Né sceicchi, né petrolieri i veri cattivi siamo noi di Mario Deaglio

Né sceicchi, né petrolieri i veri cattivi siamo noi Dopo il caro-petrolio: com'è nata la crisi Né sceicchi, né petrolieri i veri cattivi siamo noi Il petrolio, di fatto, fisicamente non manca e non è mai mancato. Anche nei momenti più drammatici la flessione, del flusso di greggio verso l'Occidente è stata molto contenuta, probabilmente non superiore al 5-6 per cento. Quali sono allora le cause delle periodiche scarsità o minacce di scarsità che, con i loro contraccolpi, sconvolgono le economie occidentali? I mezzi di informazione in tutto il mondo hanno «/abbacato» due «colpevoli* quasi caricaturali e li hanno dati in pasto all'opinione pubblica. Da un lato c'è «to sceicco», termine con cui si indicano genericamente i Paesi produttori, che arbitrariamente apre e chiude il rubinetto degli oleodotti con una sorta di maligno piacere. Dall'altro lato c'è «il petroliere», un uomo senza volto e senz'anima che sposta e imbosca il petrolio a livello mondiale alla sola ricerca del massimo profitto. In realtà i Paesi produttori sono dei «cattivi» poco verosimili. I loro dirigenti non han-. no fatto altro che mettere in atto i principi e le filosofie occidentali, appresi nelle Università americane, che suggerivano loro di trarre i massimi vantaggi possibili da una situazione a loro favorevole. Se non avessero agito come han fatto li accuseremmo di dabbenaggine. L'aumento vertiginoso dei prezzi del greggio, da loro imposto, è stato, d'altra parte, solo una causa secondaria dei guai delle economie occidentali. Ha contribuito per meno della metà alle spinte inflazionistiche. L'aumento della disoccupazione, il calo produttivo non possono essere ragionevolmente imputati agli sceicchi, la cui azione ha solo aggravato dei mali preesistenti. Forse, quello che più ci urta nell'atteggiamento dei Paesi produttori è il loro tono quando si rivolgono a noi: si tratta di un misto tra l'arroganza e la predica, in cui eccelleva il deposto Scià dell'Iran. Nessuno al mondo aveva mai trattato gli Occidentali con sufficienza, ed è questo che troviamo diffìcile da accettare. Anche l'immagine dei «petrolieri» come icattivi» è stata mitizzata ed enfatizzata. E' invece più che legittimo rimproverare loro una grande miopia, un comportamento goffo. Si lasciarono cogliere pressoché di sorpresa dalla crisi petrolifera. Da allora, il loro potere, ed anche il loro ruolo produttivo, appaiono in costante diminuzione: gran parte dei loro impianti nei Paesi dell'Opec sono stati nazionalizzati, ed ora anche in America si sono levate voci per la loro nazionalizzazione. La loro quota dì mercato si è fortemente ridotta a vantaggio delle compagnie nazionali, che i singoli governi europei hanno costituito o potenziato. Hanno perso prestigio, si trovano sul banco degli accusati. I profitti che conseguono quando l'Opec aumenta i prezzi sono elevati ma occasionali. Stiamo assistendo al tramonto, un po' grigio, di quella che una volta era una delle strutture portanti del capitalismo occidentale. Questi due «cattivi» convenzionali possono al massimo essere accusati di numerosi peccati veniali, ma non certo del peccato mortale di aver innescato la crisi petrolifera e di non averla saputa controllare. Chi sono allora i veri responsabili? Se si risale un po' all'indietro, si giunge immancabilmente ai dirigenti dei principali Paesi occidentali, e per conseguenza alle società che li hanno espressi. Per la crisi petrolifera, in sostanza, dobbiamo tutti rimproverare un poco noi stessi. I governi occidentali, eletti dai cittadini dei Paesi occidentali, a Washington come a Londra, a Tokyo come a Parigi, hanno reagito malissimo alla crisi petrolifera. Visti a cinque anni di distanza, l'oscuramento delle insegne pubblicitarie, le restrizioni alla circolazione domenicale e gli altri provvedimenti affannosamente varati in quel drammatico inverno 1973-74 appaiono come misure goffe e ridicole, che portarono a trascurabili riduzioni dei consumi, mentre causarono immensi disagi ai cittadini e incepparono la macchina economica. Gli economisti, dal canto loro, non sapevano raccapezzarsi. I modelli keynesiani semplicemente non prevedevano una situazione di questo genere, e pochissimi esperti economici sapevano qualcosa del mondo del petrolio. Cosi, una serie di misure sbagliate mandò in recessione, nel giro di pochi mesi, l'intera economia mondiale. Da questa recessione non si può dire che siamo del tutto usciti neppure ora: ci ha lasciato in perma¬ nenza milioni di disoccupati, ed un perenne senso di insicurezza. Neanche i sindacati, dal canto loro, furono particolarmente perspicaci nel valutare l'ampiezza e la portata della crisi. Anche la comunità finanziaria internazionale commise enormi errori di valutazione: sovrastimò il pericolo rap-, presentato per il sistema delle monete dai «petrodollari». Ritenne che l'attivo nelle bilance dei pagamenti dei Paesi produttori sarebbe stato molto superiore a quello che si verificò. Anche questo sbaglio si può imputare a scarsa conoscenza dei dati di fatto, e contribuì ad un eccesso di misure restrittive. L'Occidente, poi, ha oscillato tra le ipotesi estreme di un intervento militare e di un'accettazione di qualsiasi richiesta dell'Opec. Ha affrettatamente messo in cantiere pro¬ grammi sostitutivi del petrolio, che quasi ovunque hanno poi subito pesanti battute d'arresto. Si è comportato come un giocatore che fa vedere le sue carte agli avversari e sciupa quelle migliori. La vera causa della crisi petrolifera è dunque stata una profonda debolezza dell'Occidente, psicologica prima che economica, che l'ha portato ad una paralisi operativa, ad una serie incredibile di errori. Questo è il vero significato dei. guai provocati dal petrolio. Finché questa nostra debolezza non sarà superata, è illusorio dire che siamo fuori dalla crisi. Le vere speranze di superamento stanno cosi non già nel costruire colpevoli fittizi, ma nel riconoscere in pieno le nostre responsabilità. Mario Deaglio (Il precedente articolo è stato pubblicato sabato 25 agosto).

Luoghi citati: America, Iran, Londra, Parigi, Tokyo, Washington