Speranze per il grande fiume di Remo Lugli

Speranze per il grande fiume I rapporti dell'uomo col fiume: non più fonte di vita, ma pericolo Speranze per il grande fiume Nel Po si riversano milioni di tonnellate di materiale inquinante, ma la massa d'acqua riesce a diluirlo in proporzioni tollerabili - Tuttavia, in nessun punto sarebbe possibile fare il bagno - Indispensabile un coordinamento globale fra le Regioni interessate: Piemonte e Emilia si sono mosse, la Lombardia no DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — Il grande Po. Non è soltanto il fiume più lungo d'Italia, 677 chilometri, ma è anche quello che ha il più vasto bacino imbrifero, 70 mila chilometri quadrati. Questi primati lo mettono nella condizione di sopportare un peso enorme di inquinamento, contro il quale a fatica lotta la grande massa d'acqua che ne percorre il corso: in un anno una media di 47 miliardi di metri cubi. L'inquinatore per eccellenza, si sa, è l'uomo; ma inquinano anche gli animali e le attività che l'uomo esercita attraverso l'industria e l'agricoltura. Nel bacino imbrifero risiedono 14,9 milioni di abitanti, ci sono 3,7 milioni di bovini, 3,5 milioni di suini, 60 milioni di capi di pollame ; il terreno coltivato è di 3,4 milioni di ettari. Ora. per avere un'idea dell'inquinamento complessivo, bisogna tradurre il numero degli abitanti residenti nel numero degli abitanti equivalenti, tenendo conto di questi parametri: una industria dolciaria ha un potere inquinante che è pari a 205 abitanti per ogni lavoratore addetto, una industria metallurgica 40 abitanti per addetto, una casearia 37 abitanti, una cartiera 74, una fabbrica di bevande alcooliche 205 e via di seguito. Ancora: un suino corrisponde a tre abitanti, un bovino a 10.2, un ovino a 3,3, un pollo a 0,2. Alla fine, se si fanno tutte le somme, risulta che gli abitanti equivalenti sono 113 milioni, cioè è come se su ogni chilometro del fiume gravassero 166 mila abitanti. Con questa premessa non c'è da aspettarsi una situazione buona, tenuto conto che gli interventi di bonifica sono irrilevanti in quanto pochissimi depuratori sono già entrati in funzione per migliorare le acque di scarico, cloacali e industriali, che finiscono nel Po e nei suoi affluenti. Le acque di tutti questi corsi sono state oggetto di una lunga indagine scientifica svolta in cinque anni, dal '72 al '77 dall'Irsa, Istituto di Ricerca sulle Acque, del Cnr, che ha sede a Brugherio. L'indagine, coordinata dal prof. Roberto Marchetti, ordinario di ecologia all'università di Milano (per la sua attività pionieristica in materia di inquinamento delle acque riceverà il 7 settembre prossimo il premio «Cervia Ambiente '79»), ha ora consentito la pubblicazione di un volume di 800 pagine appunto sulla «qualità delle acque del fiume Po». I rilevamenti venivano effettuati una volta al mese in 21 stazioni del Po e alla foce di 23 affluenti, i principali. Vediamo quanche dato conclusivo. A Polesella, dove si considera chiuso il bacino (siamo a 74 chilometri dal mare e nel delta praticamente non ci sono più grosse immissioni di scarichi inquinanti), ogni anno passano 27 milioni di tonnellate di materiali disciolti e particellati che per una parte sono dovuti alla normale erosione del bacino, ma un'altra grossa parte è rappresentata dall'inquinamento. Ecco alcune cifre particolari, sempre riferite al pe- riodo di un anno: 68 mila tonnellate di nitrati, 64 mila di oli e idrocarburi, 17.580 di fosforo, 12 mila di ammoniaca. 3 mila di detergenti. 1554 di zinco. 485 di piombo, 243 di arsenico, 89 di nichel, 75 di fenoli, 65 di mercurio, 7 di pesticidi (insetticidi ed erbicidi). Spiega il prof. Marchetti: «E' un carico tremendo, che tuttavia subisce una grande diluizione data la massa enorme di acqua portata dal fiume. Ma, nonostante questa diluizione, se dovessimo seguire gli standard di riferimento fissati dalla Cee, le acque del Po e quelle dei suoi affluenti dove essi si immettono nel corso principale, non potrebbero essere idonee all'uso potabile, cioè non potrebbero servire per alimentare gli impianti di potabilizzazione funzionanti con i sistemi tradizionali. C'è però da osservare che i limiti della Cee sono molto restrittivi e quindi l'inquinamento si traduce in un sovraccosto per la comunità in quanto si deve ricorrere a sistemi più drastici di potabilizzazione». Una delle stazioni di prelievo dove si sono sempre riscontrate le condizioni peggiori dell'acqua ai fini della potabilizzazione era quella di San Mauro, immediatamente a valle di Torino, perché qui il fiume ha appena ricevuto le fogne torinesi e non ha ancora il potere diluente che gli viene poi più a valle con l'immissione delle acque dell'Orco, della Dora Baltea, del Sesia. Ai fini della balneazione, secondo i criteri fissati dall'Istituto Superiore di Sanità, nessun punto del Po e dei suoi affluenti alla loro foce, è idoneo a consentirla. In base poi ai parametri dell'Irsa, nella totalità delle stazioni si riscontrano condizioni non idonee al mantenimento della normale vita acquatica. I pesci sono costretti a vivere in un ambiente che non consente loro di svilupparsi come dovrebbero. Ci sono ancora le 37 specie che esistevano nel 1890 e le sette che sono state importate ai primi del Novecento, ma nessuna specie raggiunge un normale sviluppo di popolazione e si vanno riducendo anche gli areali, cioè le aree di cui le varie specie vivono. Ad esempio, tra Moncalieri e Chivasso si è determinata la scomparsa quasi totale del temolo, delio scazzone, della lampreda e sono di molto diminuiti il cobite e il ghiozzo. Gli storioni, che da cento anni non risalgono oltre Casale a causa della diga, ora si sono fortemente ridotti anche nei tratti più vallivi. La aiosa, che alla fine dell'Ottocento superava Pavia, ora non risale oltre la zona di Parma, respinta dall'inquinamento. Tutto finisce in Adriatico e anche là si vedono i risultati: da alcuni anni, per il fenomeno dell'eutrofizzazione, si assiste alla proliferazione delle alghe microscopiche che in certi periodi colorano il mare di rosso o di verde. Si moltiplicano soprattutto per la forte immissione del fosforo che deriva dagli scarichi cloacali, zootecnici e dalla agricoltura (ogni anno consumiamo in Italia 224 mila tonnellate di fosforo come concimi fosfatici; le 17.850 tonnellate che finiscono in Po potrebbero essere recuperate attraverso i depuratori e riutilizzate). «La situazione è grave, ma recuperabile — dice il prof. Marchetti — il Po è un malato da salvare. Ma poiché la contaminazione ha raggiunto tutti i comparti ambientali (al Pian del Re, subito dopo le sorgenti del Po, si trova la presema di pesticidi che provengono dallo scioglimento dei ghiacciai e questo significa che anche l'atmosfera è coinvolta) occorre un discorso ecologico globale, gli interventi marginali non servono. Ogni regione deve approntare dei piani di risanamento che tengano appunto conto della globalità. Ad esempio: costruire impianti di depurazione consorziati, in zone omogenee». Marchetti nota che finora si sono mosse abbastanza bene e con solerzia la Regione Piemonte e l'Emilia-Romagna, mentre invece è ferma la Lombardia. «fJn vero disastro: non ha fatto assolutamente nulla e ciò è grave anche perché era stata la prima a varare una legge, la nr. 48, poi servita come modello alla 319 nazionale. Poi la Lombardia si è arenata». Remo Lugli Lavandaie sul Po presso Mantova. Il fiume riceve una massa enorme di materiali inquinanti, ma c'è speranza di salvarlo

Persone citate: Marchetti, Roberto Marchetti