Israele minaccia di non restituire i pozzi del Sinai

Israele minaccia di non restituire i pozzi del Sinai L'ombra del petrolio sulla pace Israele minaccia di non restituire i pozzi del Sinai NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE GERUSALEMME — Israele ha minacciato l'Egitto di ritardare lo sgombero dei pozzi di petrolio del Sinai meridionale se non sarà raggiunto in breve un accordo sulle condizioni della restituzione che, secondo il calendario del trattato di pace, dovrebbe avvenire fra tre mesi. La minaccia, alla vigilia di un nuovo incontro fra Begin e Sadat, rischia di rendere improvvisamente tesi i rapporti fra i due Paesi e di provocare, con una reazione a catena, una reciproca ridiscussione delle modalità di applicazione del trattato. Recentemente Begin aveva sottolineato che il prossimo colloquio con Sadat, che si svolgerà da martedì a giovedì a Haifa, avrebbe riguardato soprattutto la questione del petrolio. Per preparare l'incontro, il ministro israeliano dell'Energia, Itkzahk Modai, è andato improvvisamente giovedì scorso a Bou Rodeiss per un colloquio con il ministro egiziano del petrolio, AhmedHilal. La riunione, tenuta segreta sino all'ultimo, aveva lo scopo di sbloccare una trattativa iniziatasi molto prima della firma del trattato di pace, e che non si è ancora sbloccata, benché sia stato raggiunto un accordo di principio in base al' quale Israele si ritirerà dai pozzi petroliferi della zona Alma, e in cambio l'Egitto si impegna a vendere a Israele una parte del petrolio estratto. «Israele non deve cedere su questo punto — ha dichiarato Modai — ogni goccia di petrolio è per noi essenziale. Forse dovremmo pensare di non rendere fra tre mesi i campi petroliferi di Alma». E' la prima volta che un membro del governo parla ufficialmente di questa possibilità, anche se Modai ha aggiunto: «Spero ancora che non arriveremo a questo punto, e che la prossima settimana a Haifa Begin riesca a convincere Sadat a fare concessioni». La disputa verte sia sulla quantità che sul prezzo del. petrolio che l'Egitto dovrebbe fornire a Israele dopo lo sgombero. Gerusalemme vorrebbe comprare due milioni di tonnellate l'anno (cioè l'equivalente dell'attuale produzione dei pozzi Alma), mentre gli egiziani propongono di vendere soltanto un milione e mezzo di tonnellate e vorrebbero ridurre la produzione (Il Cairo ha rimproverato agli israeliani l'eccessivo sfruttamento dei giacimenti). E c'è, nei piani di Israele e in quelli dell'Egitto, una differenza di prezzo di sette dollari al barile. L'irrigidimento della posizione israeliana si spiega con una congiuntura che Gerusalemme considera preoccupante. Il petrolio del Sinai copre ora un quarto del fabbisogno di Israele, e quel petrolio è sempre più prezioso, dopo il blocco dei rifornimenti iraniani. Israele ha problemi di approvvigionamento, specialmente per il futuro. Il Messico è attualmente il suo principale fornitore, ma la Norvegia rifiuta per il momento di soddisfare le sue richieste. Gli Usa hanno preso l'impegno di sopperire alle necessità di Israele in caso di defezione dei fornitori attuali, ma il governo di Gerusalemme non si sente sicuro; l'aumento del prezzo del petrolio sul mercato internazionale sarà sempre più difficile da sopportare per un'economia in crisi. Oggi, prima cioè della restituzione dei pozzi, Israele spende un miliardo e mezzo di dollari l'anno (1200 miliardi di lire) per il petrolio, cioè circa il 10 per cento del prodotto nazionale lordo; il debito estero supera gli 11 mila miliardi (il cittadino israeliano è il più indebitato del mondo) e il defi cit della bilancia commerciale è di circa 3 mila 200 miliardi. Francis Cornu Copyright Le Monde e per l'Italia la Stampa

Persone citate: Begin, Francis Cornu, Haifa Begin, Modai, Sadat