Soffrire Roma dal di dentro di Lietta Tornabuoni

Soffrire Roma dal di dentro MENTRE UN POPOLANO COMUNISTA ARRIVA AL CAMPIDOGLIO Soffrire Roma dal di dentro Politici e intellettuali romani parlano della «capitale del disordine» - Vassalli: «La città è ridotta a bagliori e respiri che per un attimo te la ricordano bella com'era» - Moravia: «Non si può più passeggiare, sei solo come un cane» - Evangelisti: «Mi addolora il Tevere avvelenato» - Il nuovo sindaco Petroselli: «Roma cambia soltanto se cambia il paese» ROMA — Per la prima volta nella storia, la settimana prossima la capitale d'Italia avrà come sindaco un comunista, un popolano. «Mi va bene», dice il ministro democristiano Franco Evangelisti, gran faccendiere anche nella politica cittadina. «Considero Luigi Petroselli una persona preparata, e la scelta è più limpida. Tre anni fa il pei aveva designato il professor Argan pure per non dare la botta tutta insieme, perché un intellettuale di prestigio era un sindaco accettabile dalla borghesia romana e un alibi comodo per tutti. Adesso usciamo dall'equivoco. In Campidoglio va un comunista, e vediamo cosa sa fare». «Noi vogliam Dio ch'è nostro padre, noi vogliam Dio ch'è nostro re», cantano in piazza San Pietro i pellegrini del Collegamento Mariano Nazionale. Mercoledì pomeriggio: nel calante sole nebbioso, oltre un muro compatto di pullman e di sgangherati furgoni-bar ^.Ristoro Mobile», «The best cold drinks in Rome»/ : nuovi romei s'assiepano per l'udienza pubblica papale. Spagnoli, tedeschi, abruzzesi di Vasto, toscani di Barberino dì Mugello. Uomini che si bagnano i capelli nella fontana, donne con le gambe stanche, ladri di undici anni che fanno rotolare i barattoli di birra prendendoli a calci con le scarpe bianche a punta, preti in borghese col golf legato intorno alla vita, preti in sottana che. leggono Fardasé, la rivista del bricoleur. «Carisimos... Deus lo creò... continuar la obra de la creaxjao...»: la voce del papa si piega male alle dolcezze portoghesi. Il traffico Aron molto lontano dal piccolo trono su cui siede all'aperto, urlano i clacson, si urtano le automobili, s'addensano i gas, smoccolano i romani. Come ogni mercoledì, intere sezioni della città sono paralizzate: la riscoperta di Dio e la popolarità di Wojtyla costano a Roma l'aggra- varsi d'un traffico già caotico e gelatinoso, il peggiore, delle grandi città occidentali. Martedì hanno arrestato una banda di cileni e algeriniborseggio in autobus, furto povero snobbato dagli italiani, praticato da esuli cui Roma offre a migliaia asilo politico, ma non lavoro né possibilità di sopravvivenza. Giovedì, nelle ore mattutine del lavoro, via del Corso è affollata e invasa come le strade di Shanghai. C'è lo sciopero degli statali: migliaia di burocrati sottopagati, disaffezionati, sfiduciati in una riforma annunciata da venticinque anni che non si fa mai, avviliti da compiti meccanici e subordinati che non prevedono responsabilità né iniziativa personale, si riversano in centro a guardare le vetrine. Tutto è diverso e tutto di¬ venta dramma, nella capitale unica in bilico tra Europa e Medioriente, nel comune più vasto d'Italia, nella città che scoppia: bei problemi si trova ad affrontare, il nuovo sindaco. Ma, comunista e popolano, è anche lui diverso dai sindaci che l'hanno preceduto, prima funzionari vaticani e principi romani, poi borghesi democristiani: il professore d'idraulica Rebecchini, che sapeva recitare Trilussa e Pascarella; Urbano Cioccetti. prodotto dell'apparato cattolico; Santini che nessmio ricorda, Tupini e Della Porta che durarono poco, Petrucci che finì processato e l'ultimo, Darida. Luigi Petroselli è piccolo di statura, ha 47 anni e una faccia contadina, non abita in cen- tro e vive a Roma soltanto da j dieci anni. E' nato a Viterbo nella famiglia d'un tipografo antifascista, è sposato con un'insegnante, è da sempre funzionario del pei: entrato nella federazione giovanile nel 1949, segretario della federazione comunista di Viterbo e poi di Roma, segretario regionale del Lazio, consigliere comunale dal 1971, capolista nelle elezioni amministrative del 1976. Da ragazzo è stato quaranta giorni in prigione per aver guidato un'occupazione di terre a Bomarzo: in quell'occasione scrisse la sua prima poesia. «Oggi è il giorno che piange mia madre». Scrivere «non è più un amore, è un rimpianto», la politica è la passione dominante della sua vita: come uomo di partito è duttile, portato alle alleanze, nello stile e nell'aria di Berlinguer. Stimato: «Un politico intelligente, capace», dice il repubblicano Oscar Mammi. mentre il socialista Giuliano Vassalli dice che «può rappresentare un fattore positivo per Roma: esponente d'un partito che ha radici autentiche nel popolo, deve avere anche un polso amministrativo, una consapevolezza dei problemi, e la sua maggior forza politica può rappresentare una garanzia». Ma il professor Vassalli non ci conta troppo: «Per noi romani ormai non c'è speranza». La borghesia roma'na, ceto assai ristretto fra «generone» e piccola borghesia dominante /«qui non abbiamo mai avuto un'aristocrazia moderna né una borghesia illuminata: qui il giardino dei ciliegi l'avrebbero lottizzato senza un sospiro», dice Mammi), detesta il presente della città, ne rimpiange un passato agghindato dalla memoria. Ci vive male, oppressa dalla folla che occupa le strade, dal traffico, dalla sporcizia, dalla paura, dalla volgarità, dalla violenza. Non capisce piti questa Roma città aperta, con i ragazzi di borgata che calano in centro a comprare jeans nelle botteghe popolari rutilanti e sonore di rock che hanno soppiantato i vecchi negozi del lusso pacati, familiari e foderati di boiseries, con i figli di ricchi che girano disperati nei brutti quartieri in cerca d'una -dose'.- una città cosi mobile ed estranea, così diversa dalla capitale in cui ognuno stava al suo posto, a piazza di Spagna gli inglesi, in Prati gli avvocati, in periferia i poveracci. Una tristezza, un amaro disgusto toglie ai più anziani la voglia di uscire: li scoraggiano i tassì introvabili, i parcheggi impossibili, le linee telefoniche sempre sovraccariche, i commessi scortesi, gli uffici pubblici impraticabili che sono tipici di molte metropoli; si commuovono vedendo alla tv certi vecchi film degli Anni Cinquanta nella cui mistificazione Roma appare tranquilla, paesana, abitata da popolani poveri ma spiritosi e rispettosi dei signori. j I drogati «Non si può più passeggiare», dice Alberto Moravia. «Ieri in venti metri di strada ho preso, li ho contati, tredici spintoni tanto duri da farmi scendere dal marciapiede. E i drogati... quarantanni fa i drogati erano ricchi, anche aristocratici, che prendevano la cocaina e stavano benone». Sono spariti, dice, i salotti che consentivano ai borghesi di somigliare agli artisti e che permettevano agli intellettuali d'avere quel pubblico quotidiano e -privato- tanto necessario. Esistono adesso soltanto i massmedia: «Cosi, mentre milioni di persone ti vedono alla tv, tu magari sei solo come un cane e non sai dove battere la testa». Eppure è a Roma «quel poco di vita intellettuale che ancora rimane, persone con cui discutere, circolazione di idee». «Roma è ridotta a bagliori, isole, respiri improvvisi che per un attimo te la ricordano bella com'era», dice Giuliano Vassalli. Grande avvocato, come i suoi colleghi è costretto per lavorare a spostarsi in almeno sei palazzi di vetro, in | zone differenti della città. «Quasi ogni mattina entri in un tribunale assediato da sbarramenti, polizia, camionette; dentro è una bolgia, al modo di presentarsi della ! giustizia manca decoro, di! gnità; ogni tanto bisogna i sgombrare perché qualcuno I ha telefonato che c'è una bomba. Con il moltiplicarsi del reati di peculato o di ter-' ' rorismo, i processi cumulati! vi son diventati una regola, ! s'allarga sempre più 11 numero degli imputati: interi con1 sigli d'amministrazione, inI teri gruppi. Intere facoltà universitarie. Il procedimento costa quindi enormemente, diventa un mostro senza confini: esistono imputati a vita, persone che nella durata d'un processo si sposano, hanno figli, invecchiano, si' separano, muoiono. Al legame cosi speciale della magistratura romana con il potere politico siamo ormai malamente abituati: accanto a tanti giudici che corrono rischi, faticano e fanno il proprio dovere, molti magistrati strumentalizzano la legge, commettono una serie di abusi, si abbandonano alla vanità, vogliono sostituirsi ai politici». I vigili «Quello che m'addolora è il Tevere avvelenato», dice Franco Evangelisti «Da ragazzo, per me 11 fiume era un amico, andavo a giocare sui barconi, facevo 1 compiti sulla spalletta: adesso non ti ci puoi nemmeno avvicinare. E dove sono i vigili urbani, com'è che non se ne vede mai uno, quando ultimamente ne hanno assunti tremila? Le vigilesse, dove son finite?». La vita politica è secondo lui sempre quella, cosi chiusa in sé da non aver troppi rapporti con la città, ma per Roma (è una vecchia idea democristiana) ci vogliono leggi speciali: «Non puoi amministrare Roma e Ciriè con le stesse leggi». Giudica incomprensibile il comportamento della de, per la prima volta all'opposizione nel governo della capitale: «Quando stai all'opposizione, o collabori, strada che io posso condividere, oppure fai l'opposizione. Invece non hanno fatto niente, niente». Anche la giunta Argan, sostiene, ha fatto poco: «Dove sta questo buongoverno che doveva rimediare al malgoverno nostro? Non lo vedo. Non hanno fatto che ripetere gli stessi errori delle nostre giunte». Questo proprio non è vero, dice Maurizio Ferrara, senatore comunista ed ex presidente della Regione Lazio. «Per esempio: nelle scuole romane, i tripli turni non ci sono più. Abbiamo riformato la struttura degli ospedali romani, dell'assistenza sanitaria che era appannaggio e privilegio del Vaticano, su cui l'addetto monsignor Angelini aveva sempre l'ultima parola. Abbiamo bloccato l'abusivismo nell'edilizia, la crescita incontrollata e illegale della città, le "ristrutturazioni" speculative nel centro storico, i grandi privilegi dei palazzinari». Coi piccoli privilegi di vigili, netturbini o dipendenti comunali non è andata nello stesso modo. Al nuovo sindaco la megacittà presenta problemi giganteschi ma c'è qualcosa, dice Luigi Petroselii, «che Roma non ha mai avuto e che solo questa giunta può dare: un tipo di governo sganciato dai centri del potere e del privilegio». Per il resto, ogni buona volontà e serietà non bastano: «Roma cambia se cambia il Paese». Lietta Tornabuoni Contadini dell'Agro romano, venuti nell'Urbe per una dimostrazione, aspettano l'ora del rientro. E' già il tramonto