«Espressi, bustine, sigarette!» di Ennio Caretto

«Espressi, bustine, sigarette!» A NEW YORK, LA DROGA VIENE «STRILLONATA» PER STRADA «Espressi, bustine, sigarette!» Naturalmente non si tratta di caffè o tabacco, ma di meno innocenti dosi di eroina, cocaina e marijuana - Il venditore è un poveraccio, di solito un ragazzo negro, che anche se catturato non sa dire nulla - Il difficile è arrivare ai capi - Il governo fa tutto il possibile - Ma intanto nella città c'è il terrore e la «liberalizzazione della droga» sembra più dannosa che utile DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — «Espressili, bustineee, sigaretteee... Chi vuole espressi, bustine, sigarette?». Il ragazzo negro si aggira tra la folla serale di Washington Square, al fondo della Quinta Avenue, sventolando qualcosa nella mano. Nella piazza giardino antistante la New York University, ci sono turisti, vagabondi, pensionati, poliziotti, bambini. Il ragazzo negro ha una voce stentorea, da imbonitore: Ma ciò che vende non comparirebbe mai in una fiera. Gli espressi, mldnight express, sono dosi di eroina, le bustine contengono da due a cinque grammi di cocaina, e le sigarette stanno per la marijuana. I prezzi variano da 20 al dollaro, da più di 16 mila a 800 lire: 20 dollari per un espresso, 1 per una sigaretta. Il ragazzo negro trova numerosi acquirenti, incuranti come lui d'essere guardati, senza timore alcuno per i poliziotti. Venduto tutto, se ne va, affrettando il passo verso un'auto in attesa. ■ «A New York, di ragazzi come lui ce ne sono a centinaia» mi dice Sterling Johnson, il magistrato incaricato di combattere lo spaccio della droga. «Li troviamo dovunque: a Lenox Avenue, all'inizio di Harlem, ai margini di Wall Street, a Forest Park in Queens. In gergo, chiamiamo Jackson Height, tra gli aeroporti Kennedy e La Guardia, "Cocaine City", perché è il cuore di questo smercio. Non ricordo che ci sìa mai stata tanta droga per le strade di Ne w York ». Ma il Comune non fa nulla? «Fa quel che può» mi risponde Johnson. «E' costretto a scegliere. O colpisce lo smercio alle radici, nei grossisti per cosi dire, o lo colpisce nei "muli", ossia i piccoli spacciatori. Con l'aiuto delle autorità, federali, da due anni combatte soprattutto i primi. Qualche risultato lo ottiene: nel '78, le morti per droga sono scese a 500 circa, da 700 che furono nel '76. Ma 10 spaccio al dettaglio viene un po' trascurato, per mancanza di uomini e di mezzi. Nel '78, le condanne si sono aggirate sulle 1200, contro le 1500del'76». Anche Sterling Johnson è negro. Cresciuto ad Harlem, si è specializzato nella tossicomania quando ha capito die «minacciava di diventare 11 nemico pubblico numero uno. La droga si è diffusa — spiega — un po' perché è una scorciatola alla ricchezza per gli spacciatori, e un po' perché col '68 e il Vietnam è stata accettata dalla cultura americana. Non è più come qualche anno fa, che il tossicomane veniva considerato un ammalato o un criminale. Specialmente lo spaccio della marijuana è divenuto un mestiere come un altro: il suo è un mercato di massa». Johnson mi indica diversi sintomi di questa modifica del pubblico costume. «A Brooklyn e nel Bronx esistono una cinquantina di negozi che vendono eroina, cocaina e marijuana. I gerenti stanno al riparo di vetrine antiproiettili, e non è facile emettere mandati di perquisizione». Il linguaggio stesso riflette il cambiamento. «I ne-' gozi sono noti come le tabaccherie, e i loro prodotti come oro colombiano, perché il contrabbando viene soprattutto dalla Colombia». Il commissario Charles Kelly, che dirige la divisione narcotici della polizia cittadina, definisce New York la capitale mondiale del consumo della droga. «Secondo le statistiche In nostro possesso, abbiamo più di 100 mila eroinomani, un quarto di tutti gli Stati Uniti. Il numero del cocainomani e di quelli dediti alla marijuana è incalcolabile. Gli agenti dell'F.B.I. sostengono che gli americani spendono oltre 25 miliardi di dollari annui per importarle tanto quanto è costato l'intero progetto Apollo per la conquista della Luna». Kelly è categorico: «La lotta contro la droga non può essere solo un'operazione di polizia: il problema è sociale, coinvolge la famiglia, la scuola, la medicina, la magistratura». Condivide l'opinione di Johnson che gli Stati Uniti «il primo Paese a soffrirne su scala globale» siano ancora più indietro di altri nella ricerca di una soluzione. L'esperienza americana, tragica in tutti i suoi aspetti, non ha dunque valore per l'Italia? Julio Martinez, un ex tossicomane preposto all'istituto di riabilitazione dello Stato di New York, ritiene che qualche progresso sia stato compiuto, ma non in maniera sufficiente. «Ha valore da un punto di vista negativo» risponde «più per i nostri sbagli che altro. E' una questione di educazione, di insegnamento» afferma ancora. «Al principio, noi ci siamo concentrati sui sintomi: abbiamo provato con la severità delle leggi, con la disintosiccazione tramite il metadone, sulla cui utilità siamo però sempre divisi, con le ricette mediche per controllare in qualche misura 1 casi più gravi. In un certo senso, ci siamo dati agli esperimenti, lasciando molta discrezione ai singoli Stati, ma senza raggiungere conclusioni definitive. Come risultato, il fe- nomeno è divenuto più serio». Martinez ritiene che legiferare sulla droga sia oggi •la cosa più difficile al mondo. Sappiamo soltanto che vogliamo stroncarla» dice. Ultimamente, il governo americano ha affrontato il problema della tossicomania •ex novo*. Su ordine del presidente Carter, un consiglio ad hoc «per la strategia contro l'abuso della droga» ha condotto un'inchiesta di due anni al termine della quale, ha suggerito una serie di misure d'emergenza. Prima di dimettersi, l'ex ministro della Sanità e dell'Istruzione Joseph Califano ha inoltre au-' viato -io studio scientifico più comprensivo della storia Usa», che dovrebbe definire la politica ufficiale sugli stupefacenti per gli Anni Ottanta. In entrambi i casi, sono stati interpellati migliaia di educatori, pubblici funzionari, medici, tossicomani curati e praticanti, esperti stranieri. Le cartelle cliniche di centinaia di migliaia di persone sono passate e stanno passando all'esame dei computers. Carter, che è colpito dal fenomeno da vicino, perché sia uno dei sui figli sia il direttore della Casa Bianca Jordan sono stati accusati di usare droga, ha dichiarato che nessun Paese «ha mai compiuto uno sforzo simile ». Gli accertamenti del consiglio, gli unici finora pubblicati sono traumatizzanti, specialmente per quanto concerne la marijuana. Da essi risulta che in America 16 milioni di persone fumano attualmente «erba». Il rapporto finale precisa che il 26 per cento degli studenti delle scuole superiori vi è dedito «e questa percentuale cresce del 6-7 per cento all'anno». Esso scrive che «la marijuana è dannosa... ma si ignora fino a che punto. Clinicamente, può danneggiare 1 polmoni, con conseguenze gravi per la salute», dice il rapporto. «Ricerche preliminari hanno dimostrato che inficia il meccanismo di difesa dell'organismo, ossia gli anticorpi, il metabolismo cellulare di base e anche le funzioni sessuali... L'intossicazione da marijuana ostacola la coordinazione dei movimenti, la percezione anche visiva delle cose, 1 riflessi e le reazioni, e rende perciò pericolosa la guida dell'automobile e l'impiego dei macchinari». Dopo l'alcol, -l'erba- è la causa principale degli incidenti stradali in America. Il consiglio ha dedicato speciale attenzione ai minorenni, riscontrando che tra di essi, l'anno passato, sono stati incriminati ben 20 mila inferiori ai 14 anni. «L'abuso incomincia spesso a 11-12 anni di età» dichiara il rapporto •ma possediamo esempi di bambini tossicomani... Genitori dediti agli stupefacenti non esitano a dare loro droga come gli danno il latte... Ciò avviene persino con gli infanti». «Appena adesso — conclude — scopriamo i pericolosi effetti, fisici oltre che psicologici, anche della semplice marijuana sul giovani». 17 primo suggerimento del consiglio, pertanto, è di scoraggiare l'uso di questa droga soft, ossia soffice, pur senza criminalizzarlo. «Misure repressive come l'incarcerazione — ammonisce infatti — sono controproducenti. Bisogna trovare forme diverse di sanzione, ma non dipendenti dal governo, bensì dal singoli Stati». L'azione governativa dovrebbe svolgersi altrimenti, come educazione al rifiuto della marijuana, in collaborazione con la scuola, la famiglia, e varie organizzazioni. Uno dei membri del consiglio, il professore della cele- bre università di Yale, psichiatra e pediatra, James Cromer, propone che tale educazione «abbia inizio in famiglia». «Meno preparati sono 1 genitori, o meno attenti, meno ideali sanno ispirare ai loro figli, o meno obiettivi indicargli, e più facilmente 1 ragazzi cadono preda della droga. I ragazzi vogliono appartenere, partecipare e ciò significa talvolta conformarsi. Oggi la droga è conformismo: è più facile che non attività extrascolastiche come 10 sport, o la politica». Cromer non sa dire se, clinicamente, la marijuana favorisca il passaggio alle droghe «hard», dure come la cocaina o l'eroina. «E' un fatto' però — asserisce — che i ragazzi meno motivati lasciano poi gli studi e si abituano a questi stupefacenti. Molti non si preoccupano neppure di trovare un lavoro». Cromer è contrario alla legalizzazione delle droghe: «Non è costruttivo combattere gli effetti e non le cause. Eppoi bisogna distinguere tra la marijuana o l'hashish e tutto 11 resto». La strategia del consiglio per il governo è duplice. All'interno, essa consisterebbe di una guerra spietata agli spacciatori, «a tutti 1 livelli, ma in particolare a quello dei grandi importatori e del crimine organizzato». All'esterno, di accordi per la distruzione dei raccolti di oppio ecc. coi Paesi produttori, a partire dal Messico e dalla Colombia, i -serbatoi- dell'America (per questo gli Usa spendono già 20 milioni di dollari annui). Il consiglio propone anche che della que¬ stione vengano investite le Nazioni Unite. «Quando lo studio del ministero della Sanità sarà finito» aggiunge Cromer, ammettendo che le misure contingenti sono inadeguate «potremo andare oltre, usare cioè anche i necessari strumenti medici». Ancora più di Julio Martinez, egli è però scettico sulle terapie di mantenimento tipo il metadone. «Ripeto, eroina e cocaina sono tutt'altra cosa. Nella mia esperienza, coloro che si sono liberati di questa drammatica assuefazione sono come rinati: anche il metadone e farmaci analoghi comportano un asservimento». Tra le conseguenze più clamorose dell'abuso di stupefacenti in America vie stata l'esplosione della criminalità. Dalla violenza gratuita a scopo di lucro, si è saltati a quella per procurarsi la -bustina-, ma sui risultati che si otterrebbero con una parziale legalizzazione della droga, che rendesse se non inutile almeno meno impellente la rapina o altri delitti, i pareri sono ancora più divisi che sugli altri aspetti del problema. Maury Hatton, un altro membro del consiglio, pensa che sia «quasi impossibile stabilire quali sono i limiti delle diverse assuefazioni. Purtroppo, brancoliamo nel buio» confessa. Con l'angoscia che deriva dai modesti successi del suo impegnoquotidiano, pur senza cedere al pessimismo, osserva che «la nostra civiltà non era pronta a rispondere a tutti questi interrogativi, e forse non lo sarà ancora per qual¬ che anno» Ennio Caretto