L'ETÀ' DI MOZART E BEETHOVEN di Massimo Mila

L'ETÀ' DI MOZART E BEETHOVEN L'ETÀ' DI MOZART E BEETHOVEN La musica più alta Si avvicina alla conclusione l'originale Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia, in dieci volumi (diventati per strada praticamente tredici), assegnati a blocchi monografici di epoche storiche e affidati a singoli autori. Opera che l'efficacia organizzativa di Alberto Basso, presidente della Società di Musicologia, è riuscita a portare avanti con una rapidità inconsueta in simili lavori collettivi: non mancano più che il volume sul Seicento e la prima parte del volume doppio dedicato all'Ottocento. Dell'insieme dell'opera e dell'originale formula cui è ispirata, a mezzo tra il lavoro d'equipe e la responsabilità individuale d'un singolo autore, converrà riferire adeguatamente, ma intanto sia permesso segnalare e salutare con gioia il volume che affronta il momento supremo di tutta la musica, e che è dovuto alla penna di Giorgio Pestelli, professore di Storia della Musica nella facoltà di Magistero dell'Università di Torino, e ben noto ai lettori de «La Stampa» per le sue corrispondenze e cronache musicali (L'età di Mozart e di Beethoven. EdT, pag. X-332. lire 7500). Adesso tutti diranno che porto alle stelle questo libro perché l'autore ha voluto dedicarlo a me. qualificandomi suo maestro. Santo cielo! proprio questa circostanza mi frapponeva un velo d'imbarazzo, direi quasi di fastidio, all'approccio, velo che si è lietamente dissolto alla lettura. Questa di Pestelli è proprio una storia della musica, non una storia di generi e di forme, come solitamente accade nelle imprese storiografiche, anche se generi e forme certamente ci sono, ma tutti rimescolati nella consapevolezza del continuo loro ricambio in quella organica realtà che è appunto la musica. Ed è veramente una storia, non un'accozzaglia di notizie erudite ammucchiate come noci in un sacco: non c'è ombra di sudore compilatorio. tutto è saggiato sulla conoscenza diretta dei testi musicali e diventa una storia d'impressioni vive, non d'informazioni di seconda mano. C'è dentro un uomo che si diverte scrivendo ed esplica se stesso raccontando le vicende della musica (incidentalmente, Pestelli discende da una famiglia di gente dedita allo scrivere, dove la qualità dello stile si perfeziona da una generazione all'altra). Che sia una storia d'impressioni vive non implica affatto assenza di metodo. Il lavoro procede su due binari che per fortuna interferiscono strettamente: la storia della cultura e la storia del linguaggio musicale. La tematica del melodramma serio e quella dell'opera buffa sono introdotte da due excursus rispettivamente sulla riscoperta dell'antichità classica in seno al Settecento (Winckelmann. Le Roy. Mengs, Gibbon) e sulla scoperta dell'Oriente dopo la caduta del pericolo turco, con la traduzione francese delle Mille e una notte, e in genere il gusto dell'esotismo, favorito da viaggi, esplorazioni e missioni (in questo libro di musica James Cook è tirato in ballo tre volte). Lo Sturm und Drang con le origini del Romanticismo, la Rivoluzione francese e il Romanticismo stesso sono gli altri momenti culturali entro i quali viene calato il discorso sulla musica. Discorso che tutti sanno quanto sia difficile, ed è qui che viene in soccorso allo storico l'abilità dello scrittore con invenzioni calzanti e incisive di lessico critico. «La parola che tiene la briglia alla musica», per indicare il principio gluckiano e monteverdiano dell'armonia serva dell'orazione. La messa in guardia contro il luogo comune del «papà Haydn», dovuto a «una semplificazione nata nel cono d'ombra del Don Giovanni e dell'Eroica». La «frugalità inventiva» di Haydn e quel suo tipo di finale sinfonico «che prende la corsa da idee sussurrate in pianissimo, musica che crepita e ride sotto la pelle». Il «tantalismo di significati», inesistenti eppure ineliminabilinel «carattere antropomorfico» del linguaggio beethoveniano, tantalismo che è la ragione «della retorica esercitata su Beethoven» in tanta cattiva letteratura, «e allo stesso tempo della sua immensa e mai declinata popolarità». Sempre su Beethoven, che pregnante definizione del terzo stile inteso come «svalutazione dell'eroe in una visione trascendente», ben inteso con tutte le eccezioni e i ritorni di fiamma del caso! E' noto come nelle storie di un'arte sia relati¬ vamente comodo, se non facile, il viaggio tra i minori, che costituiscono il tessuto connettivo e appunto la trama storica dell'arte, incomodissima invece la presenza dei giganti, che mal si lasciano ridurre alle proporzioni richieste dall'ottica panoramica della trattazione. Di questi giganti Pestelli ne ha quattro coi quali fare i conti: Gluck, Haydn. Mozart e Beethoven. D primo è straordinariamente amalgamato e disciolto, come zucchero nel caffè, dentro la doppia vicenda, culturale e musicale, del lavoro. Con gli altri tre lo storico è costretto a venire a patti, e fargli la loro nicchia, con un po' di biografia esplicita, ma i succhi gastrici della storiografia pestelliana sono sufficienti per assimilarli e inalvearli nel quadro generale. La «psicosomatica erotica» di Nozze di Figaro e Don Giovanni viene collocata nel quadro della contemporanea letteratura libertina per la sicurezza con cui Mozart ha preferito Io «scandaglio nella natura biologica dell'uomo alla dinamica delle classi sociali proposta da Beaumarchais»: dove forse si privilegia un aspetto un po' epidermico, ma verissimo del teatro mozartiano. Teatro e sinfonismo pesano con equilibrio imparziale sulla bilancia storiografica, con le dovute estensioni alla musica sacra (l'unico genere un poco trascurato è il Lied), ma si sente che il grande amore di Pestelli è la Sonata, la cui pura musicalità, specialistica, non nasconde il radicamento nel «razionalismo d'una classe borghese potente e innovatrice». Nell'uso specialmente haydniano, ma anche beethoveniano (e le poche volte che Mozart lo segui non restò certo indietro), di radunare le dissonanze nell'Introduzione lenta come in un caos (e Haydn se n'era infatti servito all'inizio dell'oratorio su La Creazione) e poi disperderle «quando all'orizzonte si affaccia il primo tema con la sua promessa di laboriosità, la forma-sonata non fa che ripetere la parabola della vittoria della luce sulle tenebre predicata dall'illuminismo». L'amore per la Sonata, tecnicamente illustrata nella sua «strategia tonale», suggerisce a Pestelli un'intuizione geniale e. credo, nuovissima, quella della sua natura «squisitamente cittadina». Nella Sonata settecentesca rifulge «la scoperta dell'avventurosa bellezza della città moderna, tradotta in dinamismo interno di movimenti». Perfino le Nozze di Figaro si immergono sin dalle prime note della sinfonia nel ritmo veloce e indaffarato della vita cittadina», mentre «la campagna è lasciata alla sciamannata compagnia del Musikalischer Spass K.522». Con tanti saluti all'Arcadia e all'ecologia. «Sono anni in cui. anziché alla natura e ai piaceri della campagna, si preferisce guardare al lusso, alla facilità di muoversi, di trafficare, di cambiare condizione e tipo di vita consentiti dalla grande città; e poi, della natura è pure lecito diffidare: natura erano anche i funghi che avevano avvelenato Schoubert» (come viene narrato in altra parte del libro), «natura gli abitanti di Tahiti che avevano ammazzato Cook, del tutto ignari del buon selvaggio diffuso nelle finzioni letterarie». C'è dell'esagerazione, e basterebbe la poesia un po' melensa delle Stagioni di Haydn a sollevare un'eccezione ponderosa, ma estranea al campo sonatistico, e del resto Pestelli è il primo a riconoscere che questa «componente cittadina» della Sonata verrà cancellata dalla spugna della Pastorale, capace d'istituire con la Natura un contatto ben più intimo, non viziato da artifici retorici e a trettanto genuino quanto la spontanea, inconscia qualità «cittadina» della Sonata sette centesca. Massimo Mila

Luoghi citati: Beaumarchais