I tossicomani: «La nostra schiavitù non è la droga, ma il mercato nero»

I tossicomani: «La nostra schiavitù non è la droga, ma il mercato nero» Nel dibattito sulla legalizzazione dell'eroina, diamo la parola a chi ne fa uso I tossicomani: «La nostra schiavitù non è la droga, ma il mercato nero» Ecco alcune voci: «Per procurarci la dose giornaliera, siamo costretti a fare di tutto: questo è il vero dramma» - «Senza gli spacciatori che ci spremono come stracci, nessuno ci noterebbe: è forse segnato a dito chi beve o fuma?» - «Nessuno vuole ancora capire che noi non siamo, né ci sentiamo, dei malati» «Un'ipotesi coraggiosa per ì tempi che corrono, ma superficiale. La legalizzazione dell'eroina è accettabile temporaneamente, come male minore, ma soltanto in vista di un passaggio alla libera vendita delle droghe pesanti». E' la prima reazione dei tossicodipendenti torinesi alla proposta del liberale Altissimo, neo ministro della Sanità, su un problema scottante che ha scatenato una ridda di ipotesi, pareri e prese di posizione contrastanti sulle pagine di tutti i quotidiani. Che cosa succederebbe legalizzando l'eroina? E' serio e utile distribuire droga pesante di Stato ai tossicodipendenti accertati? Esistono alternative per sanare la piaga del mercato nero che si estende a macchia d'olio, uccide con tagli micidiali (le ultime novità, terribili: eroina al limone e alla fragola), condanna il drogato a diventare criminale oppure spacciatore egli stesso? Sociologhi, medici e politici hanno offerto ricette: chi dice (eludendo in parte l'attualità del problema) che si può intervenire soltanto col migliorare la società. Ipotesi nobile ma purtroppo remota, che nella piaga degli stupefacenti mira ad eliminare le motivazioni d'origine; chi giudica fallimentare l'esperienza inglese della legalizzazione (droga di Stato ai tossicodipendenti accertati e registrati, tramite ospedali e medici), sottolineando la mancata diminuzione del numero dei drogati; chi paventa, allarmato, addirittura un incremento dell'uso di eroina attraverso un «mercato grigio» che smercerebbe, secondo le esperienze d'oltre Manica, una parte della droga legale. Dopo tante analisi sembra giusto lasciar spazio alle «cavie» un po' troppo ignorate dal dibattito: la parola è ai tossicomani. Si fa portavoce dei consumatori d'eroina torinesi un gruppo eterogeneo di giovani spesso in prima linea nelle tavole rotonde, che chiedono di essere consultati quali interpreti senza vergogna delle angosce di un mondo sommerso. Galeno, ex commerciante, Antonio, ex operaio Fiat, Angelo, manovale delle ferrovie, Ennio, da poco uscito di galera dopo una condanna per furto, Iris e Lucia, amiche diciottenni accomunate dall'allucinante professione dello «sbattersi», cioè fare qualsiasi cosa per procurarsi comunque il buco quotidiano. Tutti, interrogati sull'ipotesi di legalizzazione, ribadiscono che la proposta è superficiale: «L'unica, vera dipendenza del tossicomane non è dalla droga, ma dal modo e dai limiti che regolano l'offerta: siano essi i ricatti del mercato nero, oppure quelli delle istituzioni che vogliono schedarti come malato e disintossicarti per forza». Prorompe disperata, come sempre, la richiesta di droga senza condizioni. Senza, soprattutto, l'alibi di una redenzione che nessuno invoca. Quieto, sforzandosi d'essere persuasivo, Galeno si ravvia i lunghi capelli biondo castani e spiega: «Noi rivendichiamo la libertà di una scelta consapevole. Non ci riteniamo più. diversi di un fumatore che si avvelena col tabacco o di un forte bevitore di alcolici. Vogliamo smettere d'essere tossicomani per diventare "consu¬ matori di eroina", non più abbrutiti o trasformati in criminali dalla ricerca assillante di denaro per ingrassare lo spacciatore». Angelo conferma, scuote la testa, sembra chiedere scusa alla gente pronta a dipingere il drogato come un mostro: «Sappiamo che la gente ci vede in questo modo. Eppure siamo gli unici, in un certo senso, a fare prevenzione, conoscendo a quale vita infame è costretto un tossicodipendente nella situazione d'oggi. Una dose vale ormai 400 mila lire il grammo; il buco quotidiano, necessario nelle mie condizioni, costa 60 mila lire circa. Così, rincorrendo ogni giorno quei soldi, disposti a tutto e ricattati dal mercato nero, perdiamo il lavoro, la dignità, la cura di noi stessi e diventiamo criminali da galera nell'85 per cento dei casi». Sanno di essere un problema e ammoniscono la città a non assistere inerte ad un imminente raddoppio del loro numero: senza l'eliminazione del mercato nero la schiera dei «disposti a tutto» potrebbe assumere proporzioni drammatiche. L'esperienza di Galeno, maturata in cinque anni di contraddizioni, ansie e paure (senza però mai rinnegare la scelta dell'eroina) è comune a migliaia di altre: «Ero titolare di un negozio che ho dovuto vendere dopo i primi buchi, ora vivo sbattendomi sema un lavoro e pieno di complessi. La gente mi guarda come un appestato, ma non è il buco a rendermi cosi: senza il mercato nero che ci spreme come stracci, nessuno potrebbe ad-, ditarci per strada. Forse è riconoscibile un onesto cittadino che fuma 100 sigarette al giorno, avvelenandosi a morte?». Nel tentativo di assimilare l'eroina ad altre evasioni or¬ mai accettate sono pronti a smitizzarla senza pietà. La droga di Stato non sfuggirebbe ai canoni del «rito», al fascino del tabù violato per protesta? «Ma quale rito — nega Antonio — ma quale tabù! La routine dello sbattersi è di uno squallore totale, non ha, nulla di fantasioso. Siamo ragionieri costretti a far soldi in ogni momento del giorno». Insistono le ragazze: «Se la gente accettasse il princìpio che l'eroina non è una sostanza "cattiva" ma solo una sostanza, che si incontra per caso e diventa quindi necessità, prima fisica e poi esistenziale; che per qualcuno significa anche il beneficio di una fuga dall'angoscia e dalla paura, allora, forse, ci sarebbe più comprensione per noi». Dicono di riscoprire se stessi soltanto dopo un buco, lontano dal quale sopravvivono incertezze o paure: forse si può anche smettere, ma la disintossicazione deve essere come un rapporto affettivo che si spegne, non una manipolazione imposta. E' l'errore che tutti i tossicomani imputano alle strutture sperimentate finora, comprese quelle della legalizzazione. «Non si è ancora capito che il tossicomane non è, né si sente malato — conclude per tutti Galeno —. Cosi, nell'ultima proposta di legalizzazione, traspare soltanto il desiderio di accontentare l'opinione pubblica che vorrebbe esorcizzare il problema. Si scheda ilmalatoper "curarlo"con l'eroina, non si concede una sostanza acquistabile per scelta, che ci permetta di ridiventare uguali agli altri e padroni della nostra vita». Con la critica alla legalizzazione torna, angosciosa, la richiesta della liberalizzazione. Vedremo con quali argomenti i tossicomani la sostengono. Roberto Reale

Persone citate: Galeno, Senza