Livorno è inglese per quattro giorni di Omero Marraccini

Livorno è inglese per quattro giorni Si apre oggi un convegno di studi Livorno è inglese per quattro giorni Il congresso, presieduto da Spadolini, metterà in evidenza il contributo della «British factory» allo sviluppo della città DAL NOSTRO CORRISPONDENTE •LIVORNO — Wihston Churchill nelle «Memorie»: « Volli visitare il porto di Livorno, che tanta parte aveva avuto nella storia della nostra Marina». La visita, sotto le cannonate di una batteria tedesca che s'annidava nel Tombolo, avvenne nell'agosto del '44. dopo l'arrivo dell'VIII Armata a Firenze, ma con gli americani ancora fermi sulla sponda sinistra dell'Arno. Lo statista in quei giorni • era amareggiato: la preponderanza delle forze statunitensi cominciava a tradursi in decisioni anche contrastanti con quelle del comando strategico britannico. E difatti Eisenhower aveva ritirato dall'Italia — quasi senza avvertire l'alleato — la bellezza di sette divisioni, destinate a uno sbarco in Costa Azzurra. Churchill, che si trovava nel Senese, presso Alexander, prese la decisione di recarsi a «Leghorn» quasi per un capriccio e suscitò un grande scompiglio nei comandi che dovevano ospitarlo cosi vicino ai luoghi di battaglia. Volle essere accompagnato a visitare in lungo e in largo la città, che era un ammasso di macerie, per rivedere i posti dove, tanti anni prima, molti suoi celebri connazionali avevano lavorato, commerciato, scritto romanzi e dipinto quadri. Sali persino su un motoscafo e bordeggiando si spinse fino in «acque nemiche». Tirò personalmente una cannonata contro i monti Pisani. Una briciola di storia, questa di Churchill a Livorno che sembra, idealmente, collegarsi alla storia che tanti inglesi illustri, nel Settecento e nella prima metà dell'Ottocento scrissero in questa città dove lasciarono profonde tracce del loro passaggio. Ed è proprio alla ricerca di queste tracce, per approfondirne i contenuti e il significato che, (da oggi a domenica) in un convegno presieduto dal senatore Giovanni Spadolini si parlerà de «Gli inglesi a Livorno e all'isola d'Elba». Un congresso, che nelle intenzioni dei promotori, dovrà proseguire per mettere in evidenza i contributi dati anche da altre nazioni che, operando attorno alla «British Factory», furono partecipi dello sviluppo della città. La storia di Livorno infatti, nel Settecento e ai primi dell'Ottocento ha per protagonisti gli inglesi, i loro commerci, la loro flotta, ma anche altri popoli, che approdavano qui alla rinfusa, dai greci ai tedeschi, dagli spagnoli ai levantini, agli ebrei. Già dalla metà del Cinquecento infatti, con le leggi «livornine», di Cosimo I de' Medici, che garantivano «libertà di religione» a tutti e -assoluzione d'ogni peccato» arrivò gente d'ogni paese del Mediterraneo. Nel Seicento e nel Settecento Livorno fu cosi veramente un'«isola felice» dove s'incontravano navi nemiche, senza darsi battaglia, ma dove soprattutto si formò un importante centro commerciale. E tanta prosperità di commerci impose ai Medici — che i loro interessi li sapevan fare — di realizzare il porto che ancor oggi fa parte integrante del moderno scalo livornese. Per incarico di Cosimo II fu un inglese a progettarlo, Sir Robert Dudley, conte di Warwich, cattolico e pertanto inviso ad Elisabetta, che in questa plaga dove non si ammazzava per religione, s'era trovato benissimo accanto ad ugonotti scappati dalla Francia, maomettani dalla Spagna, cristiani dalla Barberia, fiamminghi ecc, che convivevano pacificamente con gli ebrei perseguitati in tutt'Europa. Dopo Robert Dudley altri inglesi, gente d'affari, commercianti, e mentre Livorno cresceva grazie al suo «porto franco» arrivarono anche gli artisti, i poeti e infine gli eroi del romanticismo. Ecco allora Shelley e Mary (sua seconda moglie), George Byrón, amico dei carbonari, lo storico William Bentik e quindi Leigh Hunt, giunto da queste parti per scrivere di Keats e di Shelley. Tutti preceduti dal romanziere Tobia Smollet, sepolto nel locale cimitero inglese, dove fra tanti riposano il liberale Robert Bateman, James Pertridge, la poetessa Michel e l'infelice Mary Lane di fronte alla cui tomba sostò Longfellow, nel 1929, e ricordò quei momenti nei versi: «Né io sperai di passare, senz'essere toccato dal soffrire, a traverso la valle scabrosa... Perché spio dentro il buio del giorno che deve venire ?». Omero Marraccini