LA CRISI DEL PRIMO NOVECENTO di Carlo Cassola

LA CRISI DEL PRIMO NOVECENTO LA CRISI DEL PRIMO NOVECENTO Tozzi dimenticato Il tempo è galantuomo per gli scrittori? C'è almeno un caso che contraddice questa sentenza: Federigo Tozzi. E' morto da quasi sessantanni, e molti non si sono ancora accorti di lui. La colpa è della critica. Che in apparenza sembra aver fatto il suo dovere: con Verga e Svevo. Tozzi fa parte della triade dei nostri maggiori narratori tra Ottocento e Novecento: triade approntata per bilanciare quella dei nostri tre maggiori poeti lirici, Carducci, Pascoli e D'Annunzio. Per il Novecento, si è forse tentata un'altra triade di poeti lirici. Saba. Ungaretti e Montale (a cui io affiancherei Cardarelli: la triade diverrebbe quindi un quartetto). Niente di simile è stato tentato per i narratori. E si spiega: Moravia domina il campo: chi gli viene contrapposto, non sembra avere la sua statura. Può sembrare sbagliato che si consideri Tozzi un narratore tra Ottocento e Novecento: quasi un coetaneo di Verga e Svevo. Aveva infatti solo diciassette anni quando finì il secolo (Verga invece ne aveva sessanta. Svevo trentanove). Ma finì veramente, l'Ottocento? O i suoi caratteri si sono prolungati anche nel nostro secolo, per lo meno fino allo scoppio della prima guerra mondiale? Io che sono nato nel 1917, che sono vissuto quindi nel Novecento solamente, ho conosciuto molti che avevano una mentalità ottocentesca. Segno che un secolo è duro a morire; e coloro che si sono formati in esso, si portano dietro i segni della loro formazione anche quando i tempi esigerebbero nuove vedute. Tozzi è uno scrittore di transizione: rappresenta infatti una società in cui ci riconosciamo e che al tempo stesso troviamo estranea. Sta infatti spogliandosi della vecchia pelle ottocentesca; è sempre ancorata a certi principi ma è già percorsa da inquietudini che porteranno al fascismo. Tozzi era un inquieto e un insoddisfatto: aveva quindi la tendenza a cogliere gli stessi sintomi nella società che l'attorniava. La sua è la più penetrante testimonianza del periodo d'incubazione del fascismo. E' un periodo che interessa molto i lettori, i quali leggono parecchi libri sull'argomento, ma sviati dai luoghi comuni in circolazione, non si avvedono che lo scrittore maggiormente incline a cogliere i mutamenti che si producevano nella società del suo tempo, è Tozzi Scrittore difficilmente defini¬ bile, perché non si sa fino a che punto registri e fino a che punto partecipi. La posizione di Verga o di Svevo verso la propria materia è molto più chiara. E' evidente la compassione di Verga per i suoi vinti, e la severità con cui Svevo giudica il comportamento di Emilio Brentani verso Angiolina Zarri. Verga rappresenta la condizione umana com'è stata in ogni tempo; Svevo s'interessa soprattutto alla cosiddetta «belle epoque». Nella quale i bravi borghesi come il Brentani non sposavano le popolane: le tenevano come amanti. Verga e Svevo, oltre a vivere molto più a lungo di Tozzi, ebbero il vantaggio di vivere in un'epoca in cui i sentimenti e i caratteri delle varie classi sociali erano molto più fissi. Gli eroi della roba e la «belle epoque» non potevano mutare aspetto. In altre parole. Verga e Svevo sono uomini dell'Ottocento; sopravvissero sì alla prima guerra mondiale, ma non presero parte in nessun modo alla civiltà letteraria del Novecento. I due maggiori romanzi di Verga appartengono al nono decennio dell'Ottocento; i due primi romanzi di Svevo. al decimo. Sembra smentirci La coscienza di Zeno, che fu scritta dopo la prima guerra mondiale e in cui compare la psicoanalisi, che secondo gli sprovveduti sarebbe la scienza del secolo. Di quale secolo? Essa fu il coronamento dell'Ottocento, mostrandone l'intima cattiva coscienza. Ma gli schemi fissi della psicoanalisi si attagliano perfettamente alla mentalità passata. Dove questa invece è mobile, fluida, contraddittoria, siamo nel presente, e il primo grande testimonio per noi italiani è proprio Federigo Tozzi. D quale vive in pieno la crisi dell'arte novecentesca. Intorno a lui le strutture sono tutte in agitazione: quelle sociali non meno di quelle letterarie. Tozzi si sentiva mancare il terreno sotto i piedi: nel primo sessen- nio della sua attività letteraria novecentesca, passato a Siena, mirò a esprimersi come veniva, e ne nacquero opere estremamente convincenti per la loro genuinità, come Con gli occhi chiusi; nel secondo sessennio, passato prevalentemente a Roma, mirò a dare ordine alla propria ribollente materia. In altre parole, nel primo sessennio cercò di realizzare il romanzo sperimentale; nel secondo, si affidò a un modulo sperimentato, il romanzo naturalista, sorto alla fine dell'Ottocento per opera di Zola, Verga e tanti altri. Fece come i gamberi, dunque? E' sempre arduo, parlando di uno scrittore, stabilire quando va avanti e quando torna indietro: useremmo un linguaggio più appropriato se dicessimo che si muove in tutte le direzioni. Tozzi cercava di dare ordine alla propria materia, in modo da approdare a una rappresentazione definitiva, com'erano stati, per Verga, l Malavoglia e Mastro Don Gesualdo, o per Svevo Senilità e La coscienza di Zeno. Parallelamente il suo ceto, cioè la piccola borghesia, mirava a dare un ordine alla sua sovversione di destra, sovversione che s'era manifestata prima di tutto nell'ambito della letteratura, col dannunzianesimo e il futurismo. Cosa vuole, dunque, questo personaggio tozziano che sconcerta tanto il lettore, abituato a personaggi molto più semplici, come quelli di Verga e Svevo? Cosa voleva Tozzi stesso? Abbiamo già detto cosa voleva, politicamente, quel ceto sociale: un cambiamento dell'ordine esistente, che garantisse i suoi piccoli privilegi e facesse filare diritto i ceti inferiori, che cominciavano ad avere troppe pretese. Cosa volesse Tozzi, è più difficile dirlo: manca la riprova dei fatti, giacché egli morì nel marzo del 1920, prima che il fascismo prendesse corpo. Inoltre non sappiamo fino a che punto Tozzi s'identifichi coi suoi personaggi più reazionari: come l'Ugo Carraresi de Gli egoisti, che è poi Giuliotti. D'altra parte a Tozzi stava più a cuore una catarsi morale anziché una catarsi politica, quale il fascismo si vantò di essere. Oggi comunque il vecchio detto popolare del te^npo galantuomo non è certamente vero: giacché ci avviamo a gran passi verso la fine del mondo, e i sessant'anni (scarsi) che non hanno permesso la fortuna di Tozzi sembrano quasi un sogno (il tempo che abbiamo a disposizione è infatti molto meno). Carlo Cassola

Luoghi citati: Roma, Siena