Scalzone scrive a Curcio: «La mania dei complotti vi ha dato alla testa»

Scalzone scrive a Curcio: «La mania dei complotti vi ha dato alla testa» Rottura completa fra autonomi e Br dopo il documento dell'Asinara Scalzone scrive a Curcio: «La mania dei complotti vi ha dato alla testa» «Ci batteremo per togliervi il ruolo di vestali della rivoluzione» - Viaggio dei magistrati in Calabria per i collegamenti fra la mafia e le Unità comuniste combattenti DALLA REDAZIONE ROMANA ROMA — Oreste Scalzone, uno dei leaders dell'Autonomia organizzata colpito da mandato di cattura insieme con Toni Negri e gli altri esponenti del movimento, si è fatto vivo dal carcere con una lettera indirizzata a Renato Curcio. che sarà pubblicata da Panorama. Si tratta della risposta al documento redatto nel supercarcere dell'Asinara dal capo storico delle Br e da altri sedici compagni detenuti nel quale gli esponenti dell'Autonomia vennero definiti «ambigui mestatori, timidi ed imploran ti agnellini ». Scalzone, nella sua risposta che talvolta assume toni ironici, scrive: «I valori, come i buoni sentimenti, non servono: essi, in quanto tali, fanno parte del vecchio mondo». Questo vale anche per la lotta armata, che il leader dell'Autonomia milanese definisce una «dura necessità, un mezzo, mai un valore». Scalzone ricorda poi a Curcio che fin dai tempi di Potere operaio «vi abbiamo sempre, puntigliosamente difeso», ma ora il documento dell'Asinara sancisce «una rottura di campo, una rottura culturalmente difficilmente colmabile». « Voi cojnpagni — prosegue Scalzone — avete sulle spalle anni di galera e per questo vi sentiamo nostri fratelli; da oggi avrò un motivo in più per battermi per la vostra liberazione: ridurvi allo stato laicale, togliervi il ruolo di erinni e vestali della rivoluzione proletaria. Se l'Autonomia operaia ha fatto bancarotta e piagnucola — conclude Scalzone —,se l'altra metà del fuoco è composta da signorini e provocatori, se le masse non vedono al di là del proprio naso, chi, buondio!, si dovrebbe schierare? Chi è già d'accordo con voi? Non sarà che l'ideologia pistarola e del complotto ha dato alla testa anche a voi?». Anche il giornalista dell'espresso Mario Scialoja, minacciato di morte nel documento uscito dall'Asinara, ha risposto a Curcio e compagni. «Perché ce l'hanno con me? — si domanda Scialoja —. Il motivo di questi attacchi è sempre lo stesso: l'aver raccontato i fatti, ossia l'aver raccontato e tentato di interpretare il dibattito, le discussioni, le spaccature che da più di un anno travagliano il fronte della lotta armata e le Br». Il giornalista aggiunge che un tempo fu accusato di «filobrigatismo», oggi viene considerato un «consulente della contro-guerriglia» da Curcio e i suoi compagni i quali tentano di fornire un'immagine monolitica dell'organizzazione Br. Le indagini sulle «Unità combattenti comuniste» si spostano intanto in Calabria. Identificati e in parte assicurati alla giustizia capi e gregari dell'organizzazione terroristica, raccolti gli elementi di prova su alcune delle imprese rivendicate da! gruppo. avviati gli accertamenti tee- nici sulle armi trovate nel co- vo di Vescovio e presa in considerazione l'ipotesi che il casolare del Reatino possa essere stato il primo nascondiglio in cui fu tenuto prigioniero l'on. Moro, gli inquirenti vogliono accertare quale fu il reale ruolo della «'ndrangheta» in questa vicenda. Per questo la prossima settimana il giudice istruttore Ferdinando Imposimato, uno dei magistrati romani che hanno ereditato l'inchiesta dopo la formalizzazione, si recherà in Calabria nel tentativo di scoprire la natura dei rapporti tra la mafia e le «Unità com battenti comuniste». Secondo le rivelazioni fatte dai cugini Piero e Giampietro Bonano, in più di un'occasione i due gruppi si unirono per compiere colpi più o meno sensazionali, come la rapina al «Club Mediterranée» di Nicotera Marina o alla sede del Banco di Napoli, nel capoluogo campano. Il dottor Imposimato è deciso a scoprire chi proponeva queste azioni che con il terrorismo avevano poco o nulla a che fare, almeno apparentemente. Frattanto continuano le ricerche del presunto capo delle «Ucc» Guglielmo Guglielmi e dei suoi più diretti collaboratori che sono la fidanzata Maria Antonietta Jucci, il luogotenente Carlo Torrisi, detto «Leo», Antonio Campisi, un architetto siciliano, nonché ^del mafioso calabrese Agostino Lo Russo, che costituirebbe l'anello di collegamento tra i terroristi e la «'ndrangheta», insieme con Antonio Pesce, nipote di un famoso «boss» già finito in carcere.

Luoghi citati: Calabria, Roma