Giornata decisiva all'Orni sul problema palestinese di Arrigo Levi

Giornata decisiva all'Orni sul problema palestinese Gli Usa tentano il rinvio del dibattito Giornata decisiva all'Orni sul problema palestinese Pronta una mozione nigeriana più sfumata di quella del Kuwait (ma Washington sarebbe ugualmente costretta a porre il veto) - Febbrili consultazioni in extremis La porta stretta Anche se Jimmy Carter, distratto da troppe preoccupazioni di politica interna, continua a dimostrarsi singolarmente inetto nel coordinare l'azione del suo governo, la strategia americana nel Medio Oriente rimane nell'insieme corretta, e anzi produttiva. La «pace separata» tra Egitto e Israele ha infatti messo in moto — come speravano gli ottimisti — un processo negoziale allargato in cui sono stati coinvolti altri Stati arabi e la stessa Olp. Anche l'attuale confusione sul dibattito all'Onu e sulla posizione che l'America adotterà in quella sede (dove sarà ancora rappresentata da Andrew Young, sostenitore di una linea di apertura all'Olp) conferma che il negoziato procede, e su nuove strade. Comunque si svolga questo dibattito, con o senza ancor possibili rinvìi, la ricerca di formule che coinvolgano i palestinesi e l'Olp nelle trattative proseguirà. Israele dice: l'America, e l'Europa, sono disposte a venderci per un barile di petrolio. Il fattore-petrolio è certo uno stimolante potente per le diplomazie occidentali, rende urgente la pace. Ma questa sarà comunque irraggiungibile finché non vi sarà un accomodamento con i nazionalisti palestinesi, e nessuno più di Israele ha interesse alla pace. Non soltanto Andrew Young e il cancelliere Kreisky sono oggi convinti che questo accomodamento non potrà essere realizzato se non coinvolgendo l'Olp. La pensa allo stesso modo il governo americano nel suo insieme, anche se resta da decidere in quale momento, e attraverso quali fasi, ciò possa e debba avvenire. Nelle scorse settimane, Vance e Brzezinski si erano convinti che fosse giunta l'ora di presentare all'Onu una nuova risoluzione che integrasse le precedenti — la 242 del 1967 e la 338 del 1973 — ribadendo il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele, ma riconoscendo anche (pur senza parlare di Stato palestinese) i «diritti legittimi dei palestinesi», che erano ignorati nei testi precedenti. L'America sperava che la nuova risoluzione venisse accettata dagli arabi moderati (Arabia Saudita, Kuwait) e dalla stessa Olp, che avrebbe cosi riconosciuto per la prima volta lo Stato d'Israele. A sua volta Washington avrebbe subito riconosciuto l'Olp e stabilito con essa rapporti ufficiali, coinvolgendola nel negoziato sull'autonomia della Palestina. Questo piano era forse troppo bello per essere vero: Sadat lo ha definito «stupido» . Come che sia, il piano si è dimostrato irrealizzabile, anzitutto per l'intransigenza dell'Olp, che l'ha respinto il 12 agosto scorso; poi perché anche Gerusalemme e II Cairo hanno detto di no. Begin ha minacciato di interrompere il processo di pace con l'Egitto (al quale restituirà tra due mesi, prima del previsto, un'altra fetta di Sinai, mentre renderà entro l'anno gli ultimi pozzi di petrolio). Sadat non vuole turbare a nessun costo il suo rapporto con Israele, da cui riavrà il resto del Sinai solo tra due anni. Sadat forse spera ancora di convincere alcuni notabili palestinesi a partecipare alle trattative sull'autonomia. All'Egitto, comunque, l'attuale isolamento assai meno completo di quanto pensassero i suoi nemici arabi, non re ca danni insopportabili. Più si andrà avanti verso l'esecuzio ne piena degli accordi con Israele, più l'Egitto sarà anzi rafforzato nei confronti del mondo arabo, sempre assai diviso. Cosi l'iniziativa americana forse intempestiva, è entrata in crisi. Ma non equivochiamo: la via del negoziato allargato che si vuole seguire è quella giusta, anche se è così difficile percorrerla. Arafat, che ora dice di volere uno Sta to palestinese — come proponeva l'Onu nel 1947 — dovrebbe riflettere su quante occasioni abbiano già perduto gli arabi per la loro intransigen za: gli conviene davvero continuare a rifiutarsi di riconoscere preliminarmente Israele? Quanti altri fatti compiuti rischia di dovere un giorno accettare? L'Olp è stata colpevole di troppo terrorismo e troppe cecità (lo statuto dell'organizzazione predica ancora la distruzione di Israele), e i risultati per i palestinesi sono stati disastrosi: non è ora di cambiare strada? Quanto a Begin, forse s'illude ancora di poter escludere per sempre l'Olp dalla Palestina. Ma la sicurezza di Israele non può basarsi soltanto sulla sua forza militare, sull'alleanza con l'America e sulla pace separata con l'Egitto (che, una volta reso tutto il Sinai, sarà assai meno ferrea). Israele sarà definitivamente sicuro soltanto quando vi sarà stata la rappacificazione con i palestinesi e con tutto il mondo arabo. Questa non potrà realizzarsi se non attraverso una trattativa: da che mondo è mondo, è con i nemici che si deve naturalmente trattare per far pace. Trent'anni di guerre giustificano pienamente la preoccupazione di Israele di potersi difendere attraverso speciali accordi territorialimilitari. E' giusto anche chiedere che l'Olp, se vuole completare la sua trasformazione da organizzazione terroristica in rappresentante legittima della nazione palestinese, compia il piccolo grande passo che è il riconoscimento di Israele. Ma la realtà è che in Palestina vi sono due nazioni, che ciascuna ha i suoi diritti, e che la pace si farà soltanto attraverso un negoziato tra esse. Arrigo Levi