Da La Malfa a Berlinguer

Da La Malfa a Berlinguer Da La Malfa a Berlinguer Tra le due austerità Il 17 giugno 1978. nell'ultimo congresso nazionale del partito repubblicano. Ugo La Malfa tornava su un tema a lui particolarmente caro, quello dell'austerità, con parole che il recente scritto di Berlinguer su Rinascita ha riproposto alla nostra attenzione. -Noi non ponemmo mai l'austerità coinè fine — tuonò allora il leader repubblicano, pur prendendo atto della significativa evoluzione comunista in materia —. Noi non abbiamo alcuna vocazione alla vita monacale. [Ricordo, per un partito laico e di forti succhi anticlericali, come il pri, il consenso divertito dell'assemblea]. L'austerità la intendiamo come messo per raggiungere certi fini, come sforso di un Paese e delle sue classi sociali per sottrarci a quello che ci distingue ancora nel mondo europeo, per diventare occidentali a pieno titolo e non occidentali per metà del Paese e mediterranei per l'altra metà». In realtà il termine austerity aveva origini profondamente occidentali, si collocava sull'/iuruus del laborismo britannico, cui non erano estranee tendenze e infiltrazioni della democrazia europea (compreso Mazzini). L'espressione aveva cominciato a circolare nell'Italia del secondo dopoguerra, attraverso il progetto laborista di Stafford Cripps. Indicava una vocazione di autocontrollo e di autoregolamentazione di una democrazia economica moderna, contro le tendenze agli sprechi, al parassitismo, ai privilegi urtanti o irritanti di un passato classista o oligarchico. Si muoveva nella logica di una correzione, dall'interno, del sistema capitalistico: né demonizzato, secondo l'abitudine delle scuole marxiste (senza ricorrere agli estremi, citati da Berlinguer, del «catastrofismo» di Varga), né idoleggiato come il non plus ultra dell'evoluzione sociale, secondo le cadenze del liberismo integrale e acritico. Per anni e anni la citazione del termine inglese era d'obbligo, la traduzione con «austerità» né corrente né abituale. La sinistra italiana, almeno nelle sue grandi componenti, si riconobbe poco e male in quella formula di severità e di solidarietà sociale, non senza una vibrazione religiosa (e una lontana eco protestante). Da certi momenti della socialdemocrazia saragattiana alla «nota aggiuntiva», di La Malfa nel 1962. restammo sempre e soltanto nell'ambito della sinistra democratica italiana, in competizione diretta o indiretta col variegato fronte marxista. Fu intorno al 1975. nell'evoluzione e integrazione della strategia del compromesso storico, che Berlinguer ricorse all'uso dell'antica immagine lamalfiana. non senza qualche ostentazione o civetteria. Non fu mai il riconoscimento di una politica di controllo della dinamica dei redditi, che presupponeva l'accettazione conseguente di un'economia sociale di mercato, ma fu certamente e in molti casi — lo rilevava Tullio Altan su queste colonne — la presa di coscienza di talune strozzature soffocanti del nostro sistema economico, sempre individuate dalla polemica democratico-laica, come l'inefficienza degli organismi produttivi pubblici attraverso la copertura garantita a priori a ogni deficit di bilancio oppure il dilatarsi irresponsabile e incontrollato della spesa sociale anche attraverso le taglie e le rapine dei gruppi locali clientelari. Significò insomma un certo momento nella lotta contro la piovra dello Stato assistenziale, con forti sacche corporative. Austerity ed emergenza dovevano collegarsi (e infatti si collegavano nella mente, per esempio, di un La Malfa o di un Moro). La fase, provvisoria ed eccezionale, di un governo di salute pubblica (altro che il compromesso storico!), doveva servire proprio a imporre una certa redistribuzione dei sacrifici alle grandi masse popolari, attraverso una mano pubblica meno dispotica, meno capricciosa e dissipatrice di un recente passato. L'«austerità... rilanciata oggi da Berlinguer, anche per dare una giustificazione e uno smalto a una strategia in crisi come il compromesso storico, è tutt'altra cosa. Non è più mezzo ma fine. Non e più .strumento (lo stesso sistema capitalistico è sempre uno strumento, per le scuole democratiche moderne, sottratte agli idoli del neo-liberismo). ma si identifica con un obiettivo, fra politico e moralistico, di una nuova iniziativa della classe operaia: proposta da Berlinguer a correzione di un sistema sociale in crisi, per le sue interne e altrimenti non superabili antinomie. Berlinguer sollecita — sono parole testuali — «un intervento nuovo della classe operaia non solo sulla distribusione del reddito ma anche sulla forma e sulla qualità dei consumi, e quindi sul processo stesso di accumulazione-. Lasciamo agli economisti l'approfondimento del discorso. Sul piano delle ideologie, che per noi contano ancora, l'esaltazione dell'austerity, in un senso così profondamente diverso da quello di La Malfa, finalistico e non strumentale, denuncia la profonda crisi della dottrina socialista anche per un partito, come il pei, volto a tentare un'esperienza autonoma e peculiare di «socialismo» o «comunismo» all'italiana. La «cultura di governo», in questo senso, serve a poco o a niente. Il pensiero democratico e riformatore dell'Occidente ha diritto di domandare, alle varie scuole socialiste, cosa rimanga, alle soglie degli Anni Ottanta, del patrimonio ideologico che parte dall'intuizione di Marx (compreso lo sviluppo della lotta di classe in rapporto all'espansione del capitalismo e non alla sua restrizione o contrazione). E' questo un discorso aperto, bene al di là delle influenze che la sortita di Berlinguer, comunque rilevante, avrà sul prossimo congresso democristiano e sui precari equilibri di governo. L'emergenza, pur tradita sul piano politico, ha servito a fare scoppiare contraddizioni insanabili. E non solo a sinistra. Giovanni Spadolini

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