Torino, addio vecchio Filadelfia

Torino, addio vecchio Filadelfia Torino, addio vecchio Filadelfia Rimarranno soltanto le formazioni giovanili - I granata, seguendo l'esempio di altri club, si spostano in un modèrno complesso sportivo della Sisport Fiat - Mugugni dei tifosi: «Siamo nelle mani dei bianconeri» - La storia romantica dello stadio TORINO — Il giorno è storico per la vita del Torino. Da stamane, per sempre, la squadra va ad allenarsi nel complesso della Sisport di Orbassano. E' proprio il caso di dire, senza voler fare della retorica, addio vecchio Filadelfia. Oltre cinquantanni di epopea sportiva. I tifosi, soprattutto quelli d'antica data, mugugnano e vivono momenti d'intensa commozione. Si chiude un mondo di grandezze, sogni, ricordi, si cambia all'improvviso per rispondere alle crescenti esigenze del football professionistico. Il Torino dunque emigra, va a qualche chilometro dalla città per trovare tutto ciò che il glorioso impianto più non gli poteva garantire: servizi di spogliatoio, funzionalità del terreno di gioco, tranquillità. SI perché qualcuno ancora ricorda contestazioni accese (che già avevano obbligato a temporanei trasferimenti) dettate dal cuore, dalla passionalità dei sostenitori: quella rabbia che finiva per turbare l'ambiente. Le ragioni non si fermano qui. Il Filadelfia in fondo non morirà perché d'ora in poi sarà al completo servizio del settore giovanile che non dovrà più svolgere i salti mortali per svolgere l'intensa attività. E poi chi si fida a mettere in sesto uno stadio ormai cadente? Spese ingenti che in un domani potrebbero andare in fumo se si considera che il piano regolatore prevede l'esproprio per una zona verde, per salvarsi dal cemento che soffoca. Il Comune potrebbe avvalersi dei propri diritti (è una questione legata al reperimento di fondi) anche se il Filadelfia non gli appartiene. Dipende infatti dalla Società civile campo Torino costituita nel '26 dall'allora presidente del club, il conte Enrico Marone Cinzano. Attuale presidente della Società civile è Orfeo Pianelli, il Torino Spa se la cava come affitto con una quota simbolica. Una gestione in famiglia, insomma. Ma adesso il Torino per la preparazione ha chiesto una mano al presidente della Juventus Boniperti. amministratore delegato della Sisport. I tifosi granata più fedeli non vedono di buon occhio il singolare accordo e borbottano: «Siamo finiti nelle fauci dei nostri cari nemici bianconeri». E' certo comunque che ad Orbassano Radice à i suoi uomini troveranno ciò che di meglio si può pretendere. Il complesso è grandioso, costruito tre anni fa: due campi di calcio con moderni spogliatoi e docce, ten- nis. bocce, piscina, palestre, un gruppo fotografico, sale per mostre e riunioni, bar. Il terreno destinato ai granata vanta il sistema «ever green», con impianto idrico sotterraneo. Una gradinata di mille posti potrà ospitare i tifosi. Il Torino quindi segue le orme dì altre società italiane che da tempo hanno risolto ogni problema spostandosi in zone decentrate. Milan ed Inter, rispettivamente con le sedi di Milanello e Appiano Gentile, rappresentano un classico esempio. Purtroppo una metropoli si rivela ormai carente sotto questo aspetto. Una decisione necessaria per ■ ogni società di alto livello, a costo di sfidare i pericoli dell'inverno. Senza dubbio la presenza dei titolari al Filadelfia ha alimentato fino al maggio scorso una cornice particolare, irripetibile. Il «tempio» granata fu realizzato nel '26 dall'impresario commendator Filippa. Costo dell'opera, poco meno di 2 milioni e mezzo. Fu inaugurato il 17 ottobre di quell'anno con la partita di campionato contro la Fortitudo di Roma. Quel giorno sugli spalti di quello stadio all'inglese c'erano quindicimila spettatori, un record. Iniziò la storia, la leggenda. Per la folla era diventata cosa normale gustare le imprese di Baloncieri. Libonatti e Gino Rossetti, un trio irresistibile. Si lasciava la bicicletta e si correva a schiacciare il naso contro la rete, vicinissima. Il pubblico era davvero il dodicesimo giocatore. Dolce e generoso per i ragazzi dì casa, cattivo e violento verso l'ospite che in qualche modo osava non accettare la regola. Il genoano Levratto che un giorno ebbe il coraggio di saltare, inviperito, in mezzo alla gente, venne a lungo ricordato come un folle domatore che entrava in una gabbia di leoni inferociti. E ancora lo splendore del Grande Torino. Capitan Valentino Mazzola che lancia un'occhiata significativa ai compagni. L'avversario adesso ha finito di scherzare. Si deve vincere, si vince. Dal 31 gennaio '43 al 6 novembre '49 (il 4 maggio di quell'anno i campioni erano scomparsi nella tragedia di Superga) il Filadelfia conservò la sua imbattibilità. Dagli spalti la cornetta del capotreno Bolmida accompagnava la corsa leggera dello squadrone, quel «quarto d'ora» scatenato di gioco. I risultati sono clamorosi, come quel 10 a 0 rifilato il 2 maggio del '48 all'Alessandria. Il coro sembra mai finire, l'urlo avvolge un calcio travolgente. Il tempo passa. Un giorno il Torino decide d'andare a giocare al Comunale. Il Filadelfia rimane l'operoso cantiere del pallone, mitico angolo per consumare quotidianamente gioie semplici, dolori, speranze. Ferruccio C'avallerò Gabetto si allena al Filadelfia: un'immagine degli anni d'oro

Persone citate: Baloncieri, Bolmida, Enrico Marone, Gabetto, Gino Rossetti, Levratto, Libonatti, Orfeo Pianelli, Valentino Mazzola