Un giudice e la droga «libera»
Un giudice e la droga «libera» Un giudice e la droga «libera» Di eroina si muore. Per la droga si delinque: secondo la mia esperienza di giudice si fanno sempre più processi sia per spaccio che per reati vari commessi da tossicomani. Con la droga si guadagna; e si estende quel potere mafioso che sta diventando una componente stabile della nostra vita collettiva. Ecco le tre principali funzioni negative della diffusione delle tossicodipendenze, una proiezione esterna del malessere giovanile che produce altri scom.pensi. Dopo la legge, che pareva innovatrice, del 1975 e i tentativi di applicarla sul piano amministrativo (il Piemonte, con una legge regionale, e Torino, coi centri droga comunali, hanno fatto più che altrove) le dichiarazioni del ministro della Sanità sono tornate a risvegliare un interesse che non sia solo quello per le tristi cronache dell'avanzata del male ma che riprenda un discorso riformatore nel quale si iscriveva l'ora rinverdito progetto della federazione giovanile socialista che mirava alla liberalizzazione delle droghe leggere da fumo, marijuana e hashish. Queste ultime, se si deve credere alla maggior parte della letteratura (che Arnao ha riassunto nel suo «Erba proibita») non producono effetti particolarmente gravi, per cui si pone l'interrogativo sulla razionalità della loro proibizione di fronte allo smercio indiscriminato di alcool, tabacchi, psicofarmaci di ogni tipo. Vi è però da aggiungere che, se è smentito il passaggio obbligato dalla droga leggera alla pesante, una notevole diffusione della prima, che sembrerebbe l'esito certo di una sua libera vendita, non può essere accolta senza inquietudine. Ma ora l'attenzione si incentra sulla ventilata legalizzazione, o distribuzione controllata dell'eroina (non liberalizzazione quindi, ma somministrazione in quantità stabilite e in strutture mediche pubbliche a persone già in stato di tossicodipendenza): si parte da un'analoga esperienza inglese (sull'esito della quale i giudizi sono discordi) e da altre indicazioni di origine radicale o provenienti dagli stessi eroinomani. A me sembra che della proposta dì Altissimo, dopo gli inevitabili esami degli esperti e superando con pragmatismo le discussioni sugli aspetti tecnici della materia (selezione degli utenti, dosi e modi di somministrazione, ecc.) si debba fare una cauta sperimentazione, senza la pretesa di predisporre minutamente la regolamentazione per i prossimi due secoli. Sulla carta, le tre citate conseguenze più funeste sembrerebbero neutralizzate: so che il mercato nero non si arrenderà, ma mi contenterei già di salvare qualche vita, oltre che di limitare una delinquenza «necessitata». All'obiezione dell'approccio esclusivamente farmacologico risponderei che la mediazione degli organi pubblici può consentire quell'aggancio (attraverso operatori sociali ma anche basato sul volontariato: a Torino opera, con apertura e dinamismo, il Gruppo Abele) che è necessario per non lasciare il tossicomane nel ghetto degli irrecuperabili. Vale, forse, la pena di tentare; e di farlo presto, senza bloccarsi nel vizio nazionale di discutere all'infinito, fino alla totale elisione dei pareri favorevoli e contrari. Mario Garavelli, Torino magistrato
Persone citate: Arnao, Mario Garavelli
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