Un vecchio prete romano

Un vecchio prete romano Un vecchio prete romano Si è spento a Roma, ai pri-' mi del mese, Sua Eminenza Reverendissima il cardinale Alfredo Ottaviani. Uomo di vita austera e operosa, e forse per questo longevo, aveva toccato la bella età di 89 anni. Da quando, nel '68, s'era dimesso dalla carica di proprefetto del Sant'Uffizio, era rientrato nell'ombra, sembre più isolato in una sua intransigenza di custode ormai inascoltato di venerande strutture ecclesiali e dogmatiche. Oggi, che la Congregazione che egli diresse per più di trent'anni ha cambiato nome, e in parte anche i metodi e l'audienza, riesce difficile rievocare quale fu il suo prestigio austero e il suo cauto potere. Non inganni il titolo vicario di pro-prefetto, perché tutte le Congregazioni di Curia erano un tempo presiedute da cardinali, tranne la sola del Sant'Uffizio — suprema tutrice della purezza della dottrina contro ogni errore o eresia — che era alle dipendenze dirette del papa. Così Ottaviani ne fu l'autentico responsabile e la mente direttiva sotto quattro pontefici, anche se in uno solo fra essi, Pio XII, egli si riconobbe con pienezza e dedizione senza riserve. Al servizio di papa Pacelli egli pose la sua schiettezza trasteverina di uomo di fede, un'infaticabile capacità dì lavoro e un attaccamento tenace alle credenze consolidate, alla disciplina gerarchica e al centralismo curiale. Con intransigenza capillare investigò, sindacò e represse ogni «novità» teologica, ogni interpretazione che pretendesse di sommuovere una grande tradizione dottrinale, che egli vedeva definitivamente assestata e. di cui si sentiva vigile tutore. Fu perciò uomo temuto e detestato per la sua chiusura ad ogni innovazione, il rifiuto delle proposte di adattamento della Chiesa al mutato corso dei tempi, le scelte conservatrici e autoritarie. I suoi interventi, discreti ma ferrei, gravidi della minaccia di sanzioni spirituali e disciplinari, raggiunsero ogni novatore incauto e coartarono drammaticamente più d'una coscienza. Trattati teologici e riviste di apostolato, sacerdoti aperti ai problemi che lacerano l'umanità contemporanea dissacrata, don Milani e don Mazzolari, preti operai e comunità volte a ritrovare il Vangelo dei poveri, subirono i suoi richiami perentori e le sue condanne. In tema di politica interna italiana, questo atteggiamento di rigido custode di ogni valore del passato fece di Ottaviani l'esponen- te di una destra sorda alle nuove istanze sociali, instancabile nel premere sulla democrazia cristiana per una chiusura a sinistra e per un'estesa alleanza con tutte le forze conservatrici, non importa quali. Decisivo era stato il suo intervento nella scomunica fulminata nel 1949 contro i comunisti: operazione anacronistica e per giunta controproducente, da cui la destra clericale non seppe trarre insegnamento, se Ottaviani continuò più tardi a creare difficoltà a De Gasperì, considerato troppo centrista, e ad osteggiare Moro ed il centro-sinistra. A tratteggiare l'uomo valga un piccolo episodio personale, che risale a più di trent'anni addietro. Stavo allora conducendo ricerche sui miei amati eretici del Rinascimento e sognavo come un miraggio di poter frugare tra le carte dell'archivio romano dell'Inquisizione: un ricetto inaccessibile da sempre, tanto che l'unico profano che vi mise piede per poche ore, il conte Giacomo Manzoni, lo fece nel 1849, forzando la porta, al tempo della Repubblica Romana. Senza speranza, ma con testardaggine subalpina, mi rivolsi allora a quel santo, mite, dottissimo uomo che fu il cardinal Giovanni Mercati, il quale chiese ed ottenne per me dal papa un permesso eccezionalissimo. Fu cosi che una bella mattina mi presentai all'antico palazzo bramantesco dei Pucci, quasi all'ombra della cupola di S. Pietro, da più di quattro secoli sede del Sant'Uffizio. Ottaviani mi ricevette nel suo studio disadorno, con ostile freddezza. Vestito da semplice prete, con il grosso collo turgido e quasi gozzuto, un occhio bianco per la cataratta, leggeva con l'altro certe sue carte, reggendole a pochi centimetri dalla pupilla, il capo un po' torto, con secchi movimenti da uccello. Dopo una lunga attesa, senza guardarmi, disse: «Lei viene qui a mio dispetto e farò di tutto per renderle la vita dura. Per cominciare, le fisso l'orario dalle 15 alle 16». Ero un giovane squattrinato, e stare a Roma sulle spese non m'era facile. Per giunta, arrivato a metter mano sui sospirati registri, mi trovavo al fianco uno «scrittore» dell'archivio, che mi domandava qual nome vi cercassi, apriva di sua mano alla pagina voluta, isolava il passo prescelto e copriva il resto con due cartoncini bianchi. Un supplizio di Tantalo! Per fortuna che anche quello era un sant'uomo, un padre gesuita belga di mitissimo animo, che presto si contentò di .sorvegliarmi con la coda dell'occhio, seduto in disparte a leggere il breviario, guadagnandosi cosi la mia gratitudine sempiterna. Ma quei tre quarti d'ora al giorno (il resto erano scale e anticamere, moduli e attese), quel sedersi ad un favoloso banchetto con divorante fame per vedersene quasi subito strappato, mi fecero concepire nei riguardi di Ottaviani un'avversione nutrita di sordo rancore e del senso di aver patito una vessazione odiosa. Questo mi è tornato in mente leggendo della sua morte, e mi sono accorto che ogni sentimento ostile era scomparso, lasciando il campo a un senso di alta pietà: quella pietà che dobbiamo agli sconfitti che si batterono sino all'ultimo per una causa che credettero giusta. Perché il Concilio Vaticano II aveva fatto di Ottaviani un sopravvissuto. Tutte le piene contro le quali aveva eretto le sue dighe sono traboccate. Messo in disparte, osteggiato da tutti i novatori, vide salire al soglio pontificio quel Montini, che nella Curia di papa Pacelli era stato il suo antagonista più sottile. Dovette assistere alla soppressione del latino, alla riforma liturgica con le sue goffaggini corrive, alle crescenti spinte centrifughe delle Chiese nazionali, e pati infine l'ultimo affronto, quando gli fu detto che, dopo l'ottantesimo anno, non era più idoneo a eleggere il papa, cioè che lo Spirito Santo lo aveva definitivamente giubilato. In quest'uomo, che per dieci anni sopravvisse a se stesso, si assomma un dramma che va bene al di là della sua persona e che il cattolicesimo è chiamato a vivere nei prossimi secoli. Per questo egli, che in vita non fu amato, merita in morte il rispetto dovuto a chi, pur nell'errore, ha saputo battersi con dedizione fedele. Un vecchio prete romano

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