La fila davanti al carcere di Lia Wainstein

La fila davanti al carcere Nuove testimonianze sui lager staliniani La fila davanti al carcere Lidija Cukovskaja: «Indietro nell'acqua scura», Ed. Vallecchi, pag. 136, lire 4800. L'epoca di Stalin, gli anni che precedettero e seguirono la guerra non si potrebbero rievocare con tocchi più misurati e sobrii di quanto faccia l'ultrasettantenne scrittrice Lidija Cukovskaja. Suo padre Kornej Cukovskij, studioso di letteratura inglese, traduttore e critico, gode tuttora di un'ampia fama in patria, e crediamo non vi siano bambini di lingua russa che non conoscano a memoria qualche brano del suo poema sull'incomparabile Krokodil Krokodilovic, un personaggio che usava passeggiare a Pietrogrado sul Nevskij Prospekt. Oltre alle opere storiche, uscite in Urss, sui decabristi e su Hersen, Lidija Cukovskaja, che nel 1974 venne espulsa dall'Unione degli scrittori, è autrice degli Incontri con Anna Achmatova e di due romanzi pubblicati a sua insaputa all'estero. La casa deserta e Indietro nell'acqua scura. Attingendo alla sua approfondita esperienza di redattrice letteraria, la Cukovskaja riesce a creare, con un dispendio minimo di messi, un delicato equilibrio che forse ricorda soprattutto la lesione di Cechov. Qui vediamo la protagonista Nina Sergeevna recarsi d'inverno per un mese di vacanse-cure in un sanatorio destinato agli intellettuali. Nel confortevole ambiente tutto sembra previsto per dare un'impressione di sereno benessere agli ospiti, ma la ben diversa realtà non tarda ad annientare ogni illusione in quel piccolo paradiso artificiale. Siamo nel 1949, le ferite causate dalla guerra non si sono ancora rimarginate. Gli abitanti del vicino, misero villaggio, occupato a lungo e in gran parte distrutto dai tedeschi sono per tale motivo in castigo e non possono ottenere la residenza in città e molti ospiti celano un loro agghiacciante segreto. Nina Sergeevna sf?rcmerge continuamente «indietro nell'acqua scura», nei ricordi del 1937, quando il marito Alesa fu condannato a dieci anni di reclusione sensa il diritto di ricevere corrispondensa. Bellissima la descrisione delle donne in fila nella vana speransa di apprender qualcosa sui mariti detenuti: «Ero in coda dalla sera precedente:' avevo il numero 715... Vidi che c'erano numerose donne con in braccio del lattanti... le madri li cullavano ed andavano ad allattarli negli ingressi delle case. Verso le otto, tutte avevano lasciato il lungofiume per ammassarsi nella via e addossandosi timorose al mu'ro, cercando di occupare meno spazio possibile, si erano sistemate in fila davanti all'alta porta ufficiale della Casa Grande». Trascorsi 12 anni, la stessa Nina Sergeevna immagina che il suo Alesa sia morto durante un interrogatorio, ma Bilibin, uno scrittore giunto al sanatorio dopo cinque anni di Lager e la guerra, le spiega che Alesa fu probabilmente fpf fucilato. Quest'esperienza, che consente alla protagonista di dare adesso una forma più concreta al suo dolore, la fa sentire vicina all'ex detenuto. Intanto la campagna contro i «cosmopoliti», cioè gli ebrei, intrapresa quell'anno da Stalin, sì va inasprendo tra la connivenza generale, e la sola Nina Sergeevna esprìme il proprio sdegno, o Verso la fine del romanzo, sindigna dì nuovo nel leggere il manoscritto che Bilibin ha appena ultimato. Travisando completamente tutto quanto egli le aveva raccontato sugli orrori del Lager, in cui aveva lavorato come minatore, lo scrittore si rivela un conformista ligio alle esigenze della propaganda sovietica: niente più fame né bambini nati lì minorati ma volenterosi operai dotati d'ingegnose macchine moderne. Nina Sergeevna si scaglia contro Bilibin accusandolo di essere un codardo e un falso testimone, ma poi si pente, sia perché sa che l'uomo è malato dì cuore e che per guadagnare è costretto a scrivere «menzogne stereotipate», sia perché lei stessa in fondo non ha il diritto di giudicarlo. Il fine cui lei mira è vivere per la figlia e «per quegli amici, quei futuri fratelli, ai quali avrei raccontato Lia Wainstein

Luoghi citati: Pietrogrado, Urss