La mafia dell'Ucciardone vuole seminare il ferrare fra gli agenti di custodia

La mafia dell'Ucciardone vuole seminare il ferrare fra gli agenti di custodia Il maresciallo scomparso e l'agente ferito La mafia dell'Ucciardone vuole seminare il ferrare fra gli agenti di custodia PALERMO — Due sostituti procuratori della Repubblica. Prinzivalli e Grasso, stanno cercando il filo che collega tre episodi di violenza mafiosa, avvenuti nell'arco di 20 giorni nelle carceri dell'Ucciardone. Il vicecomandante degli agenti di custodia, maresciallo Calogero Di Bona, di 35 anni, è scomparso la sera di martedì scorso e ormai nessuno spera di rivederlo vivo; uno degli agenti addetti alla sorveglianza ai colloqui. Giuseppe Scozzarello. di 53 anni, è stato accoltellato 48 ore più tardi e, ad aprire l'inquietante catena di violenza, c'è stato alla fine di Ferragosto il feroce pestaggio, in carcere, dell'agente Giuseppe Angiulli. Tre episodi che stanno a testimoniare che i mafiosi dell'Ucciardone vogliono seminare il terrore fra gli agenti di custodia. Del primo episodio è responsabile Michele Micalizzi, di 30 anni, che sta scontando una condanna a 24 anni di reclusione ed è in attesa del processo di appello. Micalizzi era a capo del «commando» di estortori che, il 1" luglio del '76, uccise un agente di pubblica sicurezza, Gaetano Cappiello, e feri gravemente l'industriale Angelo Randazzo. Dopo avere selvaggiamente picchiato Angiulli, spalleggiato da altri cinque reclusi, Micalizzi fu punito con nove giorni alla cella di rigore: andò invece in infermeria dove, com'è risaputo, si vive meglio che in cella. Una prova del potere che questo «picciotto» ha nel carcere. In tali condizioni si capisce perché «un gruppo di agenti di custodia» scriva esposti anonimi al ministero di Grazia e Giustizia e alla magistratura. Basta il particolare dell'a¬ nonimato per sottolineare il grave clima di intimidazione che si respira dentro le carceri. Gli agenti, gli uomini in divisa, non hanno avuto il coraggio di firmare, di esporsi, di fare sapere ai reclusi che avevano deciso di ribellarsi alle loro prepotenze. Nella vecchia prigione borbonica sono rinchiusi in media 850 detenuti, 700 dei quali in attesa di giudizio. Inoltre vi sono una settantina di condannati che beneficiano del regime di semilibertà e costituiscono una specie di cordone ombelicale tra le cosche mafiose in carcere e quelle libere. Per tenere a bada i detenuti c'è un organico di 180 agenti. Se si fa il conto di ferie, permessi, riposi, malattie, gli agenti disponibili, nelle 24 ore, sono una quarantina. Queste cifre giustificano il sospetto che la prigione sia diretta, amministrata e sorvegliata da un potere mafioso, al cui vertice ci sono uomini come Micalizzi. La parola di questo delinquente nei nove bracci in cui si articola il carcere è sicuramente più autorevole di quella della direzione e degli agenti. a. r.

Luoghi citati: Palermo