Ma l'economia occidentale è in declino? di Arrigo Levi
Ma l'economia occidentale è in declino? Economisti al Ceses Ma l'economia occidentale è in declino? MILANO — Clie cosa rimane dell'economia di mercato in Occidente? Ami, die cosa rimane di una buona economia di mercato? Sergio Ricossa, dell'Unfrersità di Torino, primo relatore al convegno del Ceses sul ..Ruolo del mercato. Est e Ovest», ha dato a questo quesito una risposta largamente negativa, per quanto riguarda l'Italia: Bernard Cazes, del ..Commissariat du Pian-, è apparso più ottimista sul caso francese; Samuel Brittan, articolista del Financial Times, ci è sembrato ancor più pessimista di Ricossa, parlando del «male inglese». I meno allarmati sul futuro del mercato e sul relativo declino dell'economia occidentale sono forse stati alcuni tra i molti autorevoli economisti dell'Est europeo presenti a questo quindicesimo seminario internazionale del Centro studi milanese che Renato Mieli ha trasformato, con il passare degli anni, e ormai dei decenni, in una sede pressoché unica di incontri e dibattiti tra economisti occidentali ed orientali. Proprio nelle economia pianificate dell'Europa orientale vi è stata, come si sa, dagli Anni Sessanta in poi. una rivalutatone del mercato come strumento di efficienza e di progresso economico e sociale. Nemmeno la crisi economica degli Anni Settanta, che è stata sentita all'Est non meno che all'Ovest, ha fatto cambiare idea in proposito: i necessari «aggiustamenti flessibili» ai cambiamenti dell'economia mondiale — ha detto l'ungherese Csikos-Nagy — sarebbero ancora più difficili se si ritornasse a un rigido meccanismo di pianificazione centrale, che eliminasse istituzionalmente gli stimoli innovatori. C'è da chiedersi, invece, se la stessa crisi non abbia per ora rafforzato in Occidente quei comportamenti protettivi dei gruppi organizzati che sono all'origine del declino del ..buon mercato». Ricossa. Cazes e Brittan hanno analizzato le origini, anche sociologicfie, di questi comportamenti: il rigido sistema di selezione sociale francese e il moltipìicarasi delle «gilde»; i privilegi di classe in Gran Bretagna; la crescita dei poteri sindacali in Gran Bretagna e in Italia. Non è soltanto l'estendersi dell'area pubblica dell'economia che porta al declino del mercato, ma anche, e forse principalmente, il moltiplicarsi degl'interventi e delle regolamentazioni, statali o sindacal-corporative, che irrigidiscono il sistema dei prezzi, proteggono i produttori inefficienti, impediscono la mobilità dei fattori della produzione. La burocratizzazione dell'economia finisce così per frenare lo sviluppo produttivo e la crescita del benessere generale, crea disoccupazione, scatena fenomeni inflazionistici. Non tutti i Paesi ad economia mista sono però colpiti in egual misura da questa mutazione strutturale dell'economia e non tutti reagiscono in modo analogo. La nascita in Italia di una «economia parallela» sempre meno \ sommersa e sempre più estesa, è una reazione tipicamente italiana, segno di vitalità spontanea del mercato. In Francia e in Gran Bretagna, il movimento d'opinione che si propone di ridare forza all'economia di mercato è più cosciente: la soppressione quasi completa, nel 1978, del sistema di controllo dei prezzi industriali da parte del governo francese, e la reazione inglese all'intollerabile conflittualità di una società dominata dai corporativismi sindacali, che ha portato al governo il partito conservatore con un programma neoliberista, sono indubbi segni di una inversione di tendenza. Del resto, l'economia di mercato rimane quasi intatta nel maggiore Paese industriale europeo, che è la Germania Federale. II verdetto sul futuro del mercato nelle economie miste rimane quindi aperto. L'emergere dell'economia parallela in Italia è forse indice di una più diffusa sfiducia nella possibilità di frenare l'avanzata dello statalismo burocratico e di un pan sindacalismo soffocante nell'economia «ufficiale»; ma è anche una risposta provocatoria e una sfida alle tendenze dominanti. In altri Paesi sembrano meglio funzionare meccanismi correttivi, politico-economici, che hanno radice in un diffuso malcontento della popolazione. Il «male oscuro» dell'economia inglese — dice Samuel Brittan — potrà produrre reazioni spontanee autocurative, specie fin tanto che rimarranno Paesi concorrenti refrattari al contagio. L'esistenza e lo sviluppo di un mercato internazionale aperto e competitivo potrebbero così diventare determinanti per frenare le tendenze anti-mercato tipiche di alcune economie nazionali dell'Occidente. E' un fatto, del resto, che il mercato mondiale ha continuato a stimolare fermenti innovativi nelle economie burocratiche a pianificazione centrale dell'Est europeo, debitrici verso il mondo capitalistico anche di vitali apporti tecnologici. Nei Paesi dell'Est il futuro dei meccanismi di mercato, che distribuiscono in modo autonomo risorse e potere economico, secondo modelli diversi da quelli derivanti dalla rigida pianificazione centrale, appare anche molto aperto, secondo le relazioni presentate al convegno del Ceses da autorevoli economisti polacchi, ungheresi, romeni e jugoslavi. Nonostante la crisi economica mondiale, o anzi proprio in seguito a questa crisi, che mette in luce la scarsa vitalità dei sistemi burocratici, spira nuovamente all'Est aria di riforme economiche. Se ne riparla di nuovo anche nell'Unione Sovietica, ed è un peccato che gli economisti sovietici non abbiano accettato quest'anno l'invito a partecipare al seminario del Ceses. Non sappiamo se quest'assenza sia da collegarsi proprio con l'annuncio ufficiale di riforme imminenti, ma forse ancora troppo mal definite per essere discusse in un dibattito internazionale. Arrigo Levi
Persone citate: Bernard Cazes, Brittan, Nagy, Renato Mieli, Ricossa, Samuel Brittan, Sergio Ricossa
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