A tre passi dalla rete di Giovanni Arpino

A tre passi dalla rete A tre passi dalla rete Un muro di facce, un rettangolo di urla, quattro «quinte* che racchiudevano un teatro di enorme forza realistica. Questo fu il «Filadelfia» nei suoi grandi anni. Li dentro portavi la tua voglia di football con convinzione assoluta, con la certezza di assistere a un rito nudo e crudo, mai distanziato da scalini, piste, gradinate sovrapposte. Cosi non c'era alcun bisogno della paccottiglia fragorosa d'oggi, di tamburi e trombe spernacchianti lon tono. • Sebi-, era l'urlo che un parente lanciava, raucamente, quando entrava in campo Eusebio Castigliano. E potevi contare le rughe di Gabetto. la barba lungo le gote mal rase di Mazzola. Potevi vedere un avversario, ad esempio il mediano laziale Fuin, che dopo un pestone veniva ad appoggiare la testa di riccioli biondi alla rete e piangeva. E altri urli: «Mobilia", ad incitare Ferrano che tentava una sortita, dinoccolando e quasi spinto nella schiena dal coro pubblico. C'erano portieri di ogni squadra che tremavano entrando sull'erba, il muro di facce alle loro spalle distava un paio di metri, il ghigno corale era un mostrodicinquemila teste. Questo fu il «Filadelfia», negli anni buoni. Un luogo patrio, un crogiolo die nessuna arena spagnola, nemmeno quella di campagna, a Linares, dove mori Manolete, uguaglia nella memoria. Un luogo die qualcuno avrebbe anche potuto decidersi a riscattare in perpetuo, facendone un monumento non nazionale, ma almeno personale. Non è accaduto. La storia passa, macina non solo acqua sotto i ponti ma anche le pietre cittadine. Rimpiangere è vano. Meglio il ricordo, purché sia denso, vivo, bruto. Il ricordo di Loik , che sta ingobbendo perché da mezz'ora la squadra non gira e lui deve coprire troppi spazi con quelle coscione cosi grosse. II ricordo di Grezar che stampa un bolide all'incrocio dei pali, la palla vola via e lui bestemmia come un turco, lì a tre passi dalla rete di cinta. Perché il «Filadelfia» fu proprio quella rete, dove ti tenevi anche con i denti pur di veder football ravvicinatissimo. I poveri diavoli che dal Brasile a San Siro stanno sui superiori anelli, come saranno mai in grado di interpretar calcio? Il gusto della «pelota» giocata lì davanti, che quasi la tocchi, quello fa educazione al gesto goleadorico.il restoè sapienza da ruminante televisivo. Il «Filadelfia» fu anche una famiglia. Sfottente, esacerbata, pretenziosa, con un individuo sempre li vicino e die sa tutto e guarda l'orologio e assicura, con un sorriso superiore: «Adesso si sveglia Valentino, e per gli altri son ceri». Aveva ragione. Mazzola si svegliava («si tirava su le maniche», dettava il gergo, andie se le maniche erano corte) e il Toro chiudeva la partita, incornando da un'area all'attrae chicchessia. Ho visto al «Filadelfia» Bearzot correre in una puntata di contropiede, e aveva al fianco un terzino della sua stessa squadra granatiera. Costui gli anfanava al fianco: -Va. va. ma non darmi la palla», e giù bestemmie. Bearzot si ferma: «Ma allora cosa mi corri vicino, torna indietro, bestia». C'era questa bellezza, cosi aspra, così tangibile, come una scultura dalla superficie ruvida, che al tocco ti cattura e riempie la mano. C'era questa virtù di riscatto, perché il grande «Filadelfia» era un simbolo, in quegli anni postbellici, e nessuno ancora si sognava che dalla nostra miseria, dai nostri abiti rivoltati, dalle nostre pance vuote, potesse nascere un «boom», parola assolutamente straniera. Addìo, o rettangolo. Talvolta è doveroso salutare non un amico che parte, non un amore che finisce, ma soltanto un pezzo di terra, perdipiù cittadino, non privilegiato. Talvolta si può restare in commozione non davanti a una vigna bruciata dalla grandine, ma a un lembo di prato, che non è nemmeno tuo. O forse si, era più tuo dit ogni mattone possibile, perché l'avevi pagato con urla e ansie, e con le scarse lire die la saccoccia degli Anni 40consentiva. Non avremo mai più certe sensazioni: quel un'ala sembrava averlo fatto per te, «dribbling _ che fino a quel momento l'avevi fischiata, vista la sua neghittosità, a due metri. E quel portiere che parava, buttava via la palla, poi si voltava verso il muro di facce, come a dire: visto? Ciao. «Filadelfia». Anzi: «s-ciau». come era nel salutodi borgata. Siamo condannati agli addii. Giovanni Arpino

Persone citate: Bearzot, Eusebio Castigliano, Fuin, Gabetto, Grezar, Linares, Loik, Mazzola

Luoghi citati: Brasile, Filadelfia