Gol a tempo di fox-trot di Luciano Curino

Gol a tempo di fox-trot MEAZZA, IL CENTRAVANTI DELLA LEGGENDA Gol a tempo di fox-trot Era il tempo delle radio a palena che si ascoltavano con la cuffia e. se non c'erano troppe scariche, si sentiva una canzoncina che faceva: «La donzcllelta vien dalla campagna, leggendo la Gazzetta dello Sport, e come ogni ragazza, lei va pazza per Mcazza. che fa reti a tempo di fox trot». I giovanotti si pettinavano «alla Meazza», con molta brillantina. Infilavano nei libri di scuola un paio di fotografie: quella di Marlene Dietrich ne L'Angelo azzurro con le lunghe e conturbanti gambe, e una fotografia di Meazza al momento di calciare. Lo hanno definito «bali/la». ma i giornalisti sportivi erano alla continua ricerca di nuove definizioni: «L'uomo fronda»: «fabbrica di gol»: «il terrore dei portieri»: «l'intelligenza al servizio del pallone». Qualcuno, chissà perché, lo paragonò a Pasteur. Questo e altro, non si sapeva più che cosa scrivere di nuovo. Ora è morto e si riassume la sua carriera con le cifre: -457 partite in campionato. 272 gol. ha giocato 53 volte nella nazionale segnando 33 gol. due titoli mondiali. Più che queste cifre, la ilice lunga su Meazza un episodio che Brera racconta nella sua Storia critica del calcio italiano. Un giorno, che per disgrazia era domenica, il Peppin Meazza «si sveglili stranito in un letto non suo fra due ragazze che erano anche di molti altri. Guardo l'orologio e gli prese un colpo. Liano le 14 passate. Liti era chissà dove, a Milano, e la partita aveva inizio all'Arena pochi minuti dopo'. Allora via. giù del lett e su i calzoni, in pigiama e col paltò: salta su un taxi e arriva che gli altri sono giù schierati per il saluto romano. 1 tifila le scarpe, entra a gioco inizia/o e deve subito segnare mi paio di gol per farsi perdonare, altrimenti pensale che muso, il mieter e tutti gli altri! ». II ciclismo allora era lo sport più popolare, con Guerra che esplodeva al Tour e Binda che vinceva a Liegi il suo secondo campionato mondiale. Ma il calcio stava raggiungendo la popolarità del ciclismo, stava per superarla. I giocatori, che avevano per lo più una storia di fame alle spalle, improvvisamente si trovarono nell'opulenza e idolatrati. Il calcio era il nuovo Eldorado. Rosetta era passato dalla Pro Vercelli alla Juventus per cinquantamila lire, quando un operaio guadagnava meno di dieci lire al giorno. 1 transatlantici arrivavano con giocatori sudamericani pagati come opere d'arte. Erano gli anni della Grande Crisi e la professione del calciatore, ricorda lo storico, consentiva giorni di faraonica agiatezza in tanta misera. «Cesarmi non muove passo senza che lo porti l'automobile. Per aiutare una soubrette argentina, rimasta in panne con la sua orchestra, decide anche di gestire mia sala da ballo». E Attila Sallustro viveva sontuosamente con Lucy D'Albert, la più bella soubrette d'Italia. E Gipo Viani se si voleva trovarlo bisognava andare al bar Vittorio Emanuele dove, se non giocava a biliardo, era al tavolo del poker. Questi erano i tempi. Giuseppe Meazza. milanese cresciuto in una squadretta chiamata «Maestri Campionesi» che giocava nello spiazzo di un cantiere edile di Porta Vittoria, era stato scartato dal Milari perché gracile, e infatti era stato in sanatorio e pesava una quarantina di chili. Lo prese l'Internazionale (cui il fascismo mutò il nome in Ambrosiana) e lo tirò su con bistecche. Esordi a diciassette anni, subito i;on due gol. e da allora vinse tutto quello che c'era da vincere. 11 miglior prodotto del calcio italiano, un fenomeno di intelligenza e di stile, destrezza, velocità e liuto del gol. Le vecchie cronache sportive parlano dei suoi «millimetrici» passaggi. Aveva gloria, biglietti du mille a centinaia, un'auto «Lambda», fumava sessanta sigarette al giorno, passava i pomeriggi all'Odeon o in qualche altra balera, faceva lunghe le noni con il poker e il ramino. Ma in campo era sempre il migliore. Era la Juventus (Combi. Rosetta. Caligaris eccetera) che in quegli Anni Trenta vinceva uno scudetto dopo l'altro e diventava la «fidanzata d'Italia". Ma l'idolo era il «balilla» Meazza iloti'Ambrosiana-liner. Si racconta che una volta una impalcatura dell'Arena crollò per l'esagerato entusiasmo dei tifosi di Meazza. fu in una partita con il Genoa. Un lerito. trasportato in barella negli spogliatoi per essere medicato incontrò il suo sguardo con quello del «balilla». Ebbe un sussulto, spalancò le braccia e gridò: «Vinci. Pepp. e io mi sentirò guarito» Vere radio avevano sostituito quelle a galena e la domenica, quando c'era la partita internazionale, la gente si fermava in strada ad ascoltare gli altoparlanti che diffondevano la radiocronaca, sempre epica nella voce di Carosio. Se si era ancora sul pari, peggio, se l'Italia perdeva, la gente era fiduciosa: ci penserà il Pepp. «Lo stanno picchiando, boia mondo, picchiano il balilla» quasi singhiozzava Carosio. Ma si sapeva che i terzini per fermarlo dovevano picchiarlo. Comunque, lui prima o poi il suo gol lo faceva. O ne segnava addirittura tre. come in quella trasferta a Budapest, contro gli ungheresi. L'ultimo di questi tre gol al portiere ungherese Akhai va ricordato perché è il primo dei famosi «gol alla Meazza». Riferisce Brera: «Segna ancora Meazza arrestando per prodigio un tiro errato di Costantino in cross: scatta il Balilla e chiama fuori Abitai come un torero che provochi la belva con il suo "afa'." spregioso: annaspando smarrito, esce Aknai e il Balilla sornionamente tocca verso l'angolino. E' questo il gol che verrà detto d'oI ra innanzi alla Peppin Meazza: un fulmineo guizzo oltre i terzini, la breve galoppala oltre la I ' porla. I' "a/a loro!" al portiere ! esterrefatto, il lieve irridente \ tocco nell'angolino basso prò- \ \*rio rasente il palo». Altri suoi gol erano in tiro al | ; volo con salto mortale all'in1 dietro. La prima volta che sei gnò in questo modo, un avversario incarognito gli disse che ] era stato un caso irripetibile. Il I 1 Pepp scommise un'automobile j che avrebbe ripetuto lo stesso gol la domenica seguente. Vinse la scommessa. Così era fatto I Meazza. ed è chiaro che tutti i ragazzini che calciavano nei | campetti della periferia e degli oratori sognavano di diventare Meazza. Vennero gli anni del declino, non era più il grande Meazza-balilla quello che an¬ dò a giocare nel Milan e poi nella Juventus. 11 «dopo» carriera fu modesto, ma non triste né troppo patetico. 11 calcio lo arricchì, ma lui spese allegramente {«Le ragazze ci piacevano, e come!» ricordava) e la guerra gli aveva eroso quanto era riuscito a risparmiare. In ogni caso, non si lamentava, diceva di avere avuto molto dalla vita, più di tanti altri. Non era nemmeno di quegli «ex» che campano soltanto ili ricordi e rimpianti. C'era però un pensiero che lo crucciava. Lo rivelò l'anno scorso, quando morì il portiere della nazionale spagnola, il grande Zamora. anche lui personaggio leggendario del calcio. «In nazionale Zamora non sono mai riuscito a batterlo. Zamora era la mia croce» disse cupamente. Nessun altro rimpianto.'1 Nessun altro. «Sono stato Meazza. tulli mi conoscono. Lia dieci, fra vent'anni la gente che andrà negli stadi parlerà ancora di Meazza. saprà chi istato. No. non ho rimpianti». Luciano Curino Meazza in azione verso uno dei suoi gol «impossibili» (Archivio storico «La Stampa»)

Luoghi citati: Budapest, Italia, Milano