Atene, 30 anni dopo la guerra di Ferdinando Vegas

Atene, 30 anni dopo la guerra OSSERVATORIO Atene, 30 anni dopo la guerra La visita di Karamanlis (nella foto) a Mosca avviene a trent'anni esatti dalla fine della guerra civile greca: fu infatti tra l'agosto e il settembre 1949 che l'esercito regio scatenò l'offensiva finale contro gli ultimi bastioni degli insorti comunisti, costringendoli ad annunciare, il 16 ottobre, la cessazione delle ostilità, «per evitare la distruzione totale del suolo greco». Ma intanto la guerra aveva già accumulato lutti e rovine: 50 mila morti, undicimila villaggi devastati, 20-30 mila bambini inviati dai comunisti nei Paesi dell'Europa orientale : quanto ai vinti, mentre decine di migliaia prendevano la via dell'esilio, numerose migliaia venivano invece rinchiusi nei campi di concentramento delle isole. Si concludeva cosi una vicenda tragica per il popolo greco, esemplare per gli insegnamenti che ne discendono. La premessa risale agli anni della guerra, quando la resistenza contro gli occupanti italiani e tedeschi si organizzò, in grande maggioranza, nell'Eam (Pronte nazionale di liberazione) a direzione comunista. Ritiratisi i tedeschi nell'ottobre del 1944. i partigiani speravano di cogliere il premio dei tremendi sacrifici subiti; ma li aspettava la più amara delusione, nonostante la politica conciliante dell'Eam e degli stessi comunisti, fedeli alle direttive moderate di Mosca. Proprio in quel mese la Grecia era stata attribuita all'influenza britannica nel famigerato accordo tra Churchill e Stalin sulla spartizione in percentuale delle zone d'influenza nell'Europa danubiano-balcanica. Quindi Stalin non mosse un dito per aiutare i comunisti, quando questi furono provocati da una sparatoria mentre consegnavano le armi ad Atene nel dicembre '44. Sconfitta. l'Eam accettò nel febbraio '45 gli accordi di Varkiza. con i quali in sostanza cedette non solo le armi, ma il controllo che esercitava su quasi tutta la Grecia, esclusa Atene. Le feroci persecuzioni che accompagnarono la restaurazione monarco-fascista (cosi chiamata dagli avversari) spinsero infine i comunisti a tentare di nuovo la sorte delle armi, tra 1946 e 1947: la seconda, ben più lunga, fase della guerra civile, condotta in un primo tempo come guerriglia, poi come guerra tradizionale, ma conclusa, lo si è detto, con la sconfitta. Quali che fossero gli errori politici e militari del «comandante Markus», il capo deìV «esercito democratico», l'esito della guerra fu deciso soprattutto fuori della Grecia. Gli insorti, infatti, ressero finché poterono contare sull'appoggio dei Paesi comunisti confinanti con la Grecia, in primo luogo la Jugoslavia: d'altra parte, subentrati gli americani agli inglesi (marzo 1947. «dottrina Truman»), mezzi ben più ingenti e sistemi più adatti portarono i governativi alla vittoria. La Grecia tra il 1944 ed il 1949 fu dunque il banco di prova della «guerra fredda» e, più in generale, della svolta della storia contemporanea: il tramonto dell'Impero britannico, il subentro in suo luogo degli Stati Uniti, il «realismo» dell'Unione Sovietica, spinto sino ad abbandonare al loro destino i comuni-, sti ricadenti nella sfera d'influenza dell'Occidente. Circa le possibilità e modalità della presa del potere, la lezione è chiara: non riesce l'insurrezione urbana contro un corpo militare (i diecimila soldati del generale inglese Skobie) deciso a sopprimerla con i mezzi più brutali, ma non riesce neppure la guerriglia, se non può contare su appoggi e «santuari» esterni. Ferdinando Vegas

Persone citate: Churchill, Karamanlis, Stalin