Lo champagne è ottimo, però il nostro moscato...

Lo champagne è ottimo, però il nostro moscato... Come nel 1870 a Carlo Gancia venne l'idea della spumantizzazione Lo champagne è ottimo, però il nostro moscato... A Canelli li chiamavano «champagnisti». Quando entravano nelle cantine gettavano il mezzo sigaro toscano, facevano volar via l'ampio mantello nero, poi «toccavano» con i polpastrelli il vino: bastava per dare giudizi e suggerimenti. Erano gli specialisti del moscato, maestri nella difficile arte di trasformare un vino in spumante. Toccavano, annusavano, assaggiavano e molte volte, scuotevano la testa sino al fatidico «ca i'én, c'è, il moscato è pronto, potrà diventare spumante. Alcuni avevano appreso la tecnica (oggi si direbbe il know how) in Francia, altri l'avevano imparata da chi oltr'Alpe era stato, provando e riprovando. Champagnisti umili e ignoti di cui s'è perso il nome, ma è rimasto il baga¬ glio di esperienze. La seconda guerra mondiale sconvolse l'ordine delle cose, poi arrivò la Comunità Europea e il nome «champagne» diventò patrimonio unico dei francesi: giusto, perché nessuno può contestare all'Italia, al Piemonte, il nome «Asti spumante». Fu Carlo Gancia che verso il 1870 introdusse dalla Francia in Piemonte (a Santo Stefano Belbo e Canelli) il sistema di spumantizzazione dei vini e lo applicò prima ai rossi., poi al bianco derivato dall'uva moscato (ancora oggi si trova in negozio qualche rara bottiglia di Nebbiolo spumante). «La difficoltà consisteva — racconta Renato Ratti, direttore del Consorzio Asti spumante —. a differenza dello spumante secco francese, nel riuscire a bloccare la fermen¬ tazione all'interno della bottiglia in modo da ottenere per sempre uno spumante dolce». Non era cosa semplice, e Gancia ebbe collaboratori valenti e appassionati, come suo cognato Strucchi. «Gancia perfezionò il sistema — spiega ancora Ratti — conio spogliare il vino moscato di quelle sostanze azotate indispensabili, al pari degli zuccheri, alla vita dei lieviti. Con la purificazione iniziale del mosto, con ripetute e pazienti filtrazioni conseguenti a piccole rifermentazioni, riusci a produrre lo spumante dolce, che a quei tempi veniva denominato Moscato Champagne». Fu un successo, e molte cantine cominciarono a affidare agli «champagnisti» la produzione di moscato spumante. La tecnica venne via via perfezionata da specialisti come Mensio, Garino-Canina, Alfredo Marone, che realizzò «un interessante sistema di filtrazione — è sempre Ratti che parla — sotto pressione dello spumante estratto dalle bottiglie per mezzo di sifoni». Si sono affinate le tecnologie, ma l'uva e il vino moscato sono sempre quelli d'un tempo, quando Leone X papa se ne fece inviare a Roma, cosi vuole l'aneddotica, per poterlo gustare a sollievo degli affanni che gli procurava lo stare sul soglio di Pietro. Forse per ricompensare il Piemonte di si buon vino (lui. che pure era toscano de' Medici, quindi della terra del Chianti e sapeva «li fiorentini gran bevitori») elevò in metropoli il vescovado di Torino. E' vero che il suo coppiere fini in galera, ma per sospetto d'averlo avvelenato e non per avergli offerto vino cattivo. Affanni del papato, ma anche gioie e soddisfazioni per Leone X: forse levando un calice di moscato avrà profferito la frase attribuitagli, con non poca perfidia, dall'ambasciatore veneto Marini Orsini: «Godiamoci il Papato che Dio ci ha dato!». La dolcezza dell'uva moscato (da cui, è bene ricordarlo, si traggono due vini a denominazione d'origine controllata: moscato naturale d'Asti e Asti spumante) era già ricordata da scrittori romani. Catone. Plinio e Columella definivano quest'uva apiciae o apianae, cioè uva delle api. particolarmente attratte dal succo degli acini e non insensibili ancor oggi al fascino dei grappoli dorati alla metà di settembre quando il sottile, penetrante aroma del mosca¬ to si spande sulle colline, che lasciano rilucere tra il verde dei pampini il color dei frutti ambrati. E all'ambra hanno fatto riferimento gli studiosi per descrivere queste uve e il vincH che ne deriva. In diversi statuti delle comunità Piemonte, si del 1500 si cita il «Muscatèllus», a indicare che già allora il vino Moscato era celebre In questo contesto si inserì rinnovazione di Gancia: spumantizzare un ottimo vino dall'aroma e dal gusto unico e inimitabile; fare del Moscato di Canelli (cosi era anche chiamato) il Moscato Champagne, che poi si sarebbe trasformato in Asti o Asti spumante. Trasformato soltanto nel nome, non nella qualità, che era ed è rimasta eccelsa. p. c.