Turchia, la porta tra Est e Ovest di Mimmo Candito

Turchia, la porta tra Est e Ovest OSSERVATORIO Turchia, la porta tra Est e Ovest Dopo l'Iran e l'Afghanistan, si dice, ora è il turno della Turchia. E se si dovesse guardare alla fede dei suoi abitanti — il 99 per cento sono musulmani — o alla forte presenza d'una etnia potenzialmente ribelle nelle regioni orientali — da 6 a 10 milioni di curdi — l'appuntamento sembrerebbe immancabile. Ma la vera crisi turca è una crisi politica, che ricorda i processi sociali di trasformazione di molte democrazie dell'Europa meridionale (Italia compresa) più che il fanatismo religioso dell'Iran di Khomeini. Anche se il novanta per cento del Paese è dentro la storia e la cultura orientale, la Turchia di Ataturk aveva voluto essere uno Stato europeo, laico e democratico. Erano scelte coraggiose e pesanti; oggi inseriscono la Turchia nel dispositivo di difesa occidentale, e legano la sua struttura produttiva a un tipo di sviluppo coordinato con gli indirizzi dei mercati finanziari euroamericani. La sua crisi politica è però, in questo momento, la più grave d'Europa: ci sono in media tre morti al giorno (2500 negli ultimi due anni e mezzo) per atti terroristici, di destra o di sinistra; il governo ha l'appoggio di soli 221 deputati in un Parlamento di 450 seggi; la legge marziale governa l'intero arco delle province sul confine orientale. E' una polveriera, attaccata da una crisi economica molto grave, con un'inflazione al 60 per cento, un tasso di disoccupazione che supera il 20 per cento, e un indebitamento con l'estero (14 miliardi di dollari) che è tra i più alti valori prò capite al mondo. L'accelerata trasformazione della vecchia società rurale in una comunità industriale di media potenza è stata pagata con un rapido esaurimento del mercato interno; la crisi internazionale ha aggiunto un'imprevista aridità, per l'aumentato costo del greggio e del denaro e il ristagno delle rimesse degli emigrati (nel '73 erano state più d'un miliardo e mezzo di dollari). Piazzata a cerniera tra Est e Ovest, porta di transito tra i Balcani e il Medio Oriente, strada obbligata nei rapporti tra il Nord e il Sud, questa Turchia in crisi è cosi sottoposta a molte tentazioni. L'Unione Sovietica sta dimostrando una comprensibile generosità economica: un pacchetto di crediti di 4 miliardi di dollari ha avuto inizio il mese scorso con il finanziamento d'una centrale nucleare che l'TJrss s'appresta a costruire, garantendo anche il materiale fissile necessario al suo funzionamento. E un'ulteriore assistenza sarà fornita nel settore petrolifero. Se a queste tentazioni assai poco resistibili si aggiungono le difficoltà di' rapporti con gli Usa riguardo al sorvolo degli aerei-spia «U2» e al controllo delle basi militari sul confine con l'Unione Sovietica, ci si dovrebbe chiedere allora qual è il futuro della Turchia nella Nato e nel quadro europeo. Nessuno, specialmente fino alle prossime elezioni parziali del 14 ottobre, può dare risposte certe; tuttavia, pare poco probabile che Ecevit (o lo stesso Demirel) intendano spingere la loro tattica di pressione su Bruxelles e Washington fino a diventar prigionieri d'un eccessivo condizionamento sovietico. Mimmo Candito Bulent Ecevit: sopra una polveriera

Persone citate: Bulent Ecevit, Demirel, Ecevit, Khomeini