Woodstock, l'ultimo sogno hippy di Ennio Caretto

Woodstock, l'ultimo sogno hippy A 10 ANNI DALL'INCREDIBILE FESTIVAL DI CANTI E DI DROGA Woodstock, l'ultimo sogno hippy Da qui, 500 mila giovani americani, con milioni di seguaci, s'illusero di costruire una nuova nazione - Di quella società ideale sopravvivono alcune «comuni» come il «Porcile» di Berkeley, che produce vino e si batte per la legalizzazione della marijuana - Ma «i più si sono persi per strada», integrati nel sistema - Parlano Joan Baez e altri protagonisti di allora DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE WOODSTOCK — A Amherst, nel Massachusetts, non lontano da queste colline dove dieci anni fa mezzo milione di giovani sognarono di costruire una nuova nazione, sorge la comune Arcobaleno. E' una delle ultime roccaforti delle rivolte studentesche del '64 e '68, degli hippies e dei figli dei fiori, del pacifismo, fenomeni riassunti tutti in quell'incredibile festival di Woodstock. Vive e lavora secondo il codice della controcultura: sfruttando l'energia del sole e dividendo le donne, educando collettivamente i bambini e rifiutando i fertilizzanti chimici, evadendo il fisco e prendendo parte a dimostrazioni ecologiche. Isuoi membri, quasi tutti figli della borghesia agiata del Nord Est, sono convìnti di essersi costituiti in una società ideale. La Guida alle cooperative come alternativa, un manuale semiclandestino sulla vita di gruppo, elenca oltre 500 di queste comuni. La più celebre è il Porcile di Berkeley, in California, la patria della contestazione giovanile. A Woodstock, nel '69, i suoi membri furono tra i protagonisti. Facevano un giro di sei anni per l'America su di un vecchio pullman, con le droghe e coi bambini, le chitarre e gli amplificatori. Si fermarono per una settimana, e s'incaricarono dell'ordine e della sicurezza. Oggi hanno una segreteria telefonica che assicura loro 7 milioni di lire al mese e coltivano uva e producono vino in un appezzamento di terra nel deserto. Dedicano il tempo libero alla legalizzazione della marijuana e ai diritti civili degli indiani. La maggioranza di questi ex ragazzi di Woodstock conta tra 30 e 40 anni, forse di più. Ha abbandonato l'Lsd o acido, lo stupefacente dei sogni psichedelici, e smesso il suo vagabondare, ma non i suoi miti e il suo abbiglia- mento. Mangia ancora cibo organico, cerca il karma, l'ebrezza collettiva, predica la pace al vecchio slogan di Fare l'amore non la guerra. Canta e suona come un tempo, i suoi profeti sono sempre Joan Baez e Che Guevara. Se può, svolge opera di proselitismo. Molti, come Calicò e Ev'ann, entrambi quarantaduenni, intervistati dalla Guida, hanno ormai i capelli grigi, e sono insieme da 12-13 anni, come la più tradizionale delle coppie. Sembrano malati di nostalgia, anche se si dicono contenti, realizzati nella propria diversi tà. Dieci anni dopo Woodstock, tuttavia, le comuni assomigliano a isole nel mare tempestoso dell'America alla vigilia dell'80. All'odierna me generation, la generazione dell'io, cioè dell'egoismo, i loro membri paiono anacronismi storici. «Tra i quindicenni e ventenni e gli antichi leaders — afferma l'autore de Il neo narcisismo, Christopher Lasch — non esistono né fiducia né affinità di linguaggio». Anche i cinquecentomila della Nazione felice e gli altri milioni di proseliti che non avevano potuto assistere al festival, si sono staccati, nella maturità, dalla pattuglia dei fedeli. «Il sistema li ha cooptati in gran numero — sostiene David Riesman, il grande sociologo di Harvard — e ha abbandonato al suo destino lo sparuto drappello dei superstiti ». Woodstock stessa è deserta. La città è divenuta una colonia di una delle sette ebraiche più conservatrici, e un. tentativo di organizzare un concerto commemorativo questo mese è stato respinto all'unanimità dal Consiglio comunale. I curiosi che visitano tuttora i prati di Max Yasgur, dove per tre giorni Jimi Hendrix e Janis Joplin elettrizzarono l'enorme folla, sono ricchi, di mezza età, e .garruli come quelli che convergono su Hollywood. «Oggi siamo in minoranza — ammette la fondatrice della comune Arcobaleno, Anna Gyorgy — i più si sono persi per strada. C'incontriamo ogni anno, quest'estate siamo stati in Arizona. Ma siamo sempre in meno. Qualche volta, non ci riconosciamo più. Soprattutto, è cambiata la gioventù: è diventata arida, indifferente». Anna tiene in cucina la Bibbia della sua adolescenza, The greening of America di quel Charles Reich che prevedeva l'avvento di una «terza coscienza», un terzo stadio di consapevolezza, una rivoluzione senza armi. «Essa sorgerà dall'individuo e dalla cultura — scriveva Reich — e cambierà le strutture-.politiche. Non avrà bisogno della violenza per trionfar?, e non potrà essere fermata con la violenza». «E' stata un'illusione » conclude Anna. Dei protagonisti di Woodstock, i nuovi teenagers conoscono di fatto solo Ario Guthrie, l'autore di Alice's restaurant, una parabola sull'obiezione di coscienza. Joan Baez, che ha abbracciato la causa dei rifugiati vietnamiti, è superata, si rivolge, nelle parole di Lasch e Riesman, ai loro genitori. Jimi Hendrix e Janis Joplin, morti per droga alcuni anni fa, vittime del mito degli allucinogeni, rappresentano un ricordo indistinto. Gli eroi di quella maratona musicale ne tracciano un quadro nostalgico ma contraddittorio. David Crosby, che con Stili, Nash e Young formò un celebre gruppo, lo descrive come «la più grande e spontanea manifestazione di fratellanza mai fornita da una generazione: mise in mostra i nostri aspetti migliori. Ma pochi mesi dopo, a un concerto analogo, quello dei "Rolling Stones" a Los Angeles, gli "Hell's Angels", gli angeli dell'inferno, una banda responsabile del servizio d'ordine, uccisero uno spettatore e ne ferirono parecchi altri». Il bassista degli "Who", John Entwistle, ne parla come di «una guerra: racconti sempre che l'hai combattuta, ma confessi che non ti sei divertito. La droga era tanta — riferisce — che anche l'acqua ne sembrava impregnata». Per Joan Baez, che allora era incinta e aveva il marito in carcere perché obiettore di coscienza, Woodstock «non fu un avvenimento politico: fu bello: la polizia cucinava hamburger per i ragazzi invece di arrestarli, e hippies nudi salivano sul palco per coprirci di fiori. Ma fu soloun'ondata di euforia, un happening, che non lasciò molti segni, se non in chi era presente». L'unico che attribuisce a Woodstock il significato socioculturale di cui venne successivamente rivestito è Ario Guthrie. A 32 anni, sposato e con quattro figli, insediato come un borghese a Stockbridge nel Massachusetts, definisce il festival «una svolta decisiva: in esso culminò la protesta giovanile, esso segnò il crollo di un sistema, quello del Vietnam e del Watergate». A Woodstock, quell'agosto del '69, il dottor William Abruzzi, un italo americano quarantenne, diresse l'equipe medica che prestò soccorso all'enorme pubblico: «Contai due parti, entrambi prematuri ma felici, due decessi per abuso di stupefacenti, e 2500 interventi: molti ragazzi erano a digiuno, altri intossicati, svenivano continuamente. Fu un'esperienza umana straordinaria». John Roberts, che finanziò il progetto di Michael Lang, svela un aspetto poco conosciuto del festival, quello commerciale: «Avevamo ideali e soldi da bruciare: perdetti 1 milione e mezzo di dollari con quel concerto». Si arricchì invece la Warner Brothers, tra dischi e film: 35 milioni di dollari, 30 miliardi di lire di profitti. «Fa pensare», protestano Roberts e Lang. Christopher Lasch, il cui libro ha oggi un impatto non inferiore a quello di Charles Reich un decennio fa, pur essendo diametralmente opposto, e David Riesman, che è il più rispettato osservatore della scena americana dalla fine della guerra, hanno ridimensionato Woodstock ormai da tempo. Tuttavia gli riconoscono il merito di una graduale liberalizzazione del costume, una revisione del conformismo ereditato dagli Anni Cinquanta. Citano un'inchiesta del New York Times, secondo la quale il 55 per cento degli adulti accetta adesso i rapporti sessuali prima del matrimonio, contro il 21 per cento nel '69, e il 25 per cento è favorevole alla legalizzazione della marijuana, anziché il 12 per cento. «La società—sostengono—è meno conformista e più tollerante». Né Lasch né Riesman negano che sia esistito uno «spirito di Woodstock» capace di grandi fioriture, e che la controcultura avesse in sé i germi del rinnovamento nazionale. Ma aggiungono che essi furono erosi dalla recessione economica e dalla crisi petrolifera dell'inizio del decennio del 70: «Cessò la libertà finanziaria — dice Riesman — e tutti si trovarono a competere per i pochi posti di lavoro». Più tardi «agi come un getto d'acqua sulla contestazione politica il trauma della caduta del prestigio americano senza acquisto di simpatie terzomondiste. Il processo involutivo fu la goccia che fece traboccare il vaso». 72 processo involutivo dal pubblico al privato agevolò anche il riflusso conservatore: Ciò che segui a Woodstock, a parere dei due sociologi, fu «un interscambio» tra il vecchio e il nuovo, i valori tradizionali e la protesta, l'establishment e i rivoluzionari. L'etica calvinista del sacrificio venne ammorbidita, il denaro, da fine a se stesso, diventò strumento d'innovazione, d'avventura, le istituzioni, senza risultarne scosse, furono riformate. «Non tutti si lasciarono assorbire supinamente nel sistema», concludono Lasch e Riesman, «battendosi, vi apportarono qualcosa». Senza più le barbe e i capelli incolti, i blue jeans e le collane di semi, ma con il bagaglio di tolleranza della loro giovinezza, nel rispetto della regola del «crogiolo», costoro sono adesso ingegneri e poliziotti, medici e avvocati,giornalìstiemaestri. Carol Green, che comandava le cucine a Woodstock, asserisce: «Vivere di frutta presa dai campi e di carità ricevuta nelle città è distruttivo a lungo andare. E' una questione di sopravvivenza. I compagni devono accettare queste diversità: Woodstock c'è stato. Non c'è più». Ennio Caretto In marcia verso Woodstock, nel '69, hippies, figli dei fiori, pacifisti: i teen-agers di oggi hanno già quasi dimenticato (Àp.)