Una bella signora di treni'anni fa di Nerino Rossi

Una bella signora di treni'anni fa AVVENTURE DELL'ADOLESCENZA Una bella signora di treni'anni fa Mio padre era bello. Moro di capelli, fine di viso, con una leggera cicatrice sulla fronte fattagli da una sassata quand'era bambino, piaceva alle signore del palazzo. Tutto merito dell'ulcera, diceva mia madre, che gli ha tolto quella faccia da contadino. Ora che ci ripenso, forse piaceva alle signore anche perché arrossiva. Probabilmente non sapevano che il suo era un rossore di natura sociale: voglio dire non da maschio, ma da servo. Arrossiva infatti davanti a tutti, donne c uomini, purché vivessero nel palazzo. La mia famiglia era allocata in poco più di un bugigattolo: in compenso sul portoncino. sùbito sopra il ritaglio dello sportello, le lettere della scritta Portineria erano del colore dell'oro. Di ottone come la maniglia, tutti i sabati mia madre le sfregava con il sidol. Qualche volta per vendetta si limitava a lucidarle dopo averle un po' appannate con il fiato. Ma anche mio padre aveva trovato il modo di vendicarsi del suo stato' addetto, in un garage vicino, al lavaggio delle automobili. le rendeva lucide con una mano di nafta: i loro padroni non sanno, commentava con me. che la nafta le fa luccicare ma attira la polvere. Eravamo degli immigrati. Non so come (forse approfittando anche del fatto che il fascismo era distratto dalla guerra d'Abissinia). ma in qualche modo eravamo riusciti ad eludere la Legge del Trentuno contro l'abbandono della terra. L'ambizione d'andare in città s'era però dovuta pagare a caro prezzo. Tutti, in famiglia, non facevano che pulire le cose dei signori: mio padre le automobili, mia madre (come lavandaia a ore) gli abiti. U nonno il giardino, nel retro del palazzo. 11 nonno morì quasi subito, forse perché non gli andava di potare delle rose che non sarebbero mai diventate sue. Il giorno dei funerali mia madre ne mise un paio sulla bara, ma non fu sicura che. almeno in quel momento, appartenessero al defunto. Per me non è vero — confidò a mio padre — che di fronte alla morte non ci sono più padroni e servitori. Qualcosa dovrà pur esserci — rispose lui facendo un viso da giuramento — dove siamo tutti uguali. Qualche anno dopo la famiglia del primo piano fece un'opera buona: mi prese ospite durante la villeggiatura. Avevamo un capanno sormontato da merli quasi fosse un maniero. La signora Milena vi entrava e ne usciva sempre di corsa, forse per attirare l'attenzione. Qualche volta si sporgeva dall'uscio con una camiciola sul costume, quasi a far vedere che era a metà della svestizione. Faceva lunghe gite sul pattino da sola c al ritorno a riva si toglieva, ancora seduta, il turbante, scrollando più volte i capelli appena liberati con un movimento da adolescente, alla Deanna Durbin. A me. diciassettenne, la Durbin piaceva. Al cinema aveva interpretato una liceale e liceale io ero. La famiglia si era inurbata perché io potessi continuare gli studi. Sapevo dunque già di greco, anche se non avevo ancora imparato a non inciampare nella sabbia. 1 miei impacci tuttavia m'attiravano la simpatia della signora Milena che. sulla spiaggia, spesso mi chiamava accanto a sé. Ma poiché il flusso della mia giovinezza sovente già traboccava e ad ogni stilla che tracimava corrispondeva un sogno, tutto rapidamente si complicò. Innanzitutto le voluttà che covavo mi ammutolirono. Avrei voluto dire a quella donna, dei cui turgori ero certo, che mi sarebbe piaciuto ravviarle i capelli, baciarle gli occhi, sfiorarle il collo così privo di muscoli: nulla di più. se lei credeva. Invece riuscii soltanto a dirle, male, che mi piaceva la giapponesina del suo ventaglio. Fui più audace il giorno che mi portò con sé sul pattino. Il non essere mescolato agli altri della famiglia — il marito e i figli — mi aveva fatto dimenticare la mia condizione sociale. Per di più lei era tutta curiosa nonostante cercasse di far apparire materna la sua curiosità. Partendo dalla caviglia, inoltrai dunque il mio sguardo verso le aree della mia sofferenza. «Arrossisci come tuo padre» mi disse lei quando fui giunto a una prima destinazione. «Dovrei invece essere pallido, per il poco dormire» risposi, tentando un'allusione. «Io dormo tanto, mi piace il letto» disse la donna, sgranchendosi più di quanto i remi lo esigessero. Guardai un punto del mondo lontanissimo da lei e dissi: «Lo vedo dalla pelle, il sonno fa bene alla pelle». La donna decise di civettare. «Sai che t'ho sognato?» mi fece all'improvviso, allegramente. «Anch'io!», mi strappai di dentro la frase con Io stesso sforzo con cui un contadino sbarbica un albero. «Così, di notte vai con le signore», premiò sveltamente la mia fatica la donna, evidentemente desiderosa di misurare il filo dell'amore che avevo in corpo. In un baleno imparai — o credetti d'imparare — l'arte della seduzione. Dissi: «Almeno di notte non hanno il turbante». «Se per questo se lo possono togliere anche di giorno» fece la signora Milena, cessando di vogare e riponendo i remi sulle fiancate del pattino, come a dire "Continua". Lei si alzò. Io mi alzai. Lei si voltò. Io le vidi sul collo, in alto là dove finiva il turbante, quella lanuggine da giumenta che ogni donna ha. Una piccola onda mi fece perdere l'equilibrio. Fui costretto ad appoggiarmi, quasi ad aggrapparmi alla sua schiena. Lei allora si scostò con elettrica stizza girò il capo facendomi vedere un viso rabbuiato. «Chissà che cosa ti credevi che nascondesse un turbante». Poi riaggiustandosi i remi, aggiunse un po' rancorosa e un po' divertita: «Non sognare più le signore, bambino mio». Voltò il pattino verso la riva. «Avevo scordato che i contadini non sanno nuotare» mi canzonò. «Il bagno lo farai dove si tocca». In un attimo mi si spense il fuoco con cui avrei incendiato la Terra. Ma fui abbastanza uomo da non dirle che non avevo colpa. Tacqui di quella piccola onda traditrice per prendermi una prima vendetta. In attesa di consumarne una maggiore. Due settimane dopo, nel¬ l'ora della canicola, mi affacciai non so perché al porton-1 cino della portineria. Vidi mio padre scendere ciondolando le scale, smorto in viso come lo si può essere solo dopo un grande rossore. Ci guardammo e lui non riuscì a frenare un sorriso da uomo a uomo. Poi alzò all'altezza del viso, per schermarlo, una rosa che non gli avevo ancora visto. «Babbo, una rosa d'agosto?». «Nelle case dei signori c'è questo ed altro». «Chi te l'ha regalata?». Lui rifece il sorriso di prima, senza rispondere. Entrando in casa disse a mia madre, parlandole da lontano: «Oggi la signora Milena non ha bisogno di te per il bucato». Nerino Rossi

Persone citate: Durbin