Quando il politico è divo

Quando il politico è divo Quando il politico è divo Quando il politico è divo La politica americana possiede una qualità simbolica e spettacolare che un critico d'arte definirebbe «espressionistica-. Le vittorie sono trionfi, le cadute sono rovinosi disastri, le candidature vengono annunciate fra grida di gioia e promesse solenni. Il lessico politico è affollato di riferimenti plastici a «stame piene di fumon dove massicci fumatori di sigari assumono decisioni di vertice, o a «oscuri cavalli- che emergendo dalle retrovie contendono la vittoria ai favoriti. Siamo fra il Kentucky Derby e le operazioni di peso di un match di Cassius day. I gesti sono sempre plateali, significativi, evidenti. L'avvocato dell'Esercito che sconfigge in tribunale Mac Carthy e segna la fine della sua vita pubblica, Johnson che si diìnette davanti alla televisione, Nixon che esce piangendo dalla Casa Bianca... L'arte mediterranea dell'allusione, della sfumatura e della reticenza, che pure garantisce lunghe sopravvivenze del potere, è scarsamente pra tica ta. Prendiamo ad esempio l'ultima corsa di Jimmy Carter. Già è singolare che un Presidente controverso e largamente impopolare se ne vada sulle colline intorno a Camp David, col numero sulla schiena e un nastro sulla fronte, a gareggiare in una specie di Stramilano o di Marcialonga. Ma poi gli accade, proprio mentre tutti i commentatori politici cercano immagini o iperboli per chiedersi se la presidenza è stanca, se arriverà al traguardo, se sarà costretta, al ritiro, di avere un comprensibile crollo di fiato al terzo miglio, e perciò di dimostrarsi stanco, di non arrivare al traguardo, di essere costretto al ritiro. Mentre intanto il suo giovane rivale, scintillante di sorrisi e di salute, annunciava d'essere, in fondo, disposto a concorrere. Che si vuole di più? Il prossimo passo è quello di disputarsi la Casa Bianca su una pista in tartan o su un ring di lotta greco-roma\na. E' inimmaginabile, in Italia, una gara alpinistica fra Piccoli e Forlani per la scalata alla vetta della segreteria democristiana, in «prima- invernale, e seguiti da lunghe cordate. Da una rievocazione del 1990. «La guerra fra Camera e Senato, in Italia, cominciò in un giorno del 1980, quando entrambi i rami del Parlamento discussero separatamente ma con unanimi risultati un appello alla trasformazione del sistema da bicamerale in monocamerale, ciascuno intendendo che il ramo da tagliare era l'altro. Illustri giuristi furono mobilitati a dimostrare l'indispensabilità della Camera alta, altrettanti la superiorità della Camera bassa. Furono chiusi i passaggi pedonali fra piazza Montecitorio e corso Rinascimento. La mediazione tentata da una delegazione del Bundestag, dei Lords e della Knesset si rivelò vana. In un suo appassionato discorso, un senatore dotato di memoria storica ricordò all'assemblea che il monte su cui sorgeva la Camera dei deputati non era altro che un colle fatto con sabbie di riporto, e che giustamente i Papi lo avevano destinato alla diffusione dei numeri della lotteria pontificia. Un senatore-pittore criticò lo stile liberty dell'architetto Basi¬ le, un altro ebbe a ridire sulla qualità del servizio di barberia gratuita da lui sperimentato durante un precedente periodo trascorso come deputato. La risposta di Montecitorio non si fece attendere. Applaudito da tutti i settori, un oratore precisò che anche il palazzo del Senato aveva ospitato in passato le estrazioni della lotteria, e insinuò spiritosamente che palazzo Madama avesse preso il suo nome non già da Margherita d'Austria, ma dal nome popolare dei poliziotti papalini che vi avevano eletto la loro centrale. Non potendo criticare la qualità estetica dell'aula, qualcuno si avventurò a mettere in dubbio l'autenticità degli affreschi allegorici sulle pareti del salone, chiedendo un expertise ad Argan e Ragghiami, i quali non si trovarono d'accordo. Si paragonarono i menù delle due buvettes, la qualità e la rapidità dei due servizi postali, i costi d'esercizio. Il dibattito durò molti anni, e fu cosi intenso, che pochi si accorsero che nel frattempo, era nata una Repubblica presidenziale». Da una pubblicazione clandestina del medesimo anno, il 1990. «Denunciamo all'opinione pubblica mondiale che l'Italia ha un regime d'informazione senza altri esempi al mondo. Tutto ebbe origine da quando la nuova legge sull'editoria, ampiamente emendata, permise l'uscita di un solo giornale, battezzato "L'unico " sebbene qualcuno vi vedesse un improprio riferimento anarchico e stirneriano. La diffusione di quel giornale è notoriamente imposta da una legge dello Stato, il prezzo è gratuito, la lettura è obbligatoria, la tiratura insegue le statistiche demografiche e sfiora i 60 milioni di copie. E' materia d'esame nelle scuole secondarie. La politica è, naturalmente, assente. Le notizie sono scelte fra quelle capaci di sconfiggere la mai sopita tendenza alla razionalità». di A ndrea Barbato

Persone citate: Argan, Barbato, Carthy, Cassius, Forlani, Jimmy Carter, Johnson, Nixon

Luoghi citati: Austria, Italia, Kentucky