In vetrina la storia del Fréjus di Angelo Dragone

In vetrina la storia del Fréjus Nella Biblioteca Reale ora accessibile al grande pubblico In vetrina la storia del Fréjus Una ricca mostra documenta il lavoro della galleria iniziata nel 1857 e illustra le vicende, attraverso i secoli, della regione Piemonte-Savoia - Fu un montanaro di Bardonecchia, Medail, a individuare il tracciato più conveniente per la ferrovia Con i suoi 160 mila volumi di grande pregio e non meno preziose raccolte grafiche (si pensi soltanto ai disegni di Leonardo e al suo Codice sul volo degli uccelli) la Biblioteca Reale fin qui appariva un forziere pressoché inaccessibile. Oggi non più. Pur con le cautele del caso, appena gli organici del personale glielo hanno permesso, il dottor Leonardo Selvaggi, che da qualche mese ha assunto la direzione della Reale, ha voluto «liberalizzare» quella ch'era stata la biblioteca privata d'una casa regnante, per farne una biblioteca-museo: subito più frequentata, e in grado di attirare il pubblico anche con mostre destinate a far conoscere meglio, e a tutti, l'ingente suo patrimonio. In questi giorni la Reale ospita l'esposizione sul Traforo del Fréjus: antiche carte geografiche e libri rari, progetti di macchine e impianti di cantiere, cimeli d'ogni genere. Un'iniziativa che giunge a pochi mesi dalla caduta del diaframma della galleria autostradale e quasi nella ricorrenza centenaria (il prossimo 26 ottobre) del monumento di piazza Statuto, che celebra il compimento del primo traforo alpino. Nel '57, ad un secolo dall'inizio dei lavori, Torino aveva già ricordato l'epica impresa con un'esposizione nell'atrio di Porta Nuova. Ma siamo ormai ad una generazione di distanza ed è giusto che altri giovani abbiano l'occasione di riandare a quella pagina di storia: una galleria di circa 12.820 metri realizzata in 13 anni di lavoro quando in Italia e all'estero alcuni ritenevano che ne sarebbero occorsi trenta. Un traforo doveva nascere da evidenti ragioni sociali ed economiche, mentre costituiva il risultato d'un notevole progresso tecnologico. Nel 1854 era entrata in esercizio la ferrovia Torino-Susa, con quattro coppie giornaliere di treni. In coincidenza si trovava un servizio di diligenza che in poco più di sei ore consentiva di raggiungere S. Michel de Maurienne. D'inverno non v'era che la slitta. In un anno i passeggeri che valicavano il Moncenisio erano circa 48 mila e 30 mila le tonnellate di merci. Un secolo più tardi, per la galleria del Fréjus transitavano 950 mila viaggiatori e merci per 1.250 mila tonnellate. In vent'anni, tuttavia, si sono registrati notevoli incrementi: nel '78 i viaggiatori sono stati 1.511.014 e 7.309.509 le tonnellate di merci: dati che da soli basterebbero a giustificare il nuovo traforo stradale. La mostra della «Reale» muove dalla storia del Piemonte-Savoia che illustra con preziose carte del Cinque-Seicento; ne parlano anche testi antichi, diffondendosi sulle circostanze di alcuni «transiti» famosi, da Enrico IV a Madama Reale. Studi sull'ambiente, fauna e flora, mettono in evidenza i caratteri che accomunano i territori di qua e di la dell'Alpe. Susa e la Novalesa vi compaiono come centri rilevanti anche per il commercio cui era ormai impari il quadro delle comunicazioni, non potendo bastare la strada napoleonica costruita fra il 1803 e il '10, né le rettifiche documentate da un'incisione del 1827. Fu un valligiano di Bardonecchia, Giuseppe Medail, ad intuire la possibilità tecnica di far passare la ferrovia at¬ tdj traverso le Alpi, individuandone il tracciato più conveniente sotto la cima del Fréjus: lo stesso indicato poi da tecnici illustri come il belga Maus, e adottato nel progetto esecutivo. .Sarà — scriveva nel 1832 il Medail a Carlo Alberto prospettandogli la sua idea — il più grande e utile monumento che sovrano abbia mai eretto a favore dei suoipopolU. Di qui in avanti la mostra illustra soprattutto lo sviluppo di quest'idea che «contagiò» subito Cavour e uomini di primo piano della politica e della scienza subalpina: Des Ambrois, Giulio, Menabrea, Ruva, Sella e, naturalmente, il Paleocapa, ministro dei Lavori Pubblici considerato il fondatore delle ferrovie italiane che avevano intanto trovato il loro «papà», come si diceva nel familiare lessico del tempo, nel direttore generale Bartolomeo Bona. Si giunse cosi alla preparazione dell'impresa: la legge che diede il via ai lavori del traforo è del 15 agosto 1857. Alla messa a punto degli strumenti tecnici provvedeva intanto un gruppo di progettisti: gli ingegneri Grandis, Grattoni e specialmente il Sommeiller che, con geniali innovazioni applicate ai più avanzati procedimenti sperimentati anche all'estero, trovò soluzioni originali nell'impiego della perforatrice ad aria compressa che in maniera determinante contribuì al successo dell'impresa. Nel monumento-ricordo di piazza Statuto, si volle rappresentare la vittoria del Genio dell'uomo sulla forza bruta dei Titani, ma doveva essere soprattutto le testimonianza di ciò che potè il lavoro inteso come virtù umana. Ed è significativo il fatto che l'idea del monumento, sorta nell'ambito dell'Accademia Albertina (ad opera del presidente Panissera di Veglio e di artisti come il Belli, che ne esegui il bozzetto, ed altri, dal Tabacchi all'Ardy) venne poi fatta propria dalle Società operaie piemontesi che ne patrocinarono e In gran parte ne finanziarono la realizzazione. Angelo Dragone ,