Rossotti Margareth Thatcher, in giacca mimetica, durante la sua visita a sorpresa nell'Ulster