Andremo dal medico un po' per ridere? di Paolo Cavalli

Andremo dal medico un po' per ridere? L'ilarità come complemento della terapia Andremo dal medico un po' per ridere? Si può anche morire dal ridere. Vecchi testi di medicina riportano numerosi casi di decessi dovuti a irresistibili scoppi di ilarità. Fu l'emozione per se stessa, furono gli sforzi e le convulsioni prodotti dalla risata? Difficile dirlo. Comunque, sembra che la pena di morte potrebbe essere realizzata me-, diante il riso, anziché con la ghigliottina o la sedia elettrica: si dice che i Fratelli moravi, una setta di anabattisti che avevano in orrore lo spargimento di sangue, mettessero a morte i confratelli condannati solleticandoli fino a farli morire dalle risa. Tuttavia, attraverso una bella risata liberatrice di affanni e tristezze, è più probabile guarire che morire. Lo diceva perfino Kant, che mai avrei immaginato si occupasse di cose di questo genere, con il suo aspetto severo. Il grande filosofo affermava che ridere scuote i visceri, da cui il godimento che ne deriva, e gli scherzi allentano la tensione degli organi, per cui possiamo raggiungere il corpo attraverso lo spirito, e usare questo come medico di quello. Insomma, una teoria psicosomatica avanti lettera. In altre parole, ridere fa bene alla salute. E' quanto afferma oggi un altro filosofo che però è anche medico. Raymond A. Moody jr., nel suo libro «Il riso fa buon sangue» (Mondadori, 1979). Da buon anglosassone, più che del riso in sé egli parla del valore terapeutico dell'umorismo, di quel famoso humour che tanto ammiriamo nei popoli di lingua inglese, ma che non manca anche da noi. Che cos'è l'umorismo? Sostanzialmente è vedere se stessi e gli altri con un certo distacco, contemplare la vita da una prospettiva da cui si può sorridere e tuttavia restare positivamente in contatto con gli altri esseri umani e gli eventi. Insomma saper vedere il lato comico delle cose, senza per questo perdere l'amore o il rispetto per se stessi e l'umanità. Certamente l'umorismo è un grande aiuto per superare le traversie della vita, proporziona le cose e le ridimensiona. I geriatri hanno scoperto che gli anziani in buona salute hanno tutti il senso dell'umorismo. Nel Medio Evo si raccomandava di narrare facezie ai malati perché il corpo si risana con la gioia e si ammala con la tristezza. La risata è anzitutto un fenomeno fisico: produce spasmi del diaframma, contrazioni dei muscoli facciali, dilatazione delle narici, distensione della lingua e delle guance, vibrazioni della mandibola. Tutte le arterie si dilatano, il viso arrossisce, si può addirittura lacrimare. Ricerche di laboratorio hanno dimostrato che la risata si accompagna ad un indebolimento del tono muscolare. Quando siamo presi da un forte accesso di riso ci sembra a volte di diventare debolissimi in tutto il corpo, fino al punto di crollare a terra, e diventa difficile afferrare con forza un oggetto. Questo può spiegare il fatto che la risata allenti la tensione, scarichi l'energia in sovrappiù, liberi da un'eccessiva eccitazione nervosa (lo sosteneva un altro illustre filosofo, Herbert Spencer). E quanti nomi illustri troviamo: anche Freud se ne occupò in una sua opera sulle facezie in rapporto all'inconscio. Un giornalista americano ha scritto, su un'autorevole rivista medica, di essere guarito da una grave, potenzialmente mortale malattia, facendosi proiettare alcuni film divertenti che agivano da robusti analgesici: dieci minuti di diverti-, mento gli garantivano due ore di sonno tranquillo; non solo, ma rendevano migliori anche i risultati dell'esame clinico. E' strano, però, che i comici — è addirittura proverbiale — siano tristi. Un medico che visitava un paziente' molto depresso ebbe una improvvisa idea: «So che stasera il grande clown Joseph Grimaldi dà uno spettacolo. Perché non va a vederlo?". «Ma Grimaldi sono io». Che l'umorismo, a volte dotato di potere terapeutico, possa essere in altre situazioni patologico e potenzialmente pericoloso? D'altronde, vi sono casi in cui non è consigliabile la «terapia dell'umorismo»: quando si tratta di persone che temono la gioia, l'ilarità, il piacere, che provano per questi stati emotivi un senso di colpa, di vergogna, di indegnità. Sono coloro che. come Lord Chesterfield, ritengono che la risata clamorosa sia qualcosa di plebeo e che al massimo si possa sorridere. Ma, a parte questo, non v'è dubbio che l'umorismo sia terapeutico, in armonia con le antiche credenze popolari. Ai futuri medici si insegna a prendere nota di un'infinità di particolari dei propri pazienti, ma mai del senso dell'umorismo, della disposizione a sorridere o a ridere. Invece, la capacità di ridere e di apprezzare i lati comici è un fatto importante e indicativo dello stato di salute. Come diceva Mark Twain, una risata è denaro contante poiché riduce più d'ogni altra cosa la nota del dottore. Perché attribuire cosi scarso valore ai fattori emotivi positivi, come l'umorismo appunto, e darne invece tanto a quelli negativi, capaci di favorire malattie, come l'ansietà e la depressione? Non dimentichiamo che la capacità di ridere è una delle caratteristiche più tipiche e radicate dell'uomo. Anzi, che l'uomo è l'unico essere vivente che ride e ha il senso dell'umorismo, tanto da poter essere definito, per distinguerlo da ogni altro, l'animale che sa ridere. Insomma, ben venga la Società per l'umorismo nelle relazioni internazionali, che ha sede a Parigi e si dedica a promuovere l'ilarità come mezzo per disinnescare le tensioni internazionali e far nascere una maggiore comprensione fra le nazioni (ma ha mai ottenuto qualche risultato?). Non si vuol dire che i medici debbano trasformarsi in attori comici, né che la risata debba sostituire le tecniche terapeutiche tradizionali, però è un fatto che il riso fa buon sangue, e somministrare umorismo come si somministra una medicina servirebbe a migliorare direttamente la qualità della vita, forse più delle pillole, degli sciroppi e delle iniezioni. Paolo Cavalli

Persone citate: Freud, Grimaldi, Herbert Spencer, Joseph Grimaldi, Kant, Lord Chesterfield, Mark Twain, Raymond A. Moody

Luoghi citati: Parigi