Gara di solidarietà per una famiglia di profughi di Renato Rizzo

Gara di solidarietà per una famiglia di profughi Gara di solidarietà per una famiglia di profughi I vietnamiti di Bibiana Otto persone: due coniugi, cinque figli (la più piccola ha quattro mesi) e un parente Sorridono, conoscono una sola parola di italiano: «Grazie» - Ospiti nella villa di un commerciante, dopo 3 mesi al campo di Latina - «Come siamo scappati da Saigon» Sorridono tanto e a tutti. Sono gentili sino alla dolcezza, cortesi sino alla cerimonia. Parli e non ti capiscono, ma rubano dalla tua espressione il senso del discorso. E sorridono. E ti mettono quasi in imbarazzo perché continuano a ripetere l'unica parola che conoscono di italiano: «Grazie». Li vedi davvero veri e vivi, però, soprattutto quando non si sentono osservati e sfuggono la tua curiosità e non si devono imporre di «fare salotto» come buoni ospiti educati. Allora ti accorgi che hanno uno sguardo quasi selvatico che dice di pene e di paure non dimenticate. Occhi bui e solitari. Occhi di profughi. Sono otto: padre, madre, cinque figli ed uno zio. Sono i primi vietnamiti arrivati in Piemonte al termine d'un penoso esodo, «gente delle barche- cui la Caritas ha dato un rifugio e un briciolo di speranza. Ora hanno un tetto e degli amici a Bibiana dove una famiglia li ha accolti in casa propria e dove la solidarietà di tanta altra gente farà loro trovare serenità e lavoro. Una vita nuova. Li abbiamo visti ieri mattina, spaesati e confusi, con Luciano Barbieri, un commerciante sposato e padre di due bambine, che li ha ospitati al piano terreno della propria villa di via Lusernetta. Sono qui da martedì e possono, dice Barbieri, «fermarsi anche sempre. Per me è un piacere ed un dovere aiutarli». L'alloggio glielo ha arredato la gente del paese in due giorni e due notti di lavoro: muri imbiancati, mobili, letti, armadi pieni di vestiti. Loro vi si sono sistemati quasi in punta di piedi continuando a regalare a tutti quei «grazie- pieni di sorrisi. Vorrebbero parlare, raccontarsi: l'ostacolo della lingua è gran¬ de, un muro che neppure i ringraziamenti riescono a va-' licare. Già Quyen Tu, il capofamiglia, ha 37 anni e a Saigon faceva il camionista. Della guerra ha un ricordo tangibile, una lunga cicatrice alla gamba destra. Al campo profughi di Latina dove lui e la sua famiglia sono stati ospitati per tre mesi prima d'essere accompagnati a Bibiana, ha spiegato: «JVow ho mai fatto il militare perché mi hanno riformato. Ho avuto ugualmente la mia ferita. Una scheggia-. La moglie Ly Cam Phuong è una presenza silen¬ ziosa: ha in braccio Chi Pung, l'ultima figlia, nata quattro mesi e mezzo fa a Pulau Bidong, un campo profughi della Malaysia. Di quei giorni lontani e terribili Già Quyen Tu fa un riassunto scabro, il disegno d'una giunca sul foglio del nostro taccuino. Apre le mani e conta sei dita: sei giorni di mare. Poi la sua mimica diventa concitata: vuole parlarci di ladri. «Pirati-: rapinato di tutto, anche i vestiti. «Sì, si- dice lui e indica tutti i suoi figli, la moglie ed il fratello di 14 anni. La Caritas gli ha dato 300 mila lire che lui tiene in un fazzoletto nella tasca dei calzoni di velluto che gli hanno regalato. Calzoni da montanaro rimboccati sulle caviglie che contrastano con le pianelle malesi che Già Quyen Tu porta nei piedi. Altri soldi stanno arrivando dalla gente del paese ed il parroco di Bibiana, Ermanno Martini, «deus ex machina- di questa specie di adozione, ha già provveduto a nominare un amministratore per i fondi che dovranno consentire alla famiglia di profughi un certo respiro ed una certa indipendenza sino a quando non arriverà un lavoro. «Il posto ci sarebbe — dicono il sacerdote e Luciano Barbieri — in fonderia. Ma Già Quyen Tu ha ancora i segni d'una lunga denutrizione, non può fare sforzi-. I bambini sin dalla prossima settimana cominceranno la scuola: 1* elementare per tutti senza differenza d'età. Prima elementare anche per Chi Hung che ha 11 anni e che pare il più frastornato: «Il bimbo ha subito traumi- hanno avvertito da Latina con un biglietto. Guasti della guerra, della fuga, dello sradicamento. Ferite nascoste ed ancora dolenti che sono la storia di tutta questa famiglia. «Ora hanno bisogno di ambientarsi, di sentirsi indipendenti, di riacquistare la loro autonomia- commenta giustamente Luciano Barbieri. Riuscire a sorridere di meno, ma ad essere un poco più felici dentro. Uscire dal salotto di una generosa curiosità. Renato Rizzo Tutta la popolazione si è impegnata per tendere una mano agli amici vietnamiti

Persone citate: Barbieri, Ermanno Martini, Luciano Barbieri

Luoghi citati: Bibiana, Latina, Piemonte, Saigon