Lavoro consumi austerità

Lavoro consumi austerità I nostri soldi di Mario Salvatorelli Lavoro consumi austerità «Sarebbe bene che più nessuno si lasciasse convincere dalle sue teorie in fatto di consumismo e di sprechi che dir si voglia», mi scrive da Genova il signor Remigio Rosselli, inserendosi nella discussione: austerità o produttività, alla quale ho invitato i lettori a partecipare. Ringrazio il signor Rosselli di aver accettato l'invito, ma devo osservare che l'inizio della sua partecipazione non è corretto. Infatti, nella rubrica del 29 agosto, alla quale egli si riferisce, io ricordavo, tra l'altro, che «tra consumi e sprechi c'è molta differenza». Quindi, non si può metterli sullo stesso piano, come fa, invece, il signor Rosselli. Fatta la precisazione, diamo il suo intervento per buono, e andiamo avanti. In quella rubrica io confrontavo i consumi degl'italiani con quelli degli olandesi, citati a esempio da un'altra lettrice, per affermare, poi, che i nostri sono ancora bassi. Il signor Rosselli osserva che, confrontando il reddito pro-capite degli olandesi con quello degli italiani, si rileva che gli italiani, proporzionalmente, consumano più degli olandesi (e scusate se è poco). Non è esatto. E mi spiego. Una parte dei consumi privati, quelli delle famiglie, sui quali si scagliano le frecce di chi accusa gl'italiani di consumismo, è necessaria, in un certo senso fissa, qualunque sia il reddito per abitante. Si tratta dei consumi per nutrirsi, per vestirsi, per avere un tetto sotto il quale ripararsi e un letto per dormire. E'questo il motivo per cui in certi Paesi le spese per l'alimentazione sono, per esempio, il 40-50 per cento dei consumi totali delle famiglie, e in altri Paesi appena il 25-30 per cento. L'osservatore superficiale ne deduce che nei primi Paesi si mangia di più, negli altri di meno. In realtà, nei primi Paesi il reddito è meno alto, quindi l'alimentazione ne assorbe una parte maggiore, negli altri Paesi il reddito è più alto, quindi ne resta una percentuale maggiore, dopo aver soddisfatto i cosiddetti bisogni primari. «In Olanda e in tutti gli altri Paesi più progrediti — aggiunge poi il signor Rosselli — non si sono mai sognati di fare come si fa in Italia (e come predica Lei) di consumare di più per produrre di più, bensì di produrre di più per consu- mare di più, ciò che, nonostante le apparenze, è cosa ben diversa (qui i termini della questione sono capovolti)». Ogni discussione è lecita, anzi auspicabile, purché non si capovolga il significato di ciò che il contraddittore ha detto. In quella rubrica, e in altre occasioni, infatti, io ho scritto: «A noi italiani serve produrre di più, distribuire con più equità il reddito prodotto, e non tanto consumare meno, quanto consumare meglio». Non riesco a capire dove il signor Rosselli abbia trovato la affermazione che mi attribuisce. E anche questo non è corretto. Ma il vero punto, la ragione del contendere, sta nel dilemma: austerità, oppure produttività? E su questo punto ho l'impressione che le nostre posizioni, quella del signor Rosselli e la mia, siano molto vicine. «Nei Paesi di cui si vuole portare l'esempio — egli scrive ancora — ci si preoccupa di trovare un giusto equilibrio tra produttività e consumi, cioè tra entrate e uscite». Siamo perfettamente d'accordo. Infatti, il 5 settembre, in questa rubrica, ricordando un mio articolo del 13 agosto, scrivevo che «il nostro Paese non ha bisogno di austerità, ma di produrre di più, e con una maggiore produttività dei diversi fattori: capitale, lavoro, materie prime (energia compresa)». Mi sembra chiaro che anch'io pongo l'accento sulla produzione, prima che sui consumi, e in particolare sulla produttività, che è cosa diversa dalla produzione. Infatti, se due aziende producono in un giorno lavorativo cento ^unità» di prodotto, per esempio cento frigoriferi, hanno la stessa produzione. Ma se un'azien¬ da ha impiegato 20 operai, e l'altra 25, questo significa che la produttività della prima è maggiore, a parità di produzione. Del resto, l'insistenza sull'aumento della produzione, quindi dei consumi, non è un mio «pallino». Il 21 agosto «La Stampa» ha pubblicato una mia intervista al segretario generale della UH, nella quale, tra l'altro, Giorgio Benvenuto diceva: «Piuttosto che sentirci ripetere questo autunno che bisogna stringere la cintola, io dico che occorre rimboccarci le maniche». E aggiungeva: «Credo che non si debbano ripetere gli errori commessi in passato... Penso alla politica recessiva che ci venne imposta con la "Lettera d'intenti" al Fondo Monetario. Credo che la lotta alla inflazione si possa fare non subendo la recessione, ma diminuendo il costo del lavoro per unità di prodotto». Lo stesso concetto di non ridurre i consumi, anzi di «rimboccarsi le maniche» per produrre di più, e quindi poter consumare, ma anche esportare, di più, è stato ribadito anche da Luciano Lama. Il segretario generale della Cgil, ha detto: «La mia preoccupazione, per i prossimi mesi, anche se pochi ne parlano, è una caduta produttiva... Se noi però terremo ferme le priorità (lotta per i disoccupati; organizzazione del lavoro; aumento della produzione; utilizzazione dei redditi aziendali per una politica espansiva; ecc.) allora riusciremo a orientare i lavo ratori». Non Le sembra, caro signor Rosselli, che anche Lama e Benvenuto siano d'accordo con le mie «teorie»? Già il 13 agosto, su «Stampa Sera», io scrivevo: «L'idea che con la riduzione dei consumi sia possibile attenuare la disoccupazione giovanile e ottenere il decollo economico del Mezzogiorno, è un'idea quantomeno bizzarra». ■ Occorre, quindi, sostenere la «domanda interna», cioè i con sumi. Ci si può chiedere se Benvenuto e Lama esprimano solo opinioni personali, oppure parlino anche a nome delle rispettive confedera zioni. Da ciò che sta succedendo in queste prime settimane di ripresa della prò duzione, dopo le .grandi va carne» estive, saremmo in dotti a ritenere che esprimono solo opinioni personali.

Luoghi citati: Genova, Italia, Olanda