L'affidamento istituito 4 anni fa nel '78 concesso a 147 persone di Fabrizio Carbone

L'affidamento istituito 4 anni fa nel '78 concesso a 147 persone Si propone di «reintegrare» chi ha avuto pene lievi L'affidamento istituito 4 anni fa nel '78 concesso a 147 persone «Un servizio osteggiato che permette a molti di riprendere contatto con la vita» dice un'assistente sociale - Tanassi dovrà presentarsi ogni otto giorni per due anni ROMA — Entro sabato pomeriggio Mario Tanassi. che usufruisce dell'affidamento in prova al servizio sociale in base alla legge e alle norme del nuovo sistema penitenziario italiano (1975), dovrà salire al terzo piano di un palazzetto di via della Lungara 28/b: praticamente una dépendance del carcere di Regina Coeli. Qui si troverà di fronte la dottoressa Ambretta Rampelli. 46 anni, direttore aggiunto presso il centro di servizio sociale di Roma. Sarà questo il primo colloquio (interlocutorio) di una lunga serie di contatti che Tanassi è obbligato ad avere ogni otto giorni per i prossimi due anni. E ad ogni colloquio corrisponderà un rapporto del servizio sociale: una relazione all'ufficio di sorveglianza sull'andamento della vita sociale e civile di Mario Tanassi. La legge prevede che se la prova non riesce si ricomincia da capo. Cioè i cittadini non più de- tenuti ma «affidati in prova.. non devono sgarrare dalle : norme di legge; devono dimostrare di aver voglia di lavorare e di vivere in comunità ubI bidendo e accettando le regoj le della comunità. Dice Ambretta Rampelli: «Noi tratteI remo Tanassi come tutti coloI ro che hanno contatti con noi; | cercheremo di capire i suoi problemi psicologici. Mi si dice che si trovi in uno stato di depressione: bene, cominceremo da qui. Ma io desidero non parlare del caso specìfico. A tutt'oggi ancora non so ad ! esempio se Ovidio Lefebvre i otterrà oggi la semilibertà (ha scontato metà della pena in| flitta. ndr) oppure anche lui I verrà affidato al servizio sociale, cioè vivrà a casa, senza : dover tornare a dormire in carcere». I Ambretta Rampelli non j ammette deroghe all'intervista: parliamo del servizio soIciale e basta. «In un certo senI so dovrei ringraziare la circoIstanza in cui l'attualità mette \in prima pagina un servizio \praticamente sconosciuto, na ito dalla riforma penitenzia ,ria, osteggiato e combattuto [ma che esiste e permette a ; ; molti di riprendere contatto con la l'ita sociale, di riabilitarsi e di reinserirsi nella società». Rampelli lavora nel settore da 24 anni. «Fino a poco fa qui a Roìna. in tredici come siamo oggi, vivevamo in una stanza di tre metri per tre. E dovevamo muoverci nel territorio, parlare con le famiglie, chiedere colloqui coi detenuti definitivi (cioè condannati all'ultimo grado di giudizio.ndr), tentare di aiutarli». Cerchiamo allora di capire come questo servizio funzioni partendo dai dati. Nel '78 147 persone hanno ottenuto l'affidamento e 445 la semilibertà. 96 quella vigilata. Nel '77 gli affidamenti erano stati 81. le semilibertà 112. quelle vigilate 41. «In media si tratta dì persone dai 25 anni in su con una grossa fetta di quella generazione tra i 35 e i 40 anni: tutti o quasi sottoproletari o proletari, ovvio, ma ci sono anche personaggi di diversa estrazione sociale condannati pergrosse truffe». Il problema di fondo è questo: in Italia la maggioranza dei detenuti sono in attesa di giudizio. I «definitivi» possono usufruire dell'«affidamento», della semilibertà e di quella vigilata se rientrano nei casi previsti dalla legge. Gli affidati non devono essere stati condannati a pene superiori a due anni e mezzo e devono almeno essere stati in prigione per tre mesi. Per la semilibertà bisogna aver scontato metà della pena anche se si è stati condannati a trent'anni e più. Ma queste misure di aiuto alla rieducazione e riabilitazione del detenuto non scattano nel caso che i reati per cui c'è stata la condanna siano la rapina, la rapina aggravata e il sequestro di persona. Riparte Ambretta Rampelli: «E' bene che si sappia che non tutti i detenuti sono al corrente dei loro diritti. Mi è capitato alcune volte di scoprire, dopo un colloquio con la moglie o un familiare, che la persona in carcere poteva uscire perché o aveva già fatto metà degli anni oppure perché rientrava nell'affidamento». Dottoressa Rampelli. per uscire da un istituto di pena e godere dell'affidamento bisogna essere personaggi come Tanassi oppure cittadini qualsiasi, disoccupati e definiti delinquenti abituali? «No. Veramente possono usufruirne tutti. A volte è successo che il direttore di un carcere è personalmente intervenuto perette un detenuto poteva uscire e non lo sapeva. C'è un clima di collaborazione tra il servizio sociale e le autorità giudi¬ ziarie che un tempo era impensabile. Per noi il vero punto cruciale è la vita sociale del detenuto che esce: i rapporti con la famiglia, la casa, il lavoro. E qui potete immaginare le difficoltà, le incomprensioni, la diffidenza. Noi non possiamo trovare lavoro agli affidati, come qualcuno crede, ma possiamo convincere il datore di lavoro a riprendere con sé l'operaio, il muratore, il pittore edile che è stato licenziato. E poi c'è il dramma delle patenti di guida che. quasi per tutti, vengono ritirate in base all'art. 1 del T.U. di Pubblica Sicurezza. Se si dà ad un detenuto la possibilità di uscire, lasciarlo senza patente vuol dire impedirgli di lavorare». Torniamo ai rapporti che il servizio sociale invia ogni tre mesi, nel controllare la vita dell'affidato: «Si tratta di fornire elementi di giudizio che tengano conto della personalità dell'ex detenuto, dei suoi complessi, delle sue aggressività. Non è che il servizio sociale proponga la revoca del provvedimento o dica che la prova non è riuscita». Dottoressa Rampelli, secondo lei persone come Tanassi o Lefebvre... Ambretta Rampelli mi interrompe con.un gesto: «Le ho detto che avremmo parlato in generale del centro. Lasciamo stare i particolari». Fabrizio Carbone

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